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Gary Hartstein, Julian Chamberlayne e le verità indicibili

Il nome di Gary Hartstein a molti potrà non dire molto.
Ma di fatto oggi è uno dei pochi personaggi in grado di far saltare i nervi agli inquilini di Place de la Concorde. Tanto da fargli recapitare lettere minatorie in cui lo si minaccia di intraprendere contro di lui azioni legali o cercare di isolarlo facendo pressioni sul suo attuale ruolo lavorativo.
Gary Hartstein è stato assistente di Sid Watkins dal 1997 al 2004 e delegato medico FIA dal 2008 al 2012.
Attualmente lavora all’ospedale universitario nella città belga di Liegi.
E occasionalmente tiene un blog da cui non risparmia critiche a come l’attuale vertice della commissione medica della FIA, il delegato Jean-Charles Piette e il capo della commissione medica FIA, l’amico personale di Jean Todt, Gerard Saillant, gestiscono la sicurezza dei piloti in Formula 1.
Gary Hartstein è anche legato ad un altro nome che potrebbe non dire molto ai non interessati ai lavori dietro le quinte della Formula 1.
L’altro nome interessante di cui parliamo oggi è Julian Chamberlayne, partner dello studio legale britannico Stewarts Law.
Il quale, con l’efficacia tipica di chi per mestiere piega le parole per assecondare ad esse la legge, spiega come sia quantomeno posticcio parlare del recente miglioramento nella sicurezza dei piloti senza accompagnare a queste parole una disamina delle mancanze e/o degli errori pregressi.
Stewarts Law è lo studio a cui Philippe Bianchi ha affidato l’azione legale avviata nei confronti della FIA, della FOM e della attualmente (e forse opportunamente) fallita Marussia, a seguito della morte del figlio Jules.
I Bianchi in tutta la vicenda che ha coinvolto la tragica scomparsa del pilota Marussia, hanno tenuto un decoro e una dignità esemplari; hanno, stando alle stesse parole di Philippe, più volte cercato di potersi sedere ad un tavolo per avere chiarimenti sulle 396 pagine che la commissione di inchiesta ha pilatescamente prodotto per assolvere tutti i convolti.
Tutti tranne Jules.
L’unico che in quanto morto, non ha potuto dire la sua sull’intera vicenda.
I Bianchi, dalle loro stesse parole, hanno accettato la fatalità; hanno dignitosamente accettato le giustificazioni per le condizioni di sicurezza sul tracciato di Suzuka o la mancanza del supporto dell’elicottero di emergenza medico.
Ma sentirsi dire che il loro figlio è morto perché, come hanno sempre fatto tutti, non ha rispettato le doppie gialle; sentirsi dire che il loro figlio è morto per la sua sola ed unica negligenza.
No, questo probabilmente era davvero troppo.
Sono anni che la Formula 1 vive nella ambigua situazione di far convivere piloti, la cui unica ragione di vita è arrivare davanti ad ogni avversario, con i dettami della sicurezza.
Chiedere ad un pilota di “andare piano” è un ossimoro, credo sia palese per tutti.
Quello che forse è un po’ meno chiaro è che, insieme alle pretestuose norme sulle dichiarazioni in conferenza stampa, insieme alle norme stringenti sulla livrea con cui possono ornare il loro casco e alle interessantissime digressioni sul loro stile di vita, mai nessuno abbia preso in considerazione seria norme che punissero i comportamenti rischiosi dati dall’ignorare le indicazioni sui limiti di percorrenza nei tratti di pista pericolosi.
Comportamenti loro e dei loro datori di lavoro.
Sono anni che i team e i piloti ignorano le indicazioni di sicurezza e men che meno le “doppie gialle” che secondo il regolamento dovrebbero far procedere il pilota ad una velocità tale da “potersi fermare in ogni momento“.
Sono anni che la FIA non analizza il comportamento indisciplinato sotto doppia gialla né tantomeno commina sanzioni per il suo mancato rispetto.
La commissione appura che Bianchi, nel tratto in cui pochi minuti prima la monoposto di Sutil era andata in acquaplaning, passa a soli 5 kmph meno che al suo giro precedente.
Bianchi non ha rispettato le indicazioni della direzione corse; di Charlie Whiting, quindi.
Inoltre la commissione appura che negli ultimi 2,3 secondi prima che la Marussia numero 17 impatti fatalmente contro il mezzo di soccorso, Jules sta premendo contemporaneamente freno e acceleratore. Che cosa abbia portato il pilota a premere entrambi i pedali non lo sapremo mai ma la commissione non può fare altro che ammettere che il sistema antistall-bbw (Brake By Wire) della Marussia non è “compliant” con il sistema “Failsafe” di tutte le altre scuderie che in situazioni simili tagliano completamente la coppia al motore e danno priorità al freno effettuando la frenata.
Ma FIA, se non può nascondere il “glitch” del BBW Marussia (già sotto indagine e critica nella vicenda De Villota), si affretta immediatamente ad aggiungere che l’entità del mancato taglio alla potenza non è quantificabile e probabilmente ininfluente.
Rimane soltanto l’indicazione ignorata da Bianchi.
