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MIT’S CORNER: NIKI E LA PAUSA CAFFE’

Mi chiedono di contribuire al Blog e io volentieri mi accingo a scrivere quattro righe per dare qualche spunto di riflessione.

La mia prima difficoltà è stata chiedermi cosa diavolo avrei mai potuto scrivere per interessare gli appassionati che non fosse già nei report delle gare e le interessanti discussioni che si dipanavano nei commenti ai post.

E il foglio è rimasto bianco per un bel po’.

Sino a che non mi sono concentrato sul nome stesso del blog: nordschleife1976.

Un nome che per gli appassionati rappresenta l’evocazione più mitica, originaria, direi persino atavica dell’essenza di questo sport.

Già, perché non è (solo) la velocità a caratterizzare il girare di queste belle macchinine con gli alettoni intorno ad una pista. Così fosse sarebbe sufficiente una gara di dragster oppure i GP sarebbero solo degli infiniti Q1, Q2, Q3….Qn.

No.

Non è (solo) la velocità.

 

E’ la perfezione.

 

Ogni appassionato che anche una volta sola nella vita ha girato su una pista di go-kart se n’è accorto.

Non gli basta la velocità, per quanto emozionante sia.

Egli cerca la perfezione.

E la cerca negli angoli, nelle curve, negli assetti, nella tecnica, nei cordoli, nel motore, nelle traiettorie.

“alla fine del rettilineo freno un po’ più tardi, entro un po’ più largo in curva così esco stretto e faccio più veloce la chicane successiva – sono 2 decimi in meno al giro”

Dite la verità: l’avete pensato mille volte vero?

Anche alla rotonda in fondo a viale Cavour, quando non c’è nessuno (mi raccomando eh!): quella scalatina non necessaria, tutte e due le mani che tengono ben salda la presa sul volante, entri-esci dalla rotonda come fosse la variante Ascari e poi in tranquillità fino a Corso Garibaldi a 40 all’ora ma con un sorrisino stampato sul volto che solo voi potete capire.

 

 

Ad ogni modo, eccoci qui.

 

Il Niki Lauda del 1976 sembra un pilota perfetto.

Arriva da una stagione vincente. La macchina è vincente poi salta su quella nuova e continua a vincere.

Gestisce alla perfezione tutte le situazioni

“computer” lo chiamano e, nonostante la strenua resistenza di Hunt e Scheckter, la stagione sembra già indirizzata verso il bis del titolo.

Niki Lauda, infatti, si presenta al via del gran premio di Germania, da corrersi sulla mitica Nordschleife per l’appunto, con più di 30 punti di vantaggio sul secondo: un’infinità col sistema di punteggio di allora e con sole 6 gare al termine della stagione. Basta controllare gli avversari e il gioco è fatto.

 

La perfezione, però, non la si raggiunge mai.

 

Perché poi Lauda ha un incidente.

Anzi ha L’incidente.

Le immagini sgranate dell’epoca sono tuttora facilmente reperibili sul Tubo.

La macchina che sbanda pericolosamente per poi finire sui guard-rail con una fiammata.

Un paio di vorticosi testa-coda che proiettano la vettura di nuovo verso il centro della pista mentre il fuoco già la avvolge.

Il pilota rimane dentro, non esce. Un’altra vettura impatta spaventosamente contro l’inerme Ferrari di Lauda.

L’agghiacciante scena termina con il drammatico intervento degli altri piloti che si fermano e che riescono a estrarre il povero Niki dalle fiamme e a distenderlo lontano dal nugolo di fiamme e di schiuma disperata d’estintore che era diventata la sua macchina.

 

La perfezione, non è umanamente possibile.

 

Immaginarsi i rumori è facile – un po’ meno, forse, gli odori.

Mi immagino quella pista come un fiume di montagna, l’aria tersa che manda lampi frizzanti di acqua tumultuosa che al contempo si stempera nell’odore di resina dei boschi che incombono sulle sue rive.

L’incidente di Niki scuote l’idilliaco quadretto.

Corrompe il bouquet di effluvi balsamici della foresta con l’irruzione di acri e sferzanti odori della miscela di carburante che brucia intorno alle lamiere.

Ancora oggi, nonostante dell’incidente si sappia tutto, nonostante si conoscano gli esiti e tutto il resto della storia, lo scorrere dei fotogrammi rallenta, e con lui il respiro di chi guarda, che si blocca, infine, in quell’attimo di incertezza, tragica e sublime al tempo stesso, che ti confonde sulla sorte del pilota.

Il tutto si chiude con un piccolo sentore ferroso – gusto e non olfatto stavolta: mi sono morso l’interno della guancia un po’ troppo forte.

 

 

La perfezione, forse, è solo una tensione asintotica.

 

 

Ci hanno fatto pure un film su quella stagione.

(peraltro bello, considerando la difficoltà di sceneggiatura che tutte le storie di sport comportano quando le si vogliono mettere sul grande schermo)

Si può romanzare un poco quel che successe dopo l’incidente.

Sappiamo che la gara si annulla e si deve rifare.

Sappiamo che ripartono e c’è un altro nugolo di incidenti.

Sappiamo che ne esce vincitore Hunt davanti all’altro contendente al titolo Scheckter.

Sappiamo che mentre la gara si svolge Lauda viene trasportato in elicottero all’ospedale più vicino.

Sappiamo che i medici devono solo sperare: non l’impatto, non il fuoco, non le ustioni bensì i fumi infuocati respirati in quei tragici momenti sono il pericolo che più tiene sotto scacco il sistema respiratorio di Niki e con esso la sua vita.

Sappiamo che mentre Lauda lotta tra la vita e la morte a Maranello arriva una telefonata ferale: “difficilmente supererà la notte”

 

La perfezione è sempre appena oltre la portata del braccio teso per cercare di toccarla.

 

Quel che NON sappiamo è cosa è turbinato nella mente del vecchio Enzo. Perché sembra impietosa e cinica, la reazione del “Drake”, ma deve aver sentito anche lui, quel 1 Agosto 1976, l’irruzione dei fumi acri della T2 in fiamme giungere sino a Maranello a scompigliare l’afa sonnacchiosa del suo ufficio. Il suo vecchio naso conosce sin troppo bene quell’odore. Getta uno sguardo, tanto fugace quanto l’amaro sospiro che l’accompagna, alle foto appese al muro in diverse file, ognuna corredata di due date di cui la seconda appare sempre troppo prossima alla prima. Vede che c’è ancora spazio in quella parete e dopo aver scosso sconsolatamente la testa si abbandona alla mesta abitudine a questi scenari che solo lui può comprendere. Questo, e non altro, muove il successivo comando che spinge un piccolo nugolo di impiegati a scandagliare rubriche telefoniche e schedari pieni di fogli di carta nella febbrile ricerca del numero di telefono di Carlos Reutemann.

 

Perfezione deriva dal latino “per-fectus”, participio di “per-ficere”: compiere, completare, finire.

 

Usciamo dalle romanzate angustie del “Drake”, rimettiamo il rullo sul proiettore e andiamo avanti veloce.

Lauda NON muore.

Anzi, perde solo due gare e con ancora le bende sanguinanti a coprigli il capo indossa il casco già a Monza.  Si attacca coi denti al campionato. Il vantaggio si è di molto assottigliato ma è ancora davanti. James Hunt sta facendo il campionato della vita, l’occasione è unica e non se la sta facendo sfuggire.

Hunt vince tre gare ma Lauda raccatta un po’ di punti qui e là e prima dell’ultima gara, in Giappone circuito del Fuji, si ritrova sorprendentemente ancora in testa alla classifica con 3 punti di vantaggio.

Ed eccoci di nuovo qui, come alla partenza del Nurburgring: basta controllare un poco la corsa e il gioco è fatto.

Però da quando è tornato tutto ha un sapore strano. Credeva che tutti l’avrebbero aiutato ed esaltato, e la stampa lo fa subito, ma in squadra i visi hanno espressioni indecifrabili. Clay, senza rinnovo, intravedeva forse la possibilità di rientrare, come s’usa dire, dalla finestra e Reutemann aveva accettato l’ingaggio da Monza in avanti purché si fosse d’accordo anche per la stagione 77. Ma il ritorno di Lauda ha scombinato tutto.

