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LA STORIA DELLA FERRARI 312B: 1969

La F1 è al suo quarto anno della nuova formula che prevede motori da 3000 cm³ ad alimentazione atmosferica (oppure sovralimentati da 1500 cm³) e un peso minimo di 500 kg.

Questa rivoluzione tecnica comporta costi elevati che non tutti i costruttori si possono permettere. La Coventry-Climax, che ha dominato la prima metà degli anni ’60 con Cooper e Lotus, è stata assorbita dalla British Leyland e ha abbandonato le corse dopo aver costruito un 16 cilindri piatto da 1500 cm³, investimento reso vano dal cambio di regolamento. Anche la Repco, vincitrice dei mondiali 1966 e 1967 con la Brabham, ha chiuso con la F1 a causa dei costi troppo elevati da sostenere mentre la Honda si è ritirata dai GP in seguito al tragico incidente costato la vita a Jo Schlesser a Rouen nel 1968. Nello stesso anno chiudono i battenti anche la Cooper (che dopo la cessione della Maserati alla Citroën aveva montato i V12 BRM ma senza risultati apprezzabili) e la Eagle di Dan Gurney che preferisce concentrare gli sforzi nel campionato USAC.

A fronte di tante uscite di scena ci sono solo due nuovi arrivi, ma molto importanti.

La Matra è entrata in F1 nel 1968 con una monoposto autocostruita e un bellissimo motore V12 ma per il 1969 sceglie di partecipare al più importante Mondiale Sport Prototipi nel quale sfiderà Ferrari, Ford, Porsche e Lola. La presenza in F1 viene quindi lasciata alla scuderia di Ken Tyrrell che però utilizza il motore Ford Cosworth, ed è proprio quest’ultimo a rappresentare la più importante innovazione di questo periodo storico della F1.

Il progetto risale al 1965 quando il lungimirante Colin Chapman coinvolge nientemeno che la Ford, nella persona del suo vice-presidente per l’Europa Walter Hayes, nella costruzione di un V8 dal miglior rapporto qualità/prezzo per equipaggiare le Lotus di F1. Chapman ha già collaborato con il colosso statunitense fin dal 1963, quando collaborò con la Casa di Detroit per correre la Indy 500 e per l’elaborazione del motore della Ford Cortina da parte di Keith Duckworth il quale, insieme a Mike Costin, aveva dato vita alla Cosworth. Hayes convinse Henry Ford II a investire 100mila sterline (circa un milione e 800mila € di oggi) nella realizzazione di un V8 da 3000 cm³ che altro non era che l’unione di due motori a 4 cilindri da 1500 cm³ con un angolo di 90°. L’unità con basamento in alluminio pesa appena 163 kg, sviluppa fin da subito una potenza di 410 cavalli (saliti a 430 nel 1969), necessita di soli 3 punti di attacco alla scocca ed è a struttura portante, cioè gli si può collegare direttamente la sospensione posteriore (oltre a cambio e differenziale) senza bisogno di ulteriori strutture e relativo peso. Con il Cosworth DFV nasce la F1 moderna, più compatta e leggera a prescindere dalla potenza del motore. Dal 1968 il DFV viene messo in vendita a 10 milioni di lire italiane (circa 100mila €) e acquistato da Brabham, McLaren e Tyrrell (per i telai Matra da lui gestiti) oltre alla Lotus che aveva avuto l’esclusiva per il 1967. Il prezzo contenuto è dovuto alla produzione standardizzata di una trentina di unità all’anno grazie all’utilizzo di macchine utensili a controllo numerico (a nastro perforato).

Gli altri motoristi concorrenti sono la BRM e la Ferrari. La Casa di Bourne, dopo il fallimento del pesantissimo H16, ripiega su un nuovo e più gestibile V12 a 60° da 420 cavalli ma dispone di una vettura pessima affidata a John Surtees e Jackie Oliver.

