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F1 in pillole – Capitolo 7

Nel corso della stagione 1986 i motori sovralimentati avevano raggiunto in qualifica potenze ben oltre i 1000 cv, determinando costi di sviluppo sempre più elevati, oltre a serie preoccupazioni sulla sicurezza, purtroppo confermate dal tragico schianto che costò la vita a Elio De Angelis durante un test al Paul Ricard, dove le misure di sicurezza si dimostrarono pesantemente inadeguate. In base alle deroghe definite dal “patto della concordia”, la FISA decise senza consultare i team di avviare la progressiva eliminazione dei motori turbo con la contestuale introduzione di limitazioni. arrivando alla messa al bando prevista per il 1989. In questa grande fase di cambiamento Alain Prost mise nel cassetto l’etichetta di eterno secondo, il mansueto Mansell divenne un leone, Piquet conquistò il terzo titolo iridato e, mentre la Ferrari si allontanò dal vertice, una nuova stella iniziò a brillare nel mondo dei gran premi: Ayrton Senna. Oltre ai grandi protagonisti, tra spese folli e potenze mostruose, tra i piccoli team non cessò mai la speranza di conquistare un posto al sole, ed è proprio a loro che dedichiamo il piccolo spazio di oggi.

La F1 verso il ritorno agli aspirati

Con la previsione di ritorno ai motori aspirati e considerando la differenza di prestazione tra gli stessi e i turbo, la FIA promosse nel 1987 un trofeo dedicato intitolato a Jim Clark per i piloti e un altro dedicato a Colin Champan riservato ai costruttori. Partecipavano Tyrrell, AGS, Larrousse, March e Coloni (ovvero le vetture sprovviste di motore sovralimentato) con i rispettivi piloti, attraverso l’assegnazione di punti identica a quella del mondiale considerando l’ordine di arrivo “relativo” delle vetture partecipanti nella classifica di fine gara. Il Trofeo Jim Clark venne assegnato a Jonathan Palmer, pilota della Tyrrell a motore Cosworth, la quale vinse il Trofeo Colin Chapman per i costruttori.

Zakspeed finalmente tra i primi sei

La Zakspeed, dopo alcune esperienze in campionati automobilistici tedeschi, tentò la strada della Formula 1 con un consistente sponsor “tabaccaio” ed un ambizioso progetto di vettura interamente costruita in casa, stile Ferrari, con un proprio motore sovralimentato. Dopo due stagioni difficili, nel 1987 venne ingaggiato Martin Brundle, che ad Imola partì in ottava fila e chiuse al quinto posto, cogliendo gli unici punti nella storia del team, che nei due anni successivi riuscì a qualificarsi con sempre maggiore difficoltà (nel 1989 solo due partenze e due ritiri su 32 tentativi), decidendo poi di chiudere i battenti per spostare la propria attenzione sulle ruote coperte.

Primi punti giapponesi in F1

Tra gli anni settanta e ottanta i piloti giapponesi in Formula 1 erano soliti disputare esclusivamente il gran premio di casa con alterne fortune, tanti anni dopo il primo a correre con regolaritá fu Satoru Nakajima, che alla sua seconda apparizione, nel 1987 a Imola, andó a punti. Esaurita la benzina a due giri dal termine, fu classificato sesto. Corse fino al 1991 con Lotus e Tyrrell, ottenendo 16 punti in 80 gran premi.

A Spa paura per Palmer e Streiff

Il Gp del Belgio 1987 richiese due start in quanto alla prima partenza Streiff uscì di strada all’Eau Rouge e venne colpito dal compagno di squadra Palmer. L’immagine terrificante con la vettura spezzata in due tronconi generò apprensione, ma i due piloti uscirono fortunatamente dall’abitacolo senza danni fisici. Due anni più tardi la sorte non fu però benevola con Streiff, vittima a Jacarepagua di un incidente con l’Ags che lo rese tetraplegico; il francese si distinse poi per le proprie attività sociali e a favore dell’inserimento dei disabili nello sport e per recenti polemiche sorte circa alcune sue dichiarazioni sulla salute di Michael Schumacher poi smentite dalla famiglia del campione tedesco.