Sembra quasi che Niki sia fuori posto nel senso più letterale: lui non dovrebbe essere lì.

Ma c’è, come ci sono i 3 punti di vantaggio.

Quel che non c’è sono gli alleati, la squadra appare confusa e lui non si fida poi così tanto vista la fretta con cui si sono mossi per sostituirlo quando era in ospedale. Gli altri nel paddock lo guardano strano e nonostante tutto quel che ha fatto per tornare sembrano tifare per James Hunt, idolo delle folle e delle ragazzine, personaggio spettacolare ben più del freddo, “computer”, Niki Lauda. Anche la stampa gli volta le spalle: dopo gli inevitabili panegirici del suo rientro a Monza sembrano un po’ tutti interdetti perché nelle interviste fa apparire normale, invece che eroico, il suo atteggiamento. Le omeriche concioni che hanno narrato le sue gesta brianzole sono sfumate via via in perplessi, disillusi e financo scostanti articoli che sembrano raccontare di un impiegato che va al lavoro di mercoledì che non di un Achille che si appresta a sfondare le mura di Troia. Così non va bene, pensano tutti senza dirlo.

Si ritrova senza alleati tranne uno.

Mario “piedone” Andretti da qualche gara sembra più convinto, più costante, più veloce e porta il muso della sua Lotus JPS là davanti più spesso di quanto ci si aspetti. L’espressione del campione italo-americano è di quelle che non fanno sconti. Dopo tante stagioni a correre di qua e di là dall’oceano, spizzicando la Formula 1 come se fosse il boccettino dei salatini di un cocktail-bar, questa volta decide di fare sul serio. Forse sa che la mente di quel geniaccio di Chapman ha già in mente uno sviluppo sorprendente e vuole tenere ben saldo il posto. Quindi lì in Giappone decide che non ce n’è per nessuno. Tutte le sessioni davanti, pole position e sembra dire che del campionato degli altri non glie ne frega nulla: “io vinco, poi vedetevela voi”.

Niki lo scorge, lo annusa, lo vede sicuro e si compiace dei numeri che vede sui cronometri. Poi vede che Hunt inizia le sessioni col “braccino” e anche se alla fine delle qualifiche riesce a piazzare la sua McLaren tra lui e Andretti non si preoccupa: se la bocca di Hunt sorride i suoi occhi no. Ha paura.

A questo punto il piano è fatto. Il “computer” disegna nella sua mente tutto lo svolgimento della gara: parto senza affanni e lo marco stretto. Il Piedone là davanti piuttosto che farlo passare lo butta fuori e quindi lui sarà costretto ad accodarsi. Io mi accodo a mia volta e lo tengo sotto pressione così Andretti andrà via. Clay parte troppo dietro e non mi darà problemi, devo solo stare attento che Scheckter non faccia qualche pazzia delle sue e vinco il mondiale.

Poi viene giù il diluvio.

 

 

Perfezione, dicevamo, è ciò che porta al compimento, al completamento, alla fine ma “fine” significa anche obiettivo, meta, scopo.

 

 

La piccola cittadina di Nurburg è sovrastata da un’alta collina sulla cui cima si trova un antico castello le cui vestigia dominano non solo la cittadina ma anche il circuito da cui siamo partiti e che da il nome a questo sito. L’epoca della sua costruzione non è certa e si pensa che risalga almeno all’epoca delle sue prime citazioni che gli storici hanno rinvenuto in un documento di nomina imperiale di tale Conte Ullrich e di suo padre, conte Teodorico di Are che si suppone abbia ordinato, per l’appunto, la costruzione del castello. Teodorico di Are era nipote di Odone di Toul, vescovo/conte/condottiero, figura dai contorni sfumati, di difficile collocazione biografica di cui però si sa aver reclamato per sé e per i suoi sodali vescovi di Metz e di Treviri,  la regione di Are. L’istituzione della regione, nesso imprescindibile per poterne reclamare il governo e tramandarne il titolo alla discendenza, avvenne con bolla imperiale in un anno imprecisato tra il 1052 e il 1065 nientepopodimeno che dall’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV.

Sì, proprio lui, quello che qualche anno dopo fu costretto ad andare a piedi a Canossa a umiliarsi davanti a Matilde per ottenere la revoca della scomunica.

Mi piace pensare, giocando di fantasia, che in questo tortuoso richiamo di riferimenti storici e geografici Enrico IV, nella sua lunga e penitenziale camminata dalla Germani a Canossa, sia passato per Maranello (in fondo non è improbabile: anche allora il Brennero era imprescindibile punto di accesso all’Italia) e qui abbia brevemente sostato per bere un sorso d’acqua, magari presa da un pozzo che mai si sarebbe immaginato essere giusto sotto l’ufficio che nove secoli dopo sarà di Enzo Ferrari.

Tre giorni ha dovuto penare Enrico IV, prima che Matilde gli desse udienza. Umiliazione talmente grande che passerà alla storia anche come idiomatico modo di dire.

E mi piace pensare che Niki Lauda, quel giorno sotto il diluvio, stesse pensando a qualcosa di simile all’umiliazione di Enrico IV. Avrebbe vinto il mondiale e tutti coloro che non ci avevano creduto, tutti coloro che l’avevano dato per morto, che non lo volevano più in Formula 1, che non gli hanno dato neanche il beneficio d’inventario di vedere il suo corpo in una bara, tutti ma proprio tutti avrebbero dovuto prostrarsi ai suoi piedi e chiedergli perdono.

Venite pure a Canossa, infedeli che non siete altro!, voi della squadra, voi del paddock, voi giornalisti e vieni anche tu, Enzo, che già stavi cercando chiodi e martello per mettere la mia foto su quella parete là.

Venite a inginocchiarvi davanti a me, mentre inforco il gommone di alloro che mi proclama campione del mondo.

Venite.

 

Sarà il finale perfetto per questa stagione. Perfectus

 

Ma.

 

La paura di vincere che aveva scorto negli occhi di James, contraltare disperato al suo sorriso larger-than-life che tanto faceva impazzire le ragazze, se la vide comparire specchiata dalla visiera del suo stesso casco, accompagnata da qualcosa di ancora più profondo e atavico.

La paura della morte.

 

Niki parte male, nel diluvio.

Non vede nulla e non capisce più nulla. La paura non è più quella del brivido della velocità, quella la sa gestire. No. Quello è terrore, timor panico e, in definitiva, la paura che il destino che aveva schivato al Nurburgring stia per pararsi innanzi a lui sotto la beffarda forma di una bandiera a scacchi definitiva. Il compimento, il completamento, la fine della sua vita era lì davanti a lui, pronta a manifestarsi ad ogni scintillio delle candele del suo 12 cilindri a V.

 

Cosa è perfetto? Cosa è Per-fectus? La fine?

 

Tutto è cominciato con una imperfezione: la sbandata al Nurburgring che ha generato l’incidente.

Ma continua, Niki, con l’imperfezione: non muore. Doveva morire, tutti si aspettavano che morisse, la perfezione, ossia il compimento di quanto accaduto con l’incidente, proprio quello richiedeva ma lui non muore. E’ ancora lì.

E continua ancora: doveva stare a casa, riposarsi e riprendersi. Ma lui no, ritorna in fretta. Persino il riposo è imperfetto.

E poi ancora più imperfetto: si presenta al via dell’ultimo GP in testa alla classifica ma lui non doveva essere lì.

Imperfetto, poi, è il suo atteggiamento: no, signori, no. Non c’è nessun eroismo in quel che faccio. Sto facendo solo il mio lavoro.

E se perfezione significa portare tutto a compimento e completamento allora sapete che faccio? Sarò, ancora una volta, imperfetto.

Sarò imperfetto esattamente come lo sono stato quando ho sbandato al Nurburgring prima di stamparmi contro il guardrail.

L’ho sbagliata, quella S, sì. L’ho sbagliata, sono stato imperfetto.