A Maranello le cose non vanno esattamente bene. Il V12 Ferrari dispone circa della stessa potenza del DFV ma è costretto a imbarcare circa 35 kg di benzina in più e ha meno potenza disponibile sotto ai 9800 giri/min rispetto al Cosworth. Il problema principale è però prettamente economico: la Rossa è al verde. Dopo il fallimento dell’accordo del 1963 e la relativa “guerra” contro la Ford, Enzo Ferrari vende il 50% della sua azienda alla FIAT (che aveva già raggiunto un accordo per la produzione del V6 Dino nel 1965) con diritto di prelazione per il restante 40% alla morte del Drake. Il 10% restante va al secondogenito Piero, cui spetterà la carica di vicepresidente. Questo investimento permette di costruire le 25 vetture 512S necessarie per l’omologazione nel Gr. 5 per il 1970 e di sviluppare la nuova F1, la 312B. Si tratta di una monoposto completamente nuova e ispirata alla Lotus 49, diventato un vero e proprio punto di riferimento della categoria. Il progetto di Mauro Forghieri rappresenta un cambio di passo rispetto alla recente storia della Ferrari, a partire dal motore. Mentre Stefano Jacoponi cerca di spremere il possibile dal vecchio V12 a 60° spostando gli scarichi dal cento della V ai lati, Furia progetta insieme a Franco Rocchi e Giancarlo Bussi un motore piatto (a V di 180°, come ama chiamarlo lui) per abbassare il baricentro e “pulire” il flusso d’aria verso l’ala posteriore che era stata abbassata dalla CSI a non più di 20 centimetri dalla tangente tra le ruote anteriori e posteriori. I pistoni avevano inoltre una corsa corta per aumentare il regime di rotazione e aumentare la coppia disponibile per contrastare il Cosworth.

Il telaio è un classico tubolare irrigidito da pannelli in alluminio rivettati che, oltre agli attacchi del motore simili a quelli della Lotus 49 ha anche una trave longitudinale posta alle spalle della testa del pilota, alla quale è “appeso” il propulsore, che fornisce ancora più rigidità alla struttura.

Un progetto così innovativo necessita di un grosso lavoro di sviluppo e la Ferrari ha quello che è considerato dallo stesso Forghieri il miglior collaudatore possibile: Chris Amon. Il neozelandese è arrivato in Ferrari nel 1967, ha vinto la 24 Ore di Daytona 1967 in coppia con Lorenzo Bandini, ha vinto la Tasman Series di F2 1969, ha conquistato 3 pole position e 6 podi in F1 ma non è mai riuscito a vincere un GP mondiale a causa di banali guasti tecnici indipendenti dalla sua guida (Spagna e Canada 1968 e Spagna 1969). Le casse vuote della Ferrari costringono la Scuderia a cominciare il Mondiale 1969 con una sola 312/69 per Amon (la cessione alla FIAT arriva a giugno) che nei primi 6 GP si ritira 5 volte per noie meccaniche, conquistando il terzo posto a Zandvoort ma staccato di 30 secondi dal vincitore Stewart.

 

Ferrari e Forghieri decidono di non partecipare al settimo GP (che si deve disputare il 3 agosto al Nürburgring) per provare la nuova 312B all’Aerautodromo di Modena, con l’obiettivo di farla debuttare il 7 settembre a Monza e regalare ai tifosi italiani una speranza per il ritorno a quel vertice che manca dal 1964. Amon è decisamente stanco della situazione che si è venuta a creare. Ironia della sorte, il suo ex compagno di squadra Jacky Ickx (che ha ottenuto proprio in Ferrari quella prima vittoria che lui non ha ancora potuto celebrare) vince al Nürburgring con la Brabham che monta il Ford-Cosworth, alimentando nel neozelandese la voglia di cambiare squadra.

I primi test della 312B denotano un ottimo potenziale ma anche notevoli problemi di affidabilità a carico del motore: prima un pistone, poi l’albero motore ma soprattutto una scarsa lubrificazione. Forghieri apporterà le necessarie modifiche ma Amon non ci crede più: “Potevo sentire che era una macchina tremendamente forte e potente durante quei primi test, ma continuava a perdere pezzi e non ne potevo più di tutto questo”. Il neozelandese rescinde il contratto e non conclude nemmeno il campionato dopo aver firmato per la neonata March.