Mandingo più forte della sfortuna

Nel 1985 per De Cesaris sfumò un passaggio ormai certo alla Brabham che si concretizzò solamente due anni più tardi, quando il team era ormai in totale declino. Il pilota romano mise in pista la consueta grinta ma l’inaffidabilità del mezzo non gli consentì mai di tagliare il traguardo, nemmeno in occasione del podio ottenuto a Spa, quando al termine di una gara di grande sostanza e intelligenza tattica rimase senza benzina a pochi metri dal traguardo; ultimo pilota a pieni giri, uscì sconsolato dalla vettura ma venne classificato terzo, risultato meritatissimo.

Ags: chi va piano arriva sano

Dopo due gare con Capelli e il turbo Motori Moderni nell’anno del debutto, dal 1987 l’Ags passò al motore aspirato Cosworth e scelse il debuttante Pascal Fabre. La vettura si rivelò molto lenta, tanto che in prova il francese accusò costantemente distacchi di oltre dieci secondi dalla pole, anche se l’affidabilità permise al team di ritirarsi in due sole occasioni nelle prime dieci gare, con un nono posto in Francia e Inghilterra come migliore risultato. Pare che lo sponsor principale non fosse troppo dispiaciuto per le prestazioni in quanto Fabre solitamente terminava le gare con alcuni giri di distacco e il doppiaggio da parte dei top team garantiva un buon numero di passaggi televisivi. Per le ultime due gare il volante fu affidato a Roberto “Pupo” Moreno che ad Adelaide si qualificò 25esimo a 6,3″ dalla pole, arrivando sesto in gara a tre giri dal vincitore, vincendo il confronto con la Zakspeed di Danner. L’Ags restò in Formula 1 fino al 1991 conquistando solamente un altro punto con Gabriele Tarquini, sesto al gran premio del Messico del 1989. Terminata l’esperienza in F1 la scuderia francese si è specializzata in rinomati corsi di pilotaggio.

Punti fantasma per Dalmas

Definito da alcuni “il nuovo Prost”, grazie alle ottime prestazioni nelle formule minori, Dalmas ha conquistato notevoli successi a ruote coperte quali un mondiale sport prototipi, quattro affermazioni alla 24 ore di Le Mans e una vittoria alla 12 ore di Sebring. In Formula 1 non ebbe grandi occasioni di mettersi in mostra e si piazzò tra i primi sei una sola volta, in Australia nel 1987, anche se in quell’anno la Larrousse aveva iscritto una sola vettura (per Alliot) e da regolamento il secondo pilota iscritto (nel suo caso per le ultime tre gare) non poteva conquistare punti validi per il mondiale. Nel 1988 non ottenne punti, poi si fermò momentaneamente per motivi di salute, mentre nei due anni successivi, tra Larrousse e Ags, si qualificò in sole cinque occasioni, ritornando per una breve esperienza in due gare nel 1994 senza ottenere risultati e spostandosi poi definitivamente verso le ruote coperte.

Finisce l’era del turbo

La Formula 1 partì nel 1988 da Jacarepagua con le nuove norme di equivalenza FISA fra i turbo e gli aspirati (riduzione della pressione di sovralimentazione a 2,5 bar e capacità dei serbatoi a 150 litri) che, contrariamente alle previsioni, non si rivelarono particolarmente efficaci: le vetture turbo infatti inizialmente dominarono la scena. Tra i nuovi team, con un convenzionale Cosworth, debuttò la Eurobrun, che riuscì a qualificarsi con entrambi i piloti. Oscar Larrauri, 26esimo in prova a 7.6 sec. da Senna, non riuscí a terminare nemmeno un giro causa un guaio elettrico, poi in stagione ottenne un 13esimo posto come migliore risultato, mentre Stefano Modena riuscì a classificarsi undicesimo all’Hungaroring.

L’ultima Formula 3000 in Formula 1

Nelle prequalifiche di Jacarepagua la Scuderia Italia debuttò schierando una vettura di F.3000, (come la March nel 1987): la nuova monoposto 188 F1 prodotta dalla Dallara non era ancora pronta e il team, per non incorrere in sanzioni economiche, si presentò con una Dallara 3087 di Formula 3000, dotata di un motore Cosworth DFV da 3000 cm³. Com’era prevedibile, Alex Caffi non riuscì a superare le prequalifiche; fu l’ultima F3000 iscritta nel mondiale di Formula 1.