Sono passati solo 2 giri, mi fermo, chissenefrega, bravo James se tira dritto fino in fondo e vince, mi fermo, non ne ho bisogno, chi me lo fa fare? Mi fermo subito, andate avanti voi, poi saluto tutti.

 

(c’è poi un uomo, anzi un Uomo, che quando vede fermarsi la Ferrari numero 1 ai box capisce tutto subito)

 

“diciamo che è un problema elettrico, ok?”

“no, Mauro, va bene così, ci vediamo mercoledì in ufficio che mi offri il caffè”

 

Scorrendo la classifica dei primi  otto arrivati al Nurburgring 1976 si vede che cinque sono morti prematuramente:

James Hunt, divorato dai suoi fantasmi, viene trovato morto in casa nel 1993 a 45 anni

Carlos Pace, in un incidente su un aereo privato, nel 1977 a 32 anni.

Gunnar Nilsson, portato via da un male incurabile, nel 1978 a 29 anni.

Rolf Stommelen, un grave incidente in gara prototipi, nel 1983 a 39 anni.

Tom Pryce, un orribile incidente a Kyalami, nel 1977 a 27 anni

 

Scorrendo la classifica dei primi otto arrivati a Fuji 1976, oltre a Hunt e Nilsson vediamo anche:

Patrick Depailler, perito in un grave incidente nel 1980 a 35 anni

 

Pure Clay Regazzoni compare nelle due classifiche: un incidente a Long Beach nel 1980 lo rende paraplegico per il resto della sua vita conclusasi, ironia del destino, con un incidente in autostrada, nel 2006.

 

Per-fectus non è la fine, è IL fine: portare a casa la pellaccia.

Giochiamo con il destino dentro quei circuiti ma la vita non è un gioco. Tutti gli sport si prestano a metafore ove vittoria=vita e sconfitta=morte ma dopo ogni partita si ricomincia. Nella Formula 1, purtroppo e troppo spesso, quella metafora perde il suo senso retorico e si tramuta in qualcosa di reale. La ricerca della perfezione è il suo fascino più grande perché confina, spaventosamente, con la linea più estrema di tutte.

Mentiremmo a noi stessi se non sapessimo che nel profondo è questo tipo di perfezione che cerchiamo quando, ogni domenica in ogni circuito, ci sediamo nella monoposto insieme ai piloti. Vorremmo provare le loro stesse emozioni, giriamo un volante ideale, nell’aria, disegnando quella curva nel miglior modo possibile, sentiamo il piede sinistro avere un fremito prima della staccata durante un camera car. La cerchiamo anche noi, quella perfezione. Ma quella perfezione è anche il limite da non toccare mai.

 

Ce lo ha insegnato Niki: se lo tocchi ti bruci.

Letteralmente.

Meglio essere un po’ imperfetti.

In tutti i sensi.

 

Almeno…

 

… se vuoi avere qualcosa da raccontare mercoledì prossimo, in ufficio, davanti a un caffè.

 

Metrodoro il Teorematico

MIT’S CORNER: BUON 2023 COL NON-PAGELLONE DEL 2022

Con l’ultimo GP ad Abu Dhabi si è chiusa la stagione di Formula 1 2022. Una stagione che nonostante i numeri apparentemente dicano il contrario è stata assai divertente e movimentata. E quando dico movimentata intendo anche in senso letterale, soprattutto per i piloti i quali, soprattutto nella prima parte della stagione, hanno dovuto combattere anche contro il famigerato effetto “porpoising”.

La messa meglio su questo effetto è stata, incredibili dictu, la Sauber/Alfa Romeo che infatti nelle prime gare della stagione ha colto i suoi migliori risultati con Bottas e ha vissuto di rendita sino alla fine. Le altre scuderie si sono messe di buzzo buono e arrivati a metà stagione avevano praticamente risolto gli effetti più deleteri del problema. Ma la federazione, a seguito dei ripetuti “stimoli” soprattutto di una squadra (e soprattutto di un pilota) ha infine emesso la famigerata direttiva tecnica 39, TD39, che imponeva alle squadre, tra le altre cose, un limite minimo più alto di altezza da terra (di ben 15 mm se non ricordo male) e altre simpatiche amenità quali la limitazione del rapporto flessibilità/rigidità del fondo.

Non si sa con precisione quando le squadre hanno cominciato ad applicarle la TD39, nell’intervallo tra Silverstone e la pausa estiva ma di fatto era a regime a Spa.

Dopo l’introduzione della TD39 la RBR è scappata in avanti in modo clamoroso il che ha permesso a Verstappen di consolidare il già notevole vantaggio in classifica piloti che aveva accumulato.

Anche Mercedes ha visto la propria competitività aumentare al punto da concludere il mondiale quasi come prima forza, il che ha dell’incredibile visti i pessimi risultati ottenuti nella prima parte di stagione.

Si dice che il grande cambiamento nei rapporti di forza delle scuderie nella seconda parte di stagione sia dovuto soprattutto all’efficacia degli sviluppi portati sul campo e non agli effetti della TD39. Tuttavia va considerato che prima della famigerata direttiva molte scuderie stavano sviluppando o programmando gli sviluppi sulla base del pacchetto che avevano sicché, volenti o nolenti, la direttiva ha comunque, anche a pensar bene, avuto una importante (e forse decisiva) influenza sulla seconda parte di stagione in quanto ha letteralmente scombinato tutti i piani di sviluppo di chi o non se l’aspettava o non l’auspicava. Tutte le scuderie ne hanno dunque patito direttamente o indirettamente gli effetti. Tranne Mercedes la quale probabilmente ha sviluppato la vettura proprio aspettandosi la direttiva, con i risultati che tutti abbiamo visto.

Insomma, la famigerata direttiva secondo me è stata quantomeno improvvida. E non si può non tenerne conto nell’esaminare la stagione dei piloti.

Non mi spendo sul discorso budget cap in questo pagellone, perché a differenza della TD39 non ha avuto molta influenza (se non ovviamente indiretta per i RBR) sulla guida e la condotta dei piloti in generale.

Il NON PAGELLONE che segue è un giudizio riassuntivo, pilota per pilota, che prende in considerazione l’intera stagione cercando di valutarne l’andamento complessivo. Seguirò l’ordine della classifica piloti.

 

VERSTAPPEN

Dopo la straordinaria, quanto sofferta (eufemismo: per quanto non auspicassi l’ennesimo titolo di Hamilton considero la conclusione di Abu Dhabi 21 una spurcariè, come si dice dalle mie parti) vittoria del 2021 Max era atteso ad una difficile riconferma, date le premesse. Infatti, il cambio di regolamento tecnico era un’incognita per tutti e tutti si aspettavano, prima dell’inizio della stagione, che la Mercedes, capace com’è stata di bersi gli ultimi due cambi di regolamento come fossero gazzose, si sarebbe trovata davanti e non di poco. Ma la sorpresa di una Mercedes così scadente deve aver tranquillizzato il nostro il quale evidentemente era molto meno spaventato dal binomio Leclerc/Ferrari che da quello Hamilton/Mercedes. Non si è scomposto di un epsilon alla vista della competitività Ferrari ed ha portato a compimento una prima parte di stagione semplicemente straordinaria perché è riuscito a massimizzare ogni possibile circostanza. Quando poi il geniaccio (che, ricordiamolo, disegna ancora “a manazza” invece che con il computer) ha partorito gli sviluppi giusti per fronteggiare la TD39 e gli ha messo a disposizione il missile Max ha fatto un ulteriore step e ha annichilito la concorrenza in un modo che ricorda da vicino il miglior Schumacher. Già. Perché se è vero che guidava la vettura complessivamente migliore è anche vero che l’ha guidata ad un livello assolutamente stellare che in molti gp quest’anno mi ha ricordato i bei tempi di #keepfightingmichael (sempre sia lodato). Questo titolo è tanto di Newey quanto suo perché Perez non ha mai dato l’impressione di poter condurre allo stesso livello e non c’è mal-pensiero che possa far deviare da questa considerazione. L’unico appunto che gli si può fare è che nel finale non si è dannato per “aiutare” Checo a conquistare il secondo posto nel mondiale piloti. Ci sta, per carità, sappiamo tutti che vincere il mondiale con secondo il tuo compagno di squadra sminuirebbe, quantomeno negli annali statistici, la portata della tua prestazione e il sogghigno che si celava dietro alla visiera del suo casco quando in Brasile gli è passato davanti aveva probabilmente questo significato. Tuttavia il modo in cui si è messo di traverso ha quel sapore di antipatia un po’ infantile che potrebbe dare qualche speranza in più al suo (al momento ignoto) sfidante del 2023: va a sapere che sotto pressione il buon Max mostri qualche limite! Ma oggi, diciamocelo, TD39 o meno, il livello che Max ha fatto vedere quest’anno era tale che avrebbe vinto a prescindere. Sicché il giudizio non può essere che quello massimo: sommo, stellare, spaziale, galattico, siderale.