 

Giovanni Talli

“LA BACHECA DEI RICORDI” – IL DISASTRO DI PORSCHE

1991 – Le idee folli in F1

Correva l’anno 1987 e Porsche diede a Mezger la possibilità di creare una nuova unità aspirata a 12 cilindri 3500 cc, convinti di riuscire a portate in pista una soluzione innovativa, sviluppando un progetto che prevedeva la fusione di 2 motori V6.

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Il propulsore denominato 3512, venne adottato nel 1991 dalla Footwork – Arrows che lo montò sulla sua FA12.

L’unità era caratterizzato da una strana presa di forza a metà del blocco cilindri, che doveva risultare un punto di forza per elevate potenze, ma il tutto restò fermo alla teoria.

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(Alboreto su FA12)

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(Johansson su FA12)

I problemi arrivarono fin da subito, visto che il motore era molto ingombrante e costrinse Footwork a usare la vettura del ’90 a inizio stagione ’91, perchè sulla FA12 era impossibile montarlo.

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Quando si riuscì a installare il motore, il team, nonostante l’appoggio di Porsche e due piloti del calibro di Michele Alboreto e Stefan Johansson, non riuscirono mai a trovare una via di sviluppo, a causa di un progetto fin troppo vetusto.

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Il peso era il principale problema, basti pensare che il Ferrari era più leggero di circa 50 kg (189 contro 139). Inoltre il rivoluzionario metodo pensato da Metzger, per fornire energia al centro del motore, portò anche a numerosi e continui problemi di pressione dell’olio.

Vista la scarsa affidabilità e peso, il V12 teutonico venne pensionato per passare a un più leggero e affidabile Cosworth DFR V8. Il cambio venne fatto nel gp di Francia.

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Storia e passione #blogdelring

Saluti

Davide_QV

LongBeach’83: elementare Watson

Il campionato del mondo di Formula 1 1982 fu segnato tanto da terribili tragedie, quanto dallo spettacolo in pista, con gare incerte, undici diversi vincitori in sedici appuntamenti e il titolo assegnato in occasione della prova finale a Keke Rosberg, che portò per l’ultima volta sul tetto del mondo il motore Ford Cosworth, in una stagione dove si imposero con prepotenza i motori Turbo, destinati a dominare la scena negli anni a venire.

La ricerca di propulsori sovralimentati non fu l’unica novità tecnica, in quanto anche un mondo cinico come quello della Formula 1 non poté chiudere gli occhi di fronte alle tragedie avvenute in pista e di conseguenza la serie di gravi incidenti, uniti alla morte del giovane e sfortunato Paletti oltre a quella di uno dei piloti più rappresentativi, Gilles Villeneuve, portò ad un repentino cambio delle norme, situazione analoga a quella che si sarebbe verificata purtroppo anche dodici anni più tardi.  Il 13 ottobre 1982 venne pianificata una consistente modifica del regolamento tecnico che vietò il fondo piatto e le minigonne, portando il peso minimo delle monoposto a 540 Kg con portata del serbatoio a 250 kg e autorizzazione del rifornimento in corsa; le decisioni della Federazione furono appoggiate dai piloti e costrinsero i team a modificare le vetture già progettate per la stagione 1983, superando tra l’altro il Patto della Concordia che aveva congelato il regolamento tecnico fino al 31 dicembre 1984. La risposta delle case costruttrici non si fece attendere e fu discussa il 3 novembre, giorno in cui si giunse ad una mediazione, posticipando il debutto iridato al 13 marzo in Brasile con conseguente spostamento del Gran Premio del Sudafrica a fine stagione, una scelta che non rese comunque vita facile ai team, tanto che in occasione della prova inaugurale l’unica vettura completamente nuova fu la Brabham Bt52, seguita a ruota dalla Renault Re40, mentre il resto dei partenti iniziò la stagione con le vetture dell’anno precedente adattate alle nuove regole, portando in pista i nuovi modelli successivamente nel corso del campionato.

