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L’Orso Polare

…you must be either blind or an idiot…
J.P.Montoya – Press Conference, Imola 2004

La gara è appena finita e Juan Pablo Montoya sta commentando il suo attacco a Micheal Schumacher alla Tosa. L’attacco è stato quantomeno ottimistico; un tentativo all’esterno di una curva a 180°. L’alfiere rosso ha facilmente aperto la traiettoria andando a mettere di fatto il colombiano sull’erba. Il quale in sala stampa dà senza mezzi termini dell’idiota al tedesco.
Nei mesi a seguire la contrapposizione fra Schumacher e Montoya, anche a seguito del controverso incidente all’uscita del Tunnel di Montecarlo, raggiunge il calor bianco e con essa la polarizzazione fra i tifosi della rossa vincente e apparentemente imbattibile; e resto del mondo che si lecca le ferite e che trova in Montoya un balsamo per lenire le ustioni rosse.
Montoya pur mostrando un istinto killer nella guida (il suo sorpasso al Bus Stop sempre a Schumacher rimane una pietra miliare) non manterrà le promesse e lascerà la Formula 1 senza risultati di rilievo.
Ma il punto nodale non sono tanto i risultati ma l’impatto che il colombiano ha avuto sul pubblico della Formula 1.
Nel corso degli anni nella Formula 1, soprattutto dagli anni ottanta in poi, le figure divisive e polarizzanti sono sempre state presenti. Lo stesso Schumacher, la maestà lesa che in conferenza stampa si beccava dell’idiota, esordiva come il più classico dei “bad-boys”.
Metteva a muro volontariamente Derek Warwick nel WEC, confessava candidamente davanti ai microfoni di Eurosport di aver fatto un test-brake sul collega Hakkinen a Macao per non parlare delle primissime e virulente avvisaglie di lotta senza esclusione di colpi con la Maestà sensibilissima alla sua lesione, per definizione, Ayrton Senna da Silva.
Ma prima che Senna catechizzasse, rigorosamente in diretta e a favore di telecamera, l’irruento tedesco, il paulista è stato per anni l’iconoclasta dello status quo precedente; ripreso e riportato sulla retta via a colpi di ceffoni o di test-brake dai suoi stessi colleghi.
Ancora oggi Martin Brundle ricorda come a Oulton Park Ayrton gli avesse parcheggiato la Ralt sulla testa con una manovra ben oltre il consentito; e non per modo di dire.
Oggi il ruolo della peste che rompe lo status quo è perfettamente interpretato da Max Verstappen; il figliol prodigo di Jos dotato, rispetto al padre, di un talento più cristallino e della stessa supponenza sfacciata e ostentata.
Promosso a metà stagione dai vertici della Red Bull Racing, con una operazione di marketing pressoché ineccepibile, ha immediatamente mostrato una prontezza di lingua persino superiore al manico mostrato in pista. Rifila più volte dell’idiota a Vettel, del vecchio rincoglionito a Lauda, non si lascia scomporre più di tanto quando uno snervato Toto Wolff telefona a suo padre dopo il violento attacco che avrebbe potuto mettere fine alle speranze iridate di Nico Rosberg; e chi più ne ha più ne metta.
In pista mostra non avere timore reverenziale di niente e nessuno e assurge immediatamente a motore immobile della polemica e della vecchia amatissima polarizzazione fra pro e contro.
Per uno sport che suscita interesse ormai solo nei decrepiti affezionati ad un epoca che ormai non solo non c’è più, ma viene dileggiata di continuo, la presenza di Verstappen è salutata come una manna. E come tale trattata dai vertici della FiA che più volte hanno usato pesi diversi nel giudicare gli episodi a seconda che vedessero o meno coinvolta la preziosissima pepita olandese.
Ma anche questo è un film già visto e le stesse identiche cose si dicevano dell’indulgenza FiA nei confronti di uno Schumacher agli esordi quando questi, dopo la prematura scomparsa di Senna, era diventato l’ultimo fulcro di interesse per la massima serie.
Fino a questo momento, quindi, potrebbe tranquillamente ascrivere il “fenomeno Verstapen” come un qualcosa di già visto nel corso degli anni passati; un giovane pilota dai modi irriverenti, quando non maleducati, adorato dalla FiA e dai suoi tifosi, che sconvolge il panorama motoristico a suon di prestazioni e di polemiche.
Un canovaccio utilizzato più e più volte per smuovere il modo compassato della massima serie con costanza quasi cronometrica.
Quello che appare radicalmente nuovo sono le condizioni al contorno di tale fenomeno.
La pubblicazione dei Team Radio segue un canovaccio ben preciso; chiunque abbia accesso a tutti i team radio sa come i lamenti dei piloti siano uniformemente distribuiti eppure solo alcuni vengono mandati in onda. Scelta che appare fatta per polarizzare ancora di più il pubblico in una continua ricerca del sensazionale e della polemica.
E forse non è un caso isolato quello che riguarda l’atteggiamento della Formula 1 nei confronti del suo pubblico più giovane.
Ma il punto nodale appare sempre lo stesso: la direzione che vuole prendere la massima divisione delle competizioni automobilistiche.
Il pubblico giovane, quello che pare sempre latitare nelle statistiche che riguardano il motorsport, segue ormai canali secondari non ascrivibili ai media classici; non appaiono nelle categorie rilevanti per le analisi degli ascolti perché difficilmente utilizzano tali canali. Sono più orientati allo streaming web che non alla forma classica contrattuale delle Pay Tv cui ormai la F1 pare essersi donata nella sua interezza.
Calamitare l’attenzione del pubblico giovane e portarlo verso una forma più istituzionale di rapporto cliente/provider non è un compito banale.
Né tantomeno  lineare.
L’operazione messa in pista da parte di CVC negli anni passati ha di fatto ridotto del 30% il pubblico televisivo della Formula 1 portandola in quasi tutti i paesi sotto l’ombrello della TV a pagamento.
Se da un punto di vista puramente commerciale quasi tutti gli analisti hanno salutato l’operazione come un successo in virtù della maggiore coesione del pubblico e propensione all’acquisto (un pubblico disposto a pagare per la F1 è decisamente più interessante da un punto di vista del marketing e dell’offerta pubblicitaria) dal punto di vista dell’apertura verso le generazioni future che mantengano tale interesse e numeri costante, appare meno evidente.
Forse la presenza di un pilota con cui potersi banalmente identificare, un ragazzo che parla la lingua giovane sui generis sempre in mezzo alle critiche potrebbe essere un buon viatico.
Per questo questa sede ritiene la presenza di Max Verstappen non solo opportuna ma in un certo qual modo salvifica nell’attuale panorama asfittico della serie maestra.
Con buona pace dei colleghi a cui farà saltare il fegato.
La vera domanda è se sarà sufficiente l’ennesimo “bad-boy” di talento per convincere un pubblico abituato allo streaming free a convertirsi ai costosissimi bizantinismi delle Pay Tv.

L’Orso Polare del titolo era originariamente un Orso Cartesiano prima di un cambiamento di coordinate.
Se la spiegazione precedente vi ha fatto sorridere, preoccupatevi…