 

LECLERC

Ah! Carletto! Croce e delizia di ogni tifoso (e simpatizzante) rosso! Che stagione!

Gli ammerigheni buttano in ogni dove il vocabolo rollercoaster, financo in modo antipatico, e tuttavia, ça va sans dire, se lo applicassimo alla stagione di Leclerc stavolta lo faremmo certi di non sbagliarne l’orizzonte semantico. Ora, siccome usare la traduzione corretta del vocabolo di cui sopra sarebbe forse un po’ improvvido, visto il complicato panorama geopolitico mondiale di questo periodo, ci limitiamo ad un calembour un po’ infantile: montagne rosse, caro Charles, hai proprio guidato sulle montagne rosse.

Inaspettata e piacevole sorpresa di inizio anno, la competitività della Ferrari ne ha esaltato sin da subito l’istinto guerreggiante e infila un trittico di gare spettacolari che lo portano ad avere già un bel vantaggio nella classifica mondiale. Poi a Imola qualcosa si rompe. La gara, pur difficile per il maltempo, parte male, la conduce malissimo, esagera, sbaglia, recupera, ri-sbaglia, non si capisce nemmeno bene cosa stia facendo. Da lì in avanti (nonostante un filotto di pole position di spessore) si scontra contro il muro Verstappen, contro il muro del turbo e di  qualche problema di troppo alla vettura e pure, non bastasse, contro il muretto. Sfiamma e scalpita, il nostro, alternando prestazioni mostruose a errori banali e si ritrova a metà stagione, nonostante la vettura assai competitiva, già ad una distanza siderale dall’orange dai nervi di adamantio. La vittoria in Austria sarà l’ultima e gli sviluppi, anzi i contro-sviluppi (sarà mica colpa della TD39?!) della seconda metà stagione lo relegano a vittima sacrificale della Red Bull. Però non demorde, il nostro, e riesce in extremis ad acciuffare il secondo posto nel mondiale.

Nel complesso la stagione ha mostrato tutti i pregi e tutti i limiti (attuali) di Leclerc. I pregi: velocissimo, anzi, velocissimissimo in qualifica, arrembante in gara e sempre sul pezzo quando si tratta di duellare. Il mio personalissimo top dell’anno glie lo assegno per l’abilità di guida mostrata a Singapore, in condizioni difficilissime, con una macchina non bilanciata adeguatamente e non all’altezza della stellare RBR: semplicemente straordinario. I difetti: alle volte è debordante e zoppica nel gestire gomme e gara. Le polemiche sugli errori del muretto hanno spesso tenuto poco conto di quanto contasse, in quegli errori (Monaco e Silverstone su tutti), la condotta del nostro eroe. E lo affermo a ragion veduta: i team radio in cui Charles ha mostrato incertezza e indecisione nel rapporto col muretto nel 2022 non si contano, purtroppo per lui, soprattutto se confrontato sullo stesso tema con il team mate, apparso ben più centrato nel gestire il proprio potenziale. Ora si dovrebbe dire: è da qui che deve ripartire per costruire un 2023 vincent……. Ma no! Perché qui c’è un bel busillis da capire. La preannunciata lunghissima stagione 2023 non potrà prescindere da una condotta strategica (posto che la vettura sia competitiva, naturalmente) assai più diligente. Perché il confronto con Verstappen non lo vede meno veloce ma meno solido, almeno oggi, certamente sì. Ed è qui che bisognerà capire come evolverà il Leclerc pilota. Se sarà, cioè, condannato ad essere una stella che brilla a intermittenza, la pulsar del cosmo formulaunistico, o se sarà capace di compiere quello step di consistenza e solidità che potrà consentirgli di competere davvero per il risultato massimo. Le ultime gare del 22, in questo senso, fanno ben sperare ma non possiamo non tener conto della poca pressione che c’era (peraltro attratta dalle voci sul futuro di Binotto) e sospendiamo il giudizio.

Di contro si porta a casa un risultato notevole nei confronti di Sainz il quale, ricordiamolo, arrivava da un 2021 sorprendentemente migliore, nel complesso, di quello di Leclerc. Il distacco con lo spagnolo non è mai stato in discussione e forse, alla fine, il secondo posto mondiale, posto a confronto con il quinto ottenuto da un comunque buono Sainz, dà la misura di un risultato comunque eccellente e di cui far tesoro.

PEREZ

Stagione nel complesso deludente quella di Checo. Quando il tuo teammate fa 15 vittorie e tu ne fai 2, peraltro insperate e a fronte di errori altrui, hai ben pochi motivi per essere felice. In generale mi è parso abbia fatto un passo indietro rispetto al 2021, i distacchi in termini di velocità rimediati in media da Verstappen hanno rasentato la fantascienza, spesso ben superiori a quelli che sono costati il posto a Gasly un paio d’anni orsono e se a questo aggiungiamo la scarsa combattività dimostrata e la strana querelle con il compagno nell’ultima parte di stagione finiamo col trovarci sul tavolo un piatto assai scialbo e deludente. Il passo del gambero si è manifestato soprattutto nella seconda parte di stagione quando, singapore a parte, ha mostrato seri limiti nella gestione delle gomme il che non gli ha permesso di conquistare il secondo posto nel mondiale piloti. Diciamolo: visto il missile su cui era seduto il secondo posto nel mondiale doveva portarlo a casa e non c’è riuscito. Qui si fa presto a dar giudizi: appena appena sufficiente. C’è poi un bel punto di domanda, di quelli proprio grandi grandi, grandi come il costo del catering, per la stagione 23: se i rapporti con Verstappen si sono deteriorati, se la sua competitività è calata e con il sorrisone di Daniel nel retrobox a lanciare macumbe il suo sedile saltasse?

Ai posteri l’ardua sentenza!

RUSSELL

Bravo, bravo, bravo e poi…….. bravo!

Tutti lo aspettavamo al varco: dopo tutte le aspettative che si sono create negli scorsi due anni riuscirà il buon George a confermare che è uno di quelli lì? L’approdo ad una scuderia (ipoteticamente) di vertice al fianco di Lewis era la prova del 9 e l’ha superata alla grandissima. La prima incognita era la velocità e il confronto con Lewis si è rivelato illuminante perché lungo l’arco della stagione il cronometro in qualifica oscillava di pochi millesimi rispetto al celebrato teammate (per la precisione: 9-13 in Q con  -23millesimi di distacco medio). Poi c’era da verificare la capacità di reggere la pressione e in questo la scarsa competitività iniziale di Mercedes l’ha aiutato ma poi, quando ha potuto competere per le posizioni di vertice non ha fatto una piega e la vittoria in Brasile è stata il coronamento di una stagione stellare. Ciò che più mi ha colpito è stata la solidità che ha mostrato lungo tutto l’arco della stagione unita ad una non scontata capacità di gestione della gara. In quest’ultimo aspetto mi ha ricordato alcuni grandi del passato: sarà per la flemma e per lo standing molto british ma Graham Hill e Jackie Stewart sembrano far capolino nella visiera del suo casco. Nella seconda parte di campionato, con la ritrovata competitività Mercedes (ma come avranno fatto mai?!) si è giocato una sorta di mundialito con un Lewis ringalluzzito che voleva mettere al suo posto il quasi-rookie. Eppure per Lewis non c’è stato nulla da fare. Si parla tanto per il 2023 della sfida Max/Charles ma se la Mercedes dovesse essere competitiva (e ammesso e non concesso che Lewis sia sul viale del tramonto) un pilota così solido e veloce potrebbe sorprendere tutti.