La prima prova iridata confermò il potenziale delle vetture turbo e sul velocissimo tracciato di Jacarepagua il campione in carica Rosberg fu autore di un piccolo miracolo, conquistando la pole position davanti a sette vetture sovralimentate, mentre il secondo aspirato in griglia fu Lauda, distaccato di un secondo e mezzo in un’anonima quinta fila. Nel corso del Gran Premio Rosberg testò personalmente la pericolosità dei rifornimenti, uscendo di corsa dalla vettura incendiata durante la sosta, poi ripartì spinto dai meccanici e venne squalificato, vedendo quindi annullato il suo secondo posto al traguardo, mentre Piquet vinse agevolmente una corsa dove i principali rivali nella corsa al titolo furono messi fuori gioco da vari problemi tecnici.

I motori aspirati, penalizzati nei circuiti più veloci, avrebbero potuto alzare la voce nei tracciati cittadini di Long Beach, Montecarlo e Detroit, dove le vetture turbo, di cui molte in fase di studio e non ancora perfettamente affidabili e bilanciate, avrebbero patito tra muretti, brevi rettilinei e continue accelerazioni. Il primo di questi appuntamenti fu quello di Long Beach, seconda prova in calendario, in un circuito già “ritoccato” in seguito al drammatico incidente di Regazzoni del 1980 e ora modificato in modo più radicale nel tentativo di limitare i forti saliscendi e rendere più sicuro l’ingresso ai box, anche se il nuovo layout risultò nei fatti più veloce e potenzialmente più pericoloso. Tra i concorrenti spinti dal Ford Cosworth vi era la Mclaren, ancora in attesa del Tag-Porsche che avrebbe debuttato a stagione in corso, ma le due vetture di Watson e Lauda non incisero in prova, trovandosi rispettivamente in ventiduesima e ventitreesima posizione a quattro secondi dalla pole di Tambay, il quale rifilò otto decimi al compagno di squadra Arnoux, anche lui in prima fila, mentre la seconda fu monopolizzata dalle Williams di Rosberg e Laffite.

Le vetture partirono dunque per il giro di ricognizione con prima fila tutta Ferrari e seconda fila Williams, poi a seguire De Angelis (Lotus), Warwick (Toleman), Alboreto (Tyrrell), Prost (Renault), Sullivan (Tyrrell), Jarier (Ligier), Patrese (Brabham), Jones (Arrows, unica presenza stagionale), Mansell (Lotus), Giacomelli (Toleman), Cheever (Renault), Surer (Arrows), Cecotto e Guerrero (Theodore), De Cesaris (Alfa Romeo), Piquet (Brabham), Baldi (Alfa Romeo), Watson e Lauda (Mclaren), Winkelhock (Ats), Salazar (Ram) e Boesel (Ligier), mentre i sue alfieri dell’Osella, Corrado Fabi e Piercarlo Ghinzani, dovettero seguire la gara da spettatori, avendo mancato la qualificazione.  Le prime fasi di gara videro come protagonista, nel bene e nel male, uno scatenato Rosberg, il quale partito dalla seconda fila, cercò subito di prendere il comando infilandosi tra le due Ferrari toccando quella di Arnoux, mentre nel corso del primo giro tentò un sorpasso impossibile su Tambay compiendo uno spettacolare 360° fortunatamente senza conseguenze. Il gruppo procedeva compatto tra i muretti di Long Beach e non mancarono i sorpassi: nel corso del secondo giro Patrese infilò Sullivan, che poco dopo cedette il passo anche alle Renault di Cheever e Prost, poi quest’ultimo iniziò a patire problemi tecnici che lo traghettarono nelle retrovie, così come Arnoux, costretto ad una sosta d’emergenza causa un inatteso degrado degli pneumatici.