La Formula 1 saluta Detroit

Il circuito di Detroit, disegnato lungo le sponde dell’omonimo fiume nelle vicinanze del Renaissance Center, ​come molti circuiti cittadini aveva una​​ sede stradale stretta delimitata da muretti e guard rai​l ​per una lunghezza totale di 4.023 metri.​ ​La Formula 1 ​vi ​ha corso tra il 1982 e 1984 (gran premio Usa Est) e tra il 1985 e il 1988 (gran premio degli Usa) prima che la competizione in terra americana ​​si spostasse a Phoenix.​ ​Nell’ultima edizione vinse Ayrton Senna, che già aveva trionfato nelle due precedenti.

Nuovi motoristi nel Circus

Fondata da John Judd e Jack Brabham al fine di produrre i motori per la Brabham, la Judd divenne poi la prima casa autorizzata per produzione e manutenzione del Cosworth DFV, espandendosi con successo in varie categorie. Con il ritorno agli aspirati la casa inglese si accordò con la March per la produzione di un motore F1 V8 da schierare nel 1988, scelto anche da Williams e Ligier. Quest’ultima lo montò sulla JS31, vettura progettata con posizione del motore molto avanzata, immediatamente dietro le spalle del pilota con il serbatoio di benzina diviso in due parti. Dopo un incoraggiante debutto a Rio, a Imola sia Arnoux che Johansson non si qualificarono (+ 8,5 sec dalla pole), preludio di una stagione fallimentare con nessun punto raccolto e numerose esclusioni.

La prima opera di Ross Brawn…

Nel 1987 la Arrows schierò la A10, prima vettura disegnata da Ross Brawn, evoluta l’anno seguente nella versione B, spinta dal turbo Bmw marchiato Megatron, che fruttò il quarto posto tra i costruttori, miglior risultato nella storia del team. Tra i vari piazzamenti a punti, a Monza Cheever e Warwick stazionarono costantemente alle spalle di Mclaren (poi ritirate) e Ferrari, piazzandosi rispettivamente al terzo e quarto posto.

…e la prima di Adrian Newey

La March 881 fu la prima opera Formula 1 interamente progettata da Adrian Newey: innovativa, particolarmente rigida, caratterizzata da una linea affusolata e tanto stretta che Ivan Capelli faticava ad entrare. Gli ottimi risultati confermarono la bontà della monoposto, in quanto il pilota italiano fu protagonista di una grandissima stagione conclusa al settimo posto con ben 17 punti e due podi all’attivo. Dopo aver duellato con Senna all’Estoril, Capelli a Suzuka restò per diversi giri negli scarichi del leader Prost cullando il sogno di una possibile vittoria, ma un guasto al motore Judd lo costrinse al ritiro.

Finito un capitolo, per la F1 si aprì una nuova storia, non certo priva di spunti interessanti, con l’ingresso di un numero incredibile di team, quasi quaranta iscritti, la roulette russa delle prequalifiche e tanto, tanto ancora.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)

F1 in pillole – Capitolo 6

Quando nel 1977 a Silverstone la Renault portò in pista una vettura spinta da un motore sovralimentato l’attenzione dei più resto focalizzata sulla lotta per il titolo tra Lauda, Andretti e Scheckter; nessuno (o quasi) riteneva possibile che quel particolare propulsore potesse portare a risultati di rilievo in quanto troppo penalizzato dai limiti regolamentari. La nostra piccola rubrica di Formula 1 in pillole viaggia oggi tra il 1983 e il 1986, l’era del turbo, tra vetture con più di 1000 cv e grandi case in pieno scontro tecnologico sul palcoscenico di una Formula 1 che in pochi anni si era trasformata sotto diversi aspetti, tra cui quello mediatico, con una presenza televisiva sempre più presente e all’avanguardia. Come d’abitudine ci dedicheremo principalmente  ai co-protagonisti della storia,  tra piccole grandi imprese, promesse, sogni e, purtroppo, qualche storia triste.

Mondiale 1983 in ritardo sul binario di Kyalami

Alla fine del 1982 venne decisa una modifica del regolamento (appoggiata anche ai piloti) che vietava ora trazione integrale, fondo piatto e minigonne, portava a 540 kg il peso minimo delle monoposto con un limite alla portata del serbatoio a 250 kg e autorizzava il rifornimento in corsa. Queste decisioni costrinsero le case a modificare le vetture già progettate per la stagione 1983 con ripercussioni sul calendario: la stagione sarebbe dovuta iniziare in Sudafrica, ma al fine di concedere più tempo ai costruttori per il repentino cambio di regolamento,  la corsa di Kyalami venne spostata a fine campionato e si partì da Jacarepagua. Alcune vetture presentarono soluzioni originali, come l’Osella e la Ligier, che schierarono rispettivamente  la FA1/83 e la JS21 dalla forma affusolata a pance ridottissime, entrambe poco fortunate e a secco di punti a fine stagione.