SAINZ

Bentornato sulla terra, Carlos. Dopo un 2021 sorprendente per consistenza e solidità e che poteva far dubitare da un lato sul reale valore di Charles e dall’altro sul suo reale valore, come se, chissà mai, anche il buon Carlos potesse appartenere alla schiera dei più forti in assoluto, sembra che questa stagione l’abbia rimesso al suo posto. Nel complesso il giudizio è dunque assai ambivalente. Carlos ha confermato soprattutto la solidità e la capacità di lettura della gara, il che non è banale viste le polemiche sul muretto Ferrari della prima parte di stagione. Inoltre mi è parso anche leggermente migliorato come velocità pura (solo -86 millesimi il distacco medio da Leclerc in Q nonostante il 7-15 rimediato), che non è poco dato che la sua carriera conta già parecchi anni alle spalle. Quindi con 3 pole position, 8 podi, un’ottantina di punti in più rispetto alla passata stagione e, soprattutto, la prima vittoria in carriera ci starebbero le congratulazioni con i fiocchi. Tuttavia il confronto complessivo con Leclerc l’ha visto sconfitto e non di poco il che lancia una pesante ombra sulla valutazione della sua stagione. L’impressione finale è che Sainz stia meritoriamente dando il massimo ma che Leclerc abbia la famigerata “marcia in più”.

HAMILTON

Povero Lewis! Voleva prendersi la rivincita su Max e invece si ritrovato seduto su un mezzo catabolitico (parola di Toto!). La sua stagione è negativa sotto diversi punti di vista e non necessariamente legati alla scarsa competitività della sua vettura. Infatti, il confronto perso con Russell nella classifica piloti è lì a dimostrarlo plasticamente. Una sconfitta che brucia assai, secondo me, perché benché io sia sicuro che nella sua futura autobiografia scriverà che nel 2022 non si è impegnato, la pista ha dimostrato che quando lo ha fatto le ha prese lo stesso. Credo sia vero che nella prima parte non abbia dato il massimo ma quando, complice la TD39, si è trovato il mezzo per vincere sono altrettanto sicuro che sia la vittoria sia il sorpasso in classifica su George l’abbia spasmodicamente cercato. Non riuscendoci, però. E questa è tanta roba. Sono dell’idea che Lewis abbia cominciato a perdere smalto già dal 2020, e non dico 2019 perché quell’anno Mercedes andava il doppio degli altri, e gli affanni del 2021 (sia pur defraudato nel tempestoso finale di Abu Dhabi) uniti all’indolenza di questo 2022 lasciano poco spazio all’ottimismo. C’è da dire che Lewis ha più volte dato importanti sterzate alla sua carriera e non si può escludere che in futuro possa riservare ancora sorprese ma l’età avanza e lo spazio per trovare nuovi spunti tecnici nella sua guida temo sia assai ristretto. Nel complesso, forse per la prima volta in carriera, una stagione davvero negativa.

NORRIS

Il cambio di regolamento non ha giovato alle ambizioni di Norris. Dopo tre spettacolari stagioni, una migliore dell’altra, complice la scarsa competitività della McLaren, Lando non ha potuto esibire le sue doti di combattività come in passato e ha dovuto guidare sulle uova per tutta la stagione. Però il titolo “degli altri” l’ha portato a casa. Però la distruzione totale di Ricciardo l’ha portata a compimento. Però un podio l’ha comunque ottenuto (peraltro a Imola, in un GP reso molto difficile dalle condizioni meteo indecifrabili). Quindi alla fine e nel complesso la sua stagione rimane comunque estremamente positiva. Ed è ancora giovanissimo, con (auspicabili) ulteriori margini di miglioramento. Di chi è che si diceva “date una macchina a questo ragazzo”? Ah, non era lui? Ah, no. Peccato. Perché credo che quella domanda retorica si adatti perfettamente anche a Lando nostro. Bravo!

OCON

Eh! Qui, mi spiace, ma non posso essere imparziale. Questo pilota non l’ho mai capito. Non ha uno stile di guida identificabile. Combatte quando c’è da star calmi e sta calmo quando c’è da combattere. È veloce, per carità, ma non dà mai l’impressione di avere lo spunto del campione. Alterna gare intelligenti a gare stupide. E tutto questo campionario l’ha esibito anche quest’anno. Con l’aggravante, però, di non aver mai dato l’impressione di potersi davvero imporre sul suo attempato compagno di squadra. Il risultato finale l’ha visto prevalere ma la sconfitta nel testa a testa in qualifica (10 volte davanti e 12 volte dietro) e, soprattutto, la totale assenza di guizzi e gare speranzose di risultati (a parte il giappone, ove ha fatto un’eccellente gara) ne delineano una stagione complessivamente, almeno per me e con il disclaimer di cui sopra, deludente. Anche perché l’Alpine, pur fragile, non è stata poi così male.

ALONSO

La Old fox non ha tradito le attese. Passa il tempo e Fernandino nostro non cambia di una virgola. Come è entrato in Formula 1 nell’ormai lontano 2001 così è rimasto. Veloce, combattivo, polemico, veloce, orgoglioso, veloce. L’ho già detto che è stato anche veloce? Dopo un 2021 già ottimo sfodera un 2022 ancora migliore. Chiunque mastica di Formula 1 sa perfettamente che anche se la classifica lo vede dietro al teammate la pista ha detto ben altro. La fragilità dell’Alpine pare abbia preso solo lui di mira e sconclusionate scelte tattiche del suo muretto l’hanno danneggiato non poco (perché se in Ferrari hanno pianto le ghiandole lacrimali di Alonso hanno rasentato il diluvio!). Ma le gare che ha condotto, il modo in cui le ha condotte, hanno detto che il confronto con il ben più giovane e teoricamente più quotato Ocon l’ha vinto lui, e non di poco. L’ho già ribadito che è stato veloce? 12-10 in qualifica conditi da exploit favolosi (Montreal e Spa su tutti) parlano da sé. Ha preso l’ennesima decisione controversa della sua carriera, firmando per Aston Martin. Vedremo cosa il 2023 gli riserverà. Eccellente.

BOTTAS

Il maggiordomo per eccellenza della F1 esordisce in Alfa Romeo trovando una gradita sorpresa: a inizio stagione la vettura sembra buona e sembra l’unica a contenere l’effetto porpoising. Il buon Valtteri ne approfitta per mettere in cascina punti importanti. Dopodiché sparisce. Quasi letteralmente, peraltro, perché le gare scialbe che conduce da Silverstone in avanti non lo vedono mai negli obiettivi delle telecamere, se non per qualche guaio o per qualche mesto doppiaggio. Non c’è molto da dire più di questo e se non fosse stato per quelle prime buone gare il commento alla sua stagione si ridurrebbe ad una riga.

RICCIARDO

Disclaimer inverso a quello su Ocon, più sopra. Qui non sono imparziale come cerco di essere con gli altri piloti. Sarà il suo simpatico sorrisone o il fatto che è l’unico ad aver dato del vero filo da torcere ai ben più titolati Vettel e Verstappen ma ho sempre considerato il buon Daniel un top driver quanto a velocità, tecnica e combattività. Non mi sono mai considero un “tifoso” di qualche pilota (tranne che da microbo: via Mario Andretti e viva Villeneuve!) ma negli anni solo tre piloti mi hanno ispirato simpatie che, sia pur da lontano, rasentavano il tifo: Giannino cuor-di-leone Alesi, l’ineffabile Kimi (viaggiatore del tempo: doveva correre a cavallo tra i 60 e i 70) e Daniel col suo sorriso larger-than-life e i suoi sorpassi da antologia del motorsport. Quindi come posso infierire sulla sua pessima, ma veramente pessima stagione? Già il 2021 era stato disastroso ma almeno il guizzo vincente di Monza aveva salvato la sua stagione. Oggi, purtroppo, abbiamo assistito ad un’annata che peggio non si può. Non è solo l’abissale distacco in classifica rimediato dal teammate a darne la dimostrazione ma anche il cronometro, sia in qualifica (dove si è preso spesso distacchi quasi irreali) che in gara. La mesta uscita dal circus che ne è conseguita non poteva che essere la logica evoluzione di questi due anni. Anche perché l’età non è più quella del giovane rampante che potrebbe meritare una seconda occasione. La sua speranza di rientro è legata al, per certi versi, sorprendente contratto da pilota di riserva RBR che si è comunque portato a casa. Il rapporto tra Max e Checo è andato peggiorando nel corso della stagione 2022 e se nel 2023 dovesse deteriorarsi ulteriormente chissà mai che non possa ritrovare il sedile per gareggiare? Anche perché il dubbio residuale è che, come lui stesso e il team hanno spesso dichiarato, non ha mai trovato feeling con la filosofia costruttiva della McLaren e forse gli spunti da top driver che ha mostrato in passato sono ancora lì pronti per farsi vedere (ma non sono imparziale, ribadisco). Però… due anni e quaranta GP quasi tutti lontano anni-luce da Lando… Sarà mica che invece è Lando ad essere un marziano?!