I primi continuavano a viaggiare a strettissimo contatto, con Tambay sempre in testa davanti alle Williams di Rosberg e Laffite, in forte pressing sul ferrarista e  seguiti da Alboreto, Cheever, Patrese e Jarier. La bagarre per le prime posizioni favorì i colpi di scena: Cheever perse contatto con il gruppo dopo essere rientrato ai box con i meccanici Renault ancora impegnati con la vettura del compagno di squadra, mentre Jarier tentò un sorpasso ardito su Alboreto mettendolo fuori gioco, anche se a stravolgere realmente l’esito della corsa fu di nuovo Rosberg; il finlandese attaccò Tambay nel corso del ventiseiesimo giro causando il ritiro dell’avversario, poi proseguì e in prossimità del tornantino finale toccò la Williams del compagno di squadra e fu colpito a sua volta da Jarier, con conseguente ritiro dei due piloti e passaggio in testa di Laffite, seguito da Patrese, Surer e dalle sorprendenti Mclaren di Lauda e Watson, entrambi abilissimi a sfruttare le disavventure altrui per portarsi in zona punti dopo essere partiti dal fondo dello schieramento.

La coppia Mclaren proseguì in simbiosi la propria marcia ed entrambi i piloti infilarono Surer, poi Watson ruppe gli indugi e passò Lauda in staccata al termine della Shoreline Drive; bastarono una manciata di giri e i due, sempre vicinissimi tra loro, superarono anche Patrese e infine Laffite, in crisi con gli pneumatici, arrivando clamorosamente al comando della corsa. Ad animare un Gran Premio destinato ad entrare nella storia ci pensò anche René Arnoux, autore di una grande rimonta in seguito al cambio gomme: raggiunto Cheever, lo seguì fino a quando quest’ultimo si incollò alla Williams di Laffite per poi passare entrambi. Nelle fasi finali la corsa perse Cheever e Patrese per problemi tecnici, mentre Lauda fu vittima dei crampi e si limitò ad amministrare un ottimo secondo posto rinunciando ad attaccare il compagno di squadra Watson, che vinse la sua quinta ed ultima gara in Formula 1, primo ed unico nella storia a conquistare il gradino più alto del podio partendo dalla ventiduesima posizione, impresa resa ancora più incredibile dal piazzamento di Lauda, ventitreesimo in griglia e secondo al traguardo.

Il podio del Gran Premio fu completato da Arnoux, ultimo a pieni giri, mentre in zona punti si classificarono anche (a un giro) Laffite, Surer e Cecotto, primo venezuelano a punti in un Gran Premio iridato; a seguire (a due giri) Boesel, Sullivan e Alboreto, poi (a tre giri) Prost, Mansell, Patrese e Cheever, questi ultimi ritirati ma classificati avendo coperto un numero di giri sufficiente. Lauda passò in testa al mondiale con 10 punti, contro i 9 di Watson e Piquet, poi come previsto presero il largo le vetture Turbo e la lotta per il titolo vide come protagonisti Piquet, Prost e Arnoux; le Mclaren vissero invece una stagione di transizione e, dopo aver mancato entrambe la qualificazione a Montecarlo, raccolsero poche soddisfazioni, con due podi di Watson a Detroit e Zandvoort, pista dove Lauda, che nel resto del campionato raccolse due soli punti, portò al debutto il propulsore sovralimentato Tag-Porsche destinato a riportare le vetture biancorosse al vertice.

L’impresa di Long Beach fu l’ultima perla nella storia del trentasettenne John Watson, il quale, nonostante le convincenti stagioni alla corte di Ron Dennis, dovette lasciare il posto al promettente Alain Prost, per poi tornare un’ultima volta al volante due anni più tardi, quando corse a Brands Hatch in sostituzione di Lauda portando al traguardo in settima posizione la Mclaren numero 1, ultimo a correre con quel numero senza essere campione del mondo in carica. La carriera del pilota inglese si concluse con 154 presenze, 5 vittorie, 2 pole position, 5 giri più veloci e 20 podi, oltre alla soddisfazione di essersi confrontato a testa alta con due piloti del calibro di Prost e Lauda.

Se questo racconto non vi è bastato, a voi una sintesi della gara.

Buona visione da Mister Brown