La F1 torna a Spa con De Cesaris protagonista

La sede del Gp del Belgio venne confermata solo a Febbraio: al posto di Zolder tornò Spa, che ora aveva un tracciato più breve, ma che continuava ad utilizzare parte dei punti originali. Durante dei test effettuati un mese prima della gara il più rapido fu De Cesaris, che  si confermò anche nel week end di gara piazzando la sua Alfa al terzo posto in griglia e prendendo subito il comando della corsa. Ancora una volta la sfortuna era dietro l’angolo: prima una lunga sosta ai box lo fece retrocedere al sesto posto, poi al 25esimo giro arrivò il ritiro per problemi al motore, quando il romano aveva rimontato fino alla seconda posizione. Dopo alcune stagioni in crescendo l’Alfa scese in pista con la 183T disegnata da Gérard Ducarouge e Mario Tollentino:  nonostante un elevato numero di ritiri fu proprio De Cesaris a cogliere  i migliori risultati con il giro più veloce a Spa e due secondi posti, ottenuti a Kyalami e ad Hockenheim, in entrambi i casi salendo sul podio con il connazionale Riccardo Patrese.

Debutto per Toleman e Hart

La Toleman, già “in pista” dai primi anni settanta, arrivò alla fine del decennio al dominio dell’ambitissimo europeo di Formula 2, con i due piloti Henton e Warwick rispettivamente primo e secondo, confermati dal team nel passaggio alla massima categoria, con una nuova vettura e il motore Hart turbo. I risultati furono inizialmente disastrosi, in quanto nel 1981 i due piloti si qualificarono solo una volta ciascuno, mentre l’anno seguente, dopo un inizio difficile, le Toleman iniziarono a prendere il via con regolarità, anche se per arrivare a punti si dovette attendere la fine del 1983, quando Derek Warwick terminò al quarto posto a Zandvoort, dove nell’edizione precedente aveva ottenuto il giro più veloce. Il pilota inglese entrò nei primi sei anche nei successivi gran premi di Italia, Europa e Sudafrica, prestazioni che gli valsero la chiamata della Renault, poi corse con Brabham, Lotus e Arrows (in seguito Footwork), terminando la carriera in F1 nel 1993; nota: nel 1992 Warwick ha vinto la 24 ore di Le Mans e il mondiale sport prototipi.

Cenni storici sul Gran Premio d’Europa

Dal  1923 l’AIACR istituì il titolo di Gp d’Europa per la gara di maggior prestigio della stagione e la prima corsa a ricevere il riconoscimento  fu il GP d’Italia dello stesso anno, disputato sul Circuito di Monza. L’organizzazione di un vero e proprio Gran Premio d’Europa arrivò nel 1983, con sede a Brands Hatch, circuito in passato sede del Gp d’Inghilterra in alternanza con Silverstone: nell’occasione  fece il suo debutto, con la terza Williams, il campione europeo di F2 Jonathan Palmer, che in prova fu 25esimo e riuscì a mettersi alle spalle addirittura Laffite, non qualificato, terminando la gara 13esimo a due giri dal vincitore Piquet. Terminata l’avventura in F1 nel 1989, Palmer è diventato commentatore e poi imprenditore nel motorsport, rilevando tra l’altro negli anni duemila, proprio i circuiti britannici appartenenti al gruppo di Brands Hatch; il Gran Premio d’Europa ha invece visto l’alternanza di alcuni circuito con netta prevalenza del rinnovato Nurburgring.

Dalle due alle quattro ruote

Oltre a John Surtees, un altro campione mondiale delle due ruote ha tentato la strada della F1: si tratta del venezuelano Cecotto, che nel 1983 debuttò con la Theodore e alla sua seconda presenza, a Long Beach, colse l’unico punto in Formula 1, nonchè l’ultimo per il team, che si ritirò a fine stagione. La sua carriera si interruppe bruscamente l’anno seguente quando, passato in Toleman, fu vittima di un gravissimo incidente durante le prove del Gran premio d’Inghilterra; successivamente si dedicò alle vetture  turismo, diventando campione italiano e due volte campione tedesco.