VETTEL

Il 2022 ha visto il buon Sebastian già prepensionato dalle voci, sempre più insistenti e infine confermate, sul suo ritiro. Parte in ritardo, causa Covid, ma trova una vettura scadente, incapace di migliorare neanche di un epsilon rispetto al 2021. E vi si adatta guidando per la gran parte della stagione col gomito fuori dal finestrino, attento solo a marcare a uomo il figlio-del-capo, per non macchiarsi il ruolino di marcia. Solo nel finale regala qualche guizzo (a dir il vero già a Baku, evidentemente pista che gli è congeniale) ricordandosi di essere un fuoriclasse, dispensando qualche lezione di guida molto ben apprezzata dagli addetti ai lavori e dai post-tifosi dal cuore tenero. Rimane una stagione assai deludente, come i numeri impietosamente testimoniano, che non intacca però la bella immagine che si è costruito dopo quel maledetto dritto a Hockenheim 2018. Ad maiora, Seb!

MAGNUSSEN

Ecco un pilota di Formula 1 d’altri tempi. Fermo (be’, quasi viste le interessanti esperienze a ruote coperte e la buona prestazione in Indycar chiamato all’ultimo minuto) per un anno e chiamato a stagione quasi iniziata a sorpresa per sostituire il non compianto Mazepin il nostro sfodera un’annata molto interessante. Come Bottas anche lui si trova sorpreso dalla competitività della vettura e ne approfitta immediatamente con un quinto posto insperato nel primo GP. La favola finisce subito, però, perché già dal secondo GP la Haas torna nei ranghi che le erano stati pronosticati, peggiorando via via lungo il corso della stagione. Il buon Kevin però è un “massimizzatore” coi fiocchi e appena ne ha l’occasione porta a casa la più eclatante sorpresa dell’anno: la pole in Brasile è stata eccezionale. Basta questo, oltre al punteggio doppio rispetto a quello del teammate, per dare un giudizio positivo della sua stagione. E non è la prima volta che asserisco che costui sarebbe il secondo pilota ideale in un team che ha ambizioni di vertice. Non è veloce come i top driver ma la grande intelligenza in gara e l’estrema solidità che ha sempre dimostrato nella sua carriera sarebbero utilissimi. Nel 2023 ritroverà Hulkenberg con il quale ha già duellato con vigore sia dentro che fuori dalla pista, soprattutto in uno storico siparietto nel post-gp di Ungheria 2017. Ne vedremo delle belle? Che poi, se le voci sul motorone Ferrari 2023 sono vere e Haas sforna una monoposto equilibrata il 2023 gli potrebbe riservare delle belle sorprese.

GASLY

Mah! Ma che stagione negativa ha avuto il buon Pierre?! Dopo la (ingiusta?) defenestrazione da RBR del 2019 si era dato un gran da fare per fargliela pagare ad Helmuth e Christian, sfoderando due stagioni e mezzo assolutamente favolose in Alpha Tauri, considerando il mezzo (culminate nella vittoria a Monza nel 2020). Ci si aspettava che nel 2022 avrebbe dato il la definitivo in vista di un suo ritorno alla casa madre. E invece? E invece no! Purtroppo per lui, a parte il relativo acuto di Baku, non trova mai ritmo e nemmeno l’exploit capace di salvare la stagione. Sparisce via via venendo perfino oscurato dal non irresistibile (pur miglioratissimo) compagno di squadra. Invisibile in gara rimane comunque uno dei favoriti della coppia di intervistatori post-gara di sky che ogni volta cercano di spillargli commenti in italiano a cui lui, credo saggiamente, immancabilmente si sottrae. Il favorito (insieme a Toto) della bella e brava Federica Masolin e del simpatico Davide Valsecchi (forse il più competente del team Sky, lasciatemelo dire, al minimo al pari di Bobbi perché nascoste nelle sue fin troppo esagerate filippiche si trovano le più azzeccate analisi tecniche della stagione) finisce ingloriosamente per uscire definitivamente dall’orizzonte RBR e solo la sua “francesità” (unita al mercuriale decisionismo di Alonso) gli consente di ottenere un sedile per il 2023. Che sarà per lui, temo, l’ultima chiamata.

STROLL

Sarò laconico: pietoso, come sempre.  Oscurato dal pur pre-pensionato Vettel, non si mette nemmeno in luce nelle condizioni a lui più congeniali, cioè sul bagnato, che pure non sono mancate quest’anno. Ma che ci sta a fare un pilota così in Formula 1? Ah già! Dimenticavo… Non so voi cosa ne pensate ma nonostante il facoltoso babbo ho la sensazione che il 2023 sarà la sua ultima stagione nel circus. È una previsione? O un auspicio?

MICK SCHUMACHER

Spiace per il figlio della leggenda ma purtroppo quest’anno è andato assai maluccio. Non tanto e non soltanto per i pessimi risultati incamerati (pur migliori dell’anno precedente) quanto per l’impressione che ha dato di non aver saputo affrontare la stagione nel modo che si conviene. Il confronto con il teammate, anche al netto dei risultati concreti, è stato impietoso. Mentre Kevin era sempre “sul pezzo”, cioè sempre teso a ottenere il massimo delle sue possibilità e del mezzo che guidava e pronto a sfruttare le rare occasioni che si sono presentate, Mick era sempre ansioso, fuori ritmo e con troppi errori banali (anche senza considerare i siparietti sul costo dei suoi incidenti, alcuni veramente spaventosi remember Gedda e Monaco?) a oscurare il suo ruolino di marcia. Errori spesso gratuiti e del tutto inutili che sono proprio quelle cose che non si vogliono vedere in un pilota di Formula 1 che si rispetti e che, se non sei un fenomeno di velocità come Verstappen o Leclerc, non vengono perdonati. Se poi guardiamo i numeri e consideriamo che Magnussen era stato lontano un anno dalla F1 allora le cose peggiorano: in Q il gap medio rimediato da Mick è stato addirittura di -357 millesimi – non ci siamo proprio. L’exploit ottenuto con merito in Austria e l’ottima Q in Canada non sono stati sufficienti a compensare quanto di negativo ha mostrato nel resto della stagione. Il cognome che porta è stato utile fino a qui, in una embrionale carriera in cui ha pur mostrato sprazzi e spunti promettenti ma è anche un macigno il cui peso è difficile togliersi di dosso. A essere onesti, credo abbia ancora margini di miglioramento e il salvagente che gli ha gettato Mercedes potrebbe essergli utile in futuro. Staremo a vedere.