Quando al giro 43 la Force India di Sutil esce alla Dunlop Curve il Race Engineer di Adrian, Marco Schupbach, si mette immediatamente in contatto con il pilota.
Possibile che Paul Davison, la controparte di Jules, non decida opportuno segnalare che un mezzo pesante di soccorso è in piena traiettoria alla Dunlop?
O che in quella zona ci siano doppie gialle?
Nulla.
Rimane solo la colpevole mancanza di Bianchi alle indicazioni di Whiting.
Era necessaria la Safety Car?
La commissione stabilisce che siccome nei 384 incidenti verificatisi negli 8 anni precedenti (sì, viene citato questo numero) la sola esposizione delle doppie gialle è stata sufficiente, allora, doveva essere sufficiente anche stavolta.
Poco importa che nei “384 incidenti verificatisi negli 8 anni precedenti“, nessuno in direzione corse abbia minimamente verificato il rispetto di quella norma (le doppie gialle) che secondo la commissione è stata, fino a quel momento,  condizione necessaria e sufficiente per garantire la sicurezza dei piloti.
Nelle 396 pagine, rimane sempre e solo il comportamento indisciplinato di Bianchi.
Nulla di più.
Quanto questa autoassoluzione abbia significato lo lasciamo decidere ai lettori.
E poi arriviamo a Gary Hartstein che dal suo blog mette sotto pesante accusa la decisione di non far intervenire la Safety Car in condizioni meteo che impediscono l’utilizzo dell’elicottero di emergenza per l’ospedalizzazione di un eventuale traumatizzato.
Secondo Hartstein pensare che la differenza fra i 20 minuti di intervento via elicottero e i 45 e passa, dati dal trasporto via viabilità ordinaria attraverso l’ambulanza, sia stata ininfluente sul decorso fatale di Jules, è “roba che farebbe piegare dalle risate qualsiasi neurochirurgo“.
E soprattutto decidere che, in condizioni di mancato supporto dell’elisoccorso per scarsa visibilità e meteo, non debbano essere prese ulteriori e più restrittive decisioni sulla pericolosità della manovra alla postazione 12 è degna di dilettanti prestati alle competizioni motoristiche.
Ancora una volta FIA alle critiche reagisce come un cane ferito: attaccando.
E qua arriviamo al punto nodale dell’intervento de La Redazione.
Perché che piaccia o meno oggi non ci sono i Lauda che se ritengono che le condizioni che lo show itinerante impone per la garanzia dello spettacolo non sono condizioni sensate, scende dall’abitacolo e ha spalle abbastanza larghe per sopportarne le conseguenze.
Oggi non ci sono gli Alboreto che per conto proprio decidono che la percorrenza “sicura” per la Pit Lane è limitata agli 80 kmph e passano l’intero weekend di gara testardamente a procedere per la loro strada.
Oggi c’è una schiera di piloti in balia dei loro sponsor senza nessuna capacità di trattativa; spesso in bilico fra il sedile della monoposto e la porta d’uscita.
Non preme sapere se Hartstein abbia ragione o se la tremenda decelerazione che ha subìto la massa cerebrale di Bianchi (in ultima analisi ciò che gli ha causato il tremendo danno assonale) avrebbe permesso al giovane pilota di sopravvivere o di subire un danno minore.
Non interessano dibattiti su presunte strutture chiuse a protezione della testa perché l’impatto del casco contro il mezzo di soccorso ha provocato una decelerazione pari a 254 g; una forza devastante che nessuna struttura avrebbe contenuto o anche se lo avesse fatto, la stessa decelerazione si sarebbe sfogata comunque sul corpo del pilota provocandone comunque la morte o un danno fatale.
E non interessa nemmeno disquisire sulla opportunità di correre in orario pericolosamente vicino al crepuscolo e in condizioni meteo proibitive.
O in una nazione nota, in quel particolare periodo dell’anno per i suoi temporali violentissimi.
Né tantomeno chiedersi come mai da anni sotto regime di doppia gialla (o anche solo sotto Safety Car ma con il distacco da recuperare dal gruppo da cui sdoppiarsi) i piloti corrano esattamente come in piena gara.
Ciò che interessa è chiedersi quale autorità possa avere un ente il cui unico scopo pare la legittimazione di sé stesso e la demolizione di ogni voce fuori dal coro greco che ne tesse le lodi.
Ciò che interessa è sapere se, dato per scontato che “Motorsport is dangerous” e sappiamo che lo è!, sia stato fatto di tutto perché non sia più “dangerous” di quanto già non sia di suo.
Interessa sapere se verrà un giorno in cui FIA ammetterà i propri errori; ammissione che in passato hanno portato agli enormi progressi in fatto di sicurezza.
O se semplicemente accetterà di sedersi al tavolo con i Bianchi e trovare un motivo migliore per la morte del loro figlio che non la semplice mancanza di attenzione alle norme imposta dal regolamento sportivo.
E se per avere questo serve una famiglia che semplicemente non vuole vedere il proprio figlio additato come irresponsabile, e unico responsabile della propria morte ed un ostinato ex medico della F1 che scrive atti d’accusa contro Place de la Concorde (e che deve fare crowdfounding per sostenere le spese legali contro i colossi legulei che assolda la FIA); bhè, ben vengano.

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