Tyrrell, occasione sprecata

I risultati ottenuti da Alboreto nel 1982 spinsero la Benetton ad appoggiare finanziariamente la Tyrrell, che però non riuscì a sfruttare l’occasione e proseguì con la vecchia monoposto adattata alle nuove regole (la nuova fu utilizzata solo a fine stagione) senza trovare un accordo per la fornitura di un motore turbo, ormai indispensabile per essere competitivi.  Al pilota milanese (vittorioso a Detroit) venne affiancato Danny Sullivan, ex meccanico di Jackie Stewart, che nell’unica stagione in F1 ottenne un piazzamento a punti, chiudendo il Gp di Monaco al quinto posto. Tornato negli Usa, vinse la 500 miglia nel 1985 e il campionato CART nel 1988, prestando anche l’immagine al noto videogioco Danny Sullivan’s Indy Heat.

Bellof, Winkelhock e Gartner: i sogni spezzati di grandi promesse

Dopo alcuni anni difficili, nel 1983 l’Ats riuscì ad ottenere la fornitura dei turbo Bmw e l’anno seguente la potenza del motore fece emergere il talento di Winkelhock, anche se la cronica mancanza di affidabilità finì per vanificare il tutto, come ad esempio a Zolder, quando il tedesco fu costretto al ritiro mentre era in terza posizione. Il rapporto tra le parti si chiuse nel peggiore dei modi: Winkelhock lasciò il team e chiuse la stagione in Brabham, poi passò alla modesta Ram con cui corse fino a metà del 1985, quando perse tragicamente la vita durante la 1000 Km di Mosport valida per il mondiale Endurance, categoria nella quale correva con successo contemporaneamente alla F1.

Al debutto stagionale del 1984 sul circuito di Jacarepagua, tutti i team si schierarono con il motore Turbo ad l’eccezione della Tyrrell, ancora legata al vecchio Ford Cosworth: una vera e propria beffa per la scuderia del “boscaiolo”, che negli anni settanta non accettò la proposta della Renault di portare al debutto il proprio motore sovralimentato. Nell’occasione fece il suo debutto il promettente Bellof, testato anche dalla Mclaren ma “bloccato” dal suo sponsor Rothmans: 22esimo in prova a 8.2 sec. dalla pole di De Angelis, si ritirò dopo soli 11 giri, mentre poche settimane dopo strabiliò tutti a Montecarlo (oscurato in parte dalla prestazione incredibile di Senna) e per tutto l’anno si dimostrò veloce e costante, pur limitato da una vettura poco competitiva, poi squalificata per un’irregolarità di gestione del peso della vettura. Pilota dal radioso avvenire, Bellof correva contemporaneamente il mondiale endurance (vincendolo), dove trovò la morte l’anno successivo durante la 1000 Km di Spa.

Nonostante corse spesso con vetture obsolete, Jo Gartner si fece notare nelle formule minori, tanto da trovare uno sponsor che gli permise di correre parte del 1984 con l’Osella, scuderia con la quale centrò un quinto posto a Monza. Passato alle vetture sport, morì durante lo svolgimento della 24 ore di Le Mans del 1986.

A Dallas la piccola grande impresa di Ghinzani

Oltre al Gp degli Stati Uniti Est disputato a Detroit, nel 1984 si tenne anche il Gp degli Usa, corso eccezionalmente a Dallas con non poche difficoltà, causa le precarie condizioni dell’asfalto e il caldo asfissiante, in aggiunta alle insidie già presenti in ogni tracciato cittadino. In una gara resa celebre dallo svenimento di Mansell sul traguardo si fece spazio il simpatico Ghinzani, che riuscì a portare l’Osella al quinto posto, ottenendo un risultato importantissimo per la sopravvivenza del team, che nella propria storia ottenne solo una altro piazzamento a punti con il quarto posto di Jarier a Imola nel 1982 (13 vetture al via), mentre il quinto di Gartner, sempre nel 1984, non fu conteggiato in quanto in quella stagione il team aveva iscritto una sola vettura.