TSUNODA

Difficile giudizio quello sulla stagione di Yuki ma la sensazione è che dopo l’inguardabile stagione 2021 il 2022 sia stato decisamente migliore. Errori banali, gratuiti e inutili, condotte di gara al limite del ridicolo e persino mancanza di velocità hanno lasciato via via il posto, nel corso della stagione 2022 al loro opposto. I risultati apparentemente peggiori rispetto all’anno precedente sono dovuti solo ad una vettura decisamente meno competitiva e non alla guida del piccolo Yuki. Intanto ha messo a posto la velocità: in Q è passato da un 1-19 a 9-12 contro Gasly  portando il gap medio (ponderato) in Q da -528 a -95 millesimi.  Poi ha messo a posto la condotta di gara che è migliorata via via in stagione senza che ciò andasse troppo a detrimento della sua esuberante combattività. Il risultato finale è che mentre Gasly è via via sparito come l’investigatore Blue di Paul Auster il buon Yuki è invece sempre parso pimpante e vivace, al netto dei risultati concreti ottenuti in pista. Dicono che la svolta sia stata il trasferirsi in Italia per masticare Formula 1 da mane a sera. A quanto pare è servito. Bravo.

 

ZHOU

Molto interessante anche la stagione di Zhou. Partito malissimo ha dovuto scontare evidenti problemi di adattamento alla formula e non ha potuto, come Bottas, sfruttare il buon pacchetto che Alfa Romeo ha avuto nelle prime gare. Ecco così spiegato il gap in termini di punteggio in classifica piloti rimediato dal più esperto compagno di team. Tuttavia il nostro ha saputo poi trovare una quadra e nella seconda parte di stagione ha sfoderato numeri di tutto rispetto che, sempre nell’indicativo confronto con il compagno di squadra, così recitano: in Q nelle prime dieci gare ha rimediato un 2-8 con distacco medio di – 687 millesimi ma nelle rimanenti, pur rimediando un 6-7 in griglia ha ribaltato addirittura la situazione sul piano cronometrico dando a Bottas un distacco medio di + 131 millesimi. In gara (numeri non depurati da incidenti/ritiri salvo ritiri nella stessa gara) è arrivato dietro a Bottas sempre nelle prime 11 gare ma poi nelle rimanenti 10 gare ha prevalso 6-4. L’impressione generale è che il meno chiacchierato pilota di F1 sia molto meglio di quanto non ci si aspettasse. Vedremo l’anno prossimo come andranno le cose.

 

ALBON

Una Williams in leggerissimo progresso ma pur sempre ultima in griglia non ha permesso ad Albon di ottenere granché. Tuttavia l’anglo-tailandese ha comunque sfoderato una stagione coi fiocchi. Anche in questo caso è bene affidarsi ai numeri e questi dicono che si è “bevuto” il compagno di team più o meno nello stesso modo in cui se l’era bevuto Russell. La bellezza di un 19-1 in Q condito con un distacco medio di 624 millesimi dicono tutto. Per non parlare poi delle gare in cui Albon ha mostrato una combattività straordinaria (che già si era vista, a onor del vero, nelle sue passate esperienze) e che pur a dispetto della scarsa competitività della Williams l’hanno portato spesso a battagliare per i punti. Decisamente bravo.

LATIFI

Che ve lo dico a fare? Ennesimo figlio di papà che approda in F1 noleggiando il sedile che dimostra che non era proprio il caso. La sua mesta uscita dal circus è la logica conclusione della sua carriera.

DE VRIES

Una nota di merito per De Vries ci sta tutta. Chiamato a sostituire Albon a Monza si è presentato a tutti con una qualifica mostruosa all’8 posto e facendo una gara solidissima che gli ha garantito il nono posto finale. L’anno prossimo in Alpha Tauri, peraltro con un compagno non irresistibile (ma in crescita) come Tsunoda, potrà e dovrà far vedere di che pasta è fatto. Mi aspetto ottime cose perché a differenza dei piloti-bambini che va di moda ingaggiare in questi anni arriverà alla sua prima stagione completa in F1 con l’esperienza giusta e con l’età giusta per fare bene fin da subito (come peraltro ha già dimostrato). Sarà molto interessante.

Buon 2023 a tutti!

 

Metrodoro il Teorematico

BASTIAN CONTRARIO: IL MESSIA NELL’ANNO CHE VERRA’

Il 2022 ormai ci sta salutando per sempre e, sportivamente parlando, di certo non è stato avaro di emozioni e di novità e, come al solito, specie per quanto riguarda la Ferrari, non ha mancato di dividere gli appassionati che la seguono. Binotto è stato mandato via anzitempo prima della fine naturale del suo contratto ed al suo posto è giunto Vasseur dall’Alfa Romeo, accolto come il nuovo Messia che dovrà condurre la Rossa verso la terra promessa. Cammino tutto in salita per lui e la squadra che lo dovrà seguire (o dovrei dire, per rimanere in tema biblico, popolo rosso?), considerando la dirigenza che c’è alle spalle della stessa Gestione Sportiva e, soprattutto, dell’agguerrita concorrenza che si dovrà affrontare. Cerchiamo di capire quali saranno i potenziali scenari per il Messia nell’anno che verrà.

Il primo pensiero non può che andare ai campioni del mondo, consci del loro potere politico in primis e di quello tecnico soprattutto. La Red Bull, dopo anni di digiuno e soprattutto pazienza durante il dominio AMG, non ha fatto altro che rimboccarsi le maniche, rifondando una squadra attorno al suo campione Verstappen. Il loro è stato un lavoro certosino, in luogo del quale hanno fatto crescere il talentuoso olandese attorno ad una squadra già rodata, dopo la scorpacciata di mondiali fatta con Vettel. Contrariamente al dogma Ferrari, nella suddetta squadra, non hanno cambiato una virgola: l’ossatura principale è rimasta la stessa (stabilità come parola d’ordine) e non hanno fatto altro che adeguarla al pilota sul quale hanno puntato ed investito. Come dicevo c’è voluto pazienza e tempo e, alla fine, il risultato è arrivato addirittura in anticipo, perché non è stato necessario aspettare il cambio regolamentare a cui Ferrari tanto si affidava. Red Bull ha avuto la capacità di lottare testa a testa con la Mercedes di Hamilton e, nel contempo, di prepararsi al nuovo regolamento. Proprio in quest’anno che sta per finire, questa squadra ha dimostrato cosa significa avere voglia di vincere: sappiamo benissimo come i bibitari siano giunti a dominare il mondiale 2022 dalla fine dell’estate in poi e, chi mi legge, sa altrettanto bene cosa penso del loro furto in termini di budget cap eppure, al di là del “se è giusto o meno”, loro in mente avevano una sola cosa e cioè vincere a qualunque costo. Il vantaggio tecnico che hanno tratto dallo sviluppo continuo ed indiscriminato che hanno perpetrato è tale che il buffetto sulla mano che la Federazione gli ha dato, in termini di ore di sviluppo in galleria del vento, non gli farà né caldo e né freddo e per questo gli attuali campioni del mondo sono da considerarsi la prima forza dell’anno che verrà e quindi la squadra di riferimento da dover battere. Difficilmente, anche se dovrei dire che è praticamente impossibile, la Red Bull si presenterà sotto ai semafori del primo GP della stagione, con un progetto cannato o comunque in ritardo. Considerando come si è concluso l’anno sportivo, non tanto per loro quanto per le vicissitudini dei diretti avversari, saranno a buon diritto i favoriti per vincere il terzo mondiale piloti consecutivo ed il secondo nei costruttori.