Il passaggio ai motori sovralimentati mise sicuramente in difficoltà i piccoli team come l’Osella, che dal 1983 aveva instaurato una collaborazione con l’Alfa Romeo, prossima al ritiro come costruttore: i motori milanesi permisero alla scuderia di sopravvivere nell’era del turbo ma l’utilizzo di materiale datato e inaffidabile (cambio e telaio in uso fino al 1988 erano derivati dall’Alfa del 1983) limitò un possibile salto di qualità. Nel 1986 era prevista l’adozione dei V6 Motori Moderni ma la mancanza di fondi costrinse a proseguire con i vecchi motori. Oltre all’ormai collaudato Ghinzani venne ingaggiato Danner, che durante la stagione passò all’Arrows e fu sostituito da Berg, appoggiato da uno sponsor svizzero: il pilota canadese, a corto di esperienza, maturò spesso distacchi pesanti, stazionando costantemente in fondo al gruppo, come ad esempio in Austria, dove le due Osella occuparono l’ultima fila con Ghinzani a 10 e Berg a 12 secondi dalla pole (la gara di quest’ultimo durò poi soli sei giri). Nel 1987 il gran premio del Canada uscì momentaneamente dal calendario e Berg perse l’appoggio economico, motivo per cui non ebbe altre occasioni di correre in Formula 1; l’Osella è rimasta invece nel circus fino al 1990, cedendo poi il materiale allo sponsor principale, la Fondmetal.

Triste epilogo per la carriera di Streiff

Dopo una presenza con la Renault nell’ultima gara dell’anno precedente, Streiff venne ingaggiato nel corso del 1985 dalla Ligier  al fianco del connazionale Laffite in sostituzione di Andrea De Cesaris. Il francese concluse tre gare fuori dalla zona punti, mentre in Sud Africa corse con la Tyrrell, in quanto Ligier e Renault, In linea con la protesta della Francia contro l’apartheid in Sudafrica, decisero di non prendere parte al Gran Premio. Ritornato sulla vettura francese per l’ultimo Gp stagionale, ad Adelaide centrò il 18esimo tempo in prova (Laffite partì 20esimo) e in gara arrivò terzo, proprio alle spalle del compagno di squadra, cogliendo il primo e unico podio della propria carriera in Formula 1, interrotta drammaticamente nel 1989 a causa di un terribile incidente durante dei test dell’Ags sul circuito di Jacarepagua, in seguito al quale divenne tetraplegico.

Inizia la grande avventura della Minardi

Forte di una grande esperienza nelle formula “minori”, la Minardi realizzò la M184, primo esemplare per la Formula 1 destinato al motore 815T Alfa Romeo, mentre il debutto effettivo avvenne con la M185 motorizzata Cosworth, in attesa dell’arrivo del Turbo realizzato dalla Motori Moderni, dopo che l’Alfa aveva fatto saltare l’accordo. A Jacarepagua, con un solo ingegnere e uno staff di 13 persone, la Minardi entrò in F1 con Pierluigi Martini, che in prova fu 25esimo a sedici secondi dalla pole e in gara si ritirò per la rottura del motore. Il pilota romagnolo fu poi bandiera dello storico team italiano, per cui colse il primo punto, i migliori risultati in prova (secondo) e in gara (quarto), oltre all’unico giro in testa ad un Gp di Formula 1 nella storia del team.

Benvenuta Camera car, addio terza vettura

Il desiderio di filmare i cavalieri del rischio all’opera sulle auto più potenti del mondo è sempre stato vivo nel cuore di tifosi e addetti ai lavori, ma per tanti anni l’esperienza è stata limitata a test privati o turni di prove, spesso con metodi artigianali, come gli operatori legati alle auto. Nel 1985 al Nurburgring venne schierata la prima auto in gara con camera car: si trattava di una terza vettura schierata appositamente dalla Renault con alla guida Hesnault, che si ritirò dopo soli otto giri per problemi all’acceleratore;  fu anche l’ultima volta in cui un team scese in pista con più di due vetture.

Boutsen “spinge” l’Arrows sul podio

Dopo alcune stagioni incoraggianti con Riccardo Patrese al volante (1 pole e 4 podi), l’Arrows aveva affrontato tre stagioni di crisi e il 1985 sembrava essere iniziato sulla stessa linea, ma a Imola la storia cambiò: Thierry Boutsen centrò il quinto tempo in prova e fu autore di un’ottima gara, tanto che nel finale riuscì a portarsi nelle prime posizioni sfruttando al meglio i numerosi ritiri per esaurimento benzina. A pochi metri dal traguardo anche la sua Arrows si ammutolì, rimasta senza carburante, ma il pilota belga scese dall’auto e la spinse fisicamente oltre il traguardo, guadagnandosi il primo podio in carriera; la squalifica di Prost per peso irregolare lo portò al secondo posto. Durante la stagione seguirono poi altri piazzamenti interessanti che scaturirono l’interesse dei top team, permettendo a Boutsen di approdare prima alla Benetton e poi alla Williams, scuderie con cui corse ad alti livelli fino al 1990, chiudendo successivamente la carriera con Ligier e Jordan.