Questa considerazione mi porta immediatamente a rivolgere un pensiero alla Mercedes. La lotta, senza esclusione di colpi nel 2021, ha evidentemente distratto gli ex campioni del mondo sul progetto 2022 ed infatti si sono presentati con una macchina palesemente sbagliata, così sbagliata che loro, come i colleghi bibitari, sono dovuti ricorrere alle loro conoscenze politiche al fine di poter ricucire il gap con gli avversari e poter sfruttare così, tutti i GP che ci sono stati dal Belgio ad Abu Dhabi, come “laboratorio” per sviluppare la monoposto 2022 al fine di capire dove realmente hanno sbagliato e presentarsi, quindi, ai nastri di partenza dell’anno che verrà puntuali come sempre. Anche per quanto riguarda AMG ci troviamo d’innanzi ad un palese caso di “voglia di vincere” a tutti i costi: infatti loro come i colleghi di Milton Keynes, non hanno guardato in faccia a nessuno (emblematico avere all’interno della Federazione… la loro donna di fiducia poi andata via) ed anche loro, come Red Bull con Oracle, hanno avviato da tempo una stretta collaborazione con Ineos per aiutarsi nello sviluppo. Mercedes l’anno scorso, grazie a questa insaziabile voglia di vincere e soprattutto grazie a Ferrari, ha rischiato di arrivare clamorosamente seconda nel mondiale costruttori. Sebbene le incognite a riguardo di queste squadra ci sono ancora, è anche vero che le loro capacità di recupero sono indubbie e non posso non pensare che non saranno della partita… anzi. Hamilton, in quest’ultimo campionato, ha sofferto non poco sia perché non aveva un mezzo all’altezza (il commento via radio di Alonso a riguardo del fatto che “questo ragazzo sa partire bene solo se è in prima fila” la dice lunga) e sia perché il suo primo avversario, cioè il compagno di box, non è stato un cavalier servente come il Bottas dell’annata 2017 – 2018… tutt’altro. Russell, in barba proprio alla riverenza nei riguardi del pluri decorato compagno, non si è fatto pregare, andando a vincere l’unico GP della casa di Stoccarda, lasciando il compagno con le brache calate e a bocca asciutta, non potendo così ritoccare l’unico record che gli rimaneva e cioè vincere almeno un GP da quando ha iniziato a correre. Se è vero che in F1, con apparente stabilità regolamentare, si ricomincia da dove si è concluso, dubito fortemente che AMG si fermerà ad una singola vittoria così come lo stesso Hamilton non starà a guardare né il compagno né gli avversari. La casa della stella a tre punte sarà della partita e qualcosa mi dice che sarà protagonista fino alla fine.

Volutamente ho lasciato Ferrari per ultima nella mia disamina: tanti sono i rancori, i dubbi e le delusioni. Non mi riferisco a come si è concluso il mondiale 2022, sportivamente parlando, bensì a come si è concluso politicamente in seno alla Gestione Sportiva. La Scuderia ad Abu Dhabi, nonostante il golpe in piena regola, attuato dalla dirigenza a mezzo stampa, ha reagito compatta dando un segnale inequivocabile, stringendosi a coorte attorno al suo generale. Ciò non è stato sufficiente per placare la sete di sangue da parte di una dirigenza che non ha nessuna voglia di vincere a differenza dei diretti avversari (o comunque pensano di farlo con le loro “strategie politiche”), nei riguardi di un uomo solo che nonostante i suoi difetti ha portato una squadra dal sesto posto del 2020 al secondo del 2022. Ora tocca al Messia tanto annunciato (dopo il diniego di nomi ben più blasonati del Messia stesso… sic!), darsi da fare! Come sarà il mondiale della Ferrari di Vigna/Tavarez/Elkann (ebbene sì, a noi ci tocca il triumvirato!)? Siamo alle solite purtroppo: come ad ogni cambio di TP (il quinto in dieci anni…. roba da matti!), c’è sempre il solito rinnovato entusiasmo dovuto alla novità del momento e tutte le speranze sono riposte nelle miracolose mani del nuovo arrivato, dimenticando (e Red Bull ed AMG stanno a ricordarcelo ogni giorno) che l’unica cosa che conta è la stabilità! Vasseur a gennaio prenderà possesso della Gestione Sportiva e, praticamente, dovrà portare avanti un lavoro che non solo non è suo, bensì resta da capire anche se sarà in grado di farlo suo. A mio modesto giudizio, Ferrari partirà forte a marzo, perché Binotto aveva già iniziato a lavorare al progetto 2023, individuando le aree su cui intervenire. Solo che un conto è che il suo lavoro viene portato avanti da egli stesso, un altro è che viene portato avanti da un estraneo il quale, giustamente, avrà bisogno di tempo per instaurare il suo metodo di lavoro. Per questo a mio modo di vedere, Ferrari sulla distanza rimarrà col fiato corto come si suol dire… mi auguro di sbagliare. Chissà ad ogni modo se questa volta “l’onda rossa” dei tifosi, che tanto hanno criticato e bistrattato il buon Binotto senza posa, saranno pazienti con il Messia nell’anno che verrà.

PS

A voi tutti che avete la pazienza di leggere la mia rubrica e, soprattutto, allo staff del Blog del Ring con a capo Andras e Salvatore, auguro i migliori auguri di un felice anno nuovo.

 

Vito Quaranta

LE OFF SEASONS DI UNA VOLTA

40 anni fa le pause invernali erano più divertenti. Capitava ad esempio di veder foto del genere arrivare sulla sezione sportiva dei quotidiani nazionali:

Non corse mai ma avrebbe ammazzato la concorrenza. Il passo maggiorato per via della doppia gommatura posteriore garantiva un Venturi mostruoso e la sezione ridotta delle posteriori, che invero erano quattro anteriori, la rendeva capace di velocità di punta equiparabili ai motori turbo dell’epoca. Interessante anche questa:

Altra perla British che non corse mai. La BT51 ad effetto suolo per il 1983 effettua quello che oggi chiameremmo shakedown al Ricard. Le linee snelle ricordano più la vincente BT49 rispetto alla giunonica BT50 che la precedette. Il ban della FIA di fine dicembre 1982 su minigonne ed effetto suolo con imposizione del fondo piatto la pensionarono che era ancora in fasce. La cosa curiosa è che Brabham e Ferrari, pronte con le loro vetture ad effetto suolo per il 1983 (noi con la 126C2B a cambio longitudinale che aveva già corso a fine Mondiale) di fatto dovevano essere le più svantaggiate per la decisione della FIA. Ovviamente Gordon Murray reagì con l’agilità di una pantera e sfornò al volo questa che, altrettanto ovviamente, vinse all’esordio e poi il Mondiale (sia pure con un aiuto irregolare da parte delle benzine illegali sul quale il Vecchio (ovviamente) chiuse un occhio a fine 1983 perchè aveva vinto il Costruttori (quindi stigrandissimicazzi del Piloti)

Nelson Piquet (BRA) Brabham BT52 finished second.
Monaco Grand Prix, Rd 5, Monte Carlo, 15 May 1983.
BEST IMAGE

Noi altri invece, con la famigerata velocità di un Ministero il giorno prima delle vacanze di Natale, portammo in pista questa cassapanca ai limiti dell’inguardabile

Patrick Tambay (FRA) Ferrari 126 C2B

Verso metà stagione invece (sic) venne pronta questa, ossia la 126C3 “punto zero”

Alle sue forme snelle fecero seguito i record in pista nei test a Fiorano e Zeltweg. Misteriosamente cassata a favore dell’aero della 126C2B (sic) che debuttò a SStone nelle mani di Tambay in ossequio al fatto che precedeva Arnoux nel Piloti

Altri tempi proprio……..

IL VALZER DELLE POLTRONE

Adesso è ufficiale. Vasseur nuovo TP Ferrari e Binotto a svernare in attesa di ricevere chissà quale alto incarico.

Chi pensava ad Audi per Mattia oggi ha dovuto ricredersi perché Andreas Seidl lascerà la Mc Laren e si “accomoderà” proprio sui 4 anelli via Sauber.

Fuori anche Jost Capito ed il DT della Williams il giro delle poltrone potrebbe non terminare ancora.

E così, con tutti questi nomi in giro, in Ferrari hanno puntato sull’uomo con il curriculum meno scintillante per riportare ai fasti di un tempo l’armata rossa.

Il “nuovo” AD della rossa ha scelto di portarsi in casa un uomo gradito al board di Stellantis (pure a Tavares che gli è amico) portando a compimento l’ennesimo “repulisti” in pianura padana, seguendo il filo della tradizione che ormai è pedissequementeripetuta con cicli che diventano sempre più frequenti.

C’è chi punta sulla continuità e chi sull’esatto opposto.

Per fortuna non ci vorrà molto per capire chi ha ragione, anche se buttando un occhio alla storia di altri team la risposta non è nemmeno in discussione.

Voci parlano di un Binotto nel mirino di Liberty Media per un incarico abbastanza importante.

La rossa se lo ritroverà contro come già accaduto con …….. a voi l’elenco dei nomi.

 

Buona Formula a tutti.