La pole non porta bene a Fabi

La partenza al palo non portava fortuna a Teo Fabi, che in occasione delle tre pole position conquistate in F1 ottenne altrettanti ritiri. Nel 1985 piazzò incredibilmente la Toleman al primo posto al Nurburgring ma venne fermato da un guasto all’acceleratore, l’anno successivo con la Benetton in Austria la sua corsa durò solo 17 giri e poche settimane dopo a Monza fu costretto a partire ultimo per un guasto alla centralina nel giro di ricognizione, poi si ritirò per una foratura dopo aver rimontato fino al quinto posto. Stessa sorte alla Indy 500 quando da debuttante ottenne la pole, in una stagione conclusa al secondo posto con tre vittorie e il titolo di rookie of the year, mentre in F1 terminò la sua avventura nel 1987 dopo 71 Gp, con tre pole, due podi e due giri più veloci.

Un nobile alla corte della Lotus

John Colum Crichton-Stuart prima del 1993 era conosciuto con il titolo di cortesia di Conte di Dumfries ed è quindi più o meno noto al pubblico dei Gran Premi come Johnny Dumfries. Rinunciò ad una formazione culturale costosa per soddisfare la sua passione per le corse, prima come autista di uno dei furgoni del team Williams, poi lavorando per ottenere i fondi per correre nelle formule minori. La Ferrari gli offrì nel 1985 un posto da collaudatore, mentre l’anno successivo disputò una stagione con la Lotus, ottenendo tre punti, in un team completamente devoto alla prima guida Senna, che con la stessa vettura si trovò addirittura in lizza per il titolo. Abbandonata la F1 passò alle ruote coperte, vincendo nel 1988 la 24 ore di Le Mans.

Haas riporta in pista Alan Jones

Nell’autunno del 1984 Carl Haas negoziò un accordo di sponsorizzazione per il campionato Cart con la Beatrice Food, compagnia con cui concordò l’ampliamento del team verso la F1, con il coinvolgimento di Teddy Mayer e il programma di fornitura motori Ford Turbo (inizialmente la vettura THL1 scese in pista con un propulsore Hart); venne associato il nome Lola anche se il costruttore non fu realmente coinvolto e le vetture vennero assemblate dalla Force. Nel 1985 Alan Jones disputò tre gare, mentre l’anno successivo fu affiancato da Tambay e arrivarono gli unici piazzamenti: all’Osterreichring, dove entrambi entrarono nei primi sei, e a Monza, dove Jones fu sesto e colse l’ultimo punto in F1 per un team americano, poi la Beatrice Foods ritirò i finanziamenti e la Haas abbandonò la categoria, così come Jones e Tambay.

L’amore proibito tra tabaccai e Formula 1

I primi contatti tra Formula 1 e sponsor “tabaccai” iniziarono alla fine degli anni sessanta, con l’ingresso dell’Imperial Tobacco, partner Lotus, fino a diventare una delle fonti primarie di entrate per gli eventi motoristici. Alcuni legislatori nazionali cominciarono ad introdurre articoli ad hoc per scoraggiare questa abitudine ritenuta “politicamente scorretta”, ma la norma venne spesso aggirata con l’utilizzo di soluzioni grafiche in grado di ricordare comunque i loghi delle aziende, oppure con nomi storpiati. La West nel 1986 sosteneva la presenza della Zakspeed e per superare il divieto ad Hockenheim tramutò il proprio nome in East; nel corso della stagione era stata anche schierata una seconda vettura grazie agli appoggi economici di Rothengatter, che per la terza ed ultima volta subentrò in F1 a stagione in corso, senza ottenere punti.

Ho un cuore che non molla mai (cit.)

Spinto da un incrollabile forza di volontà, dopo le 22 operazioni necessarie per rimettere in sesto le gambe dopo il gravissimo incidente di Hockenheim nel 1982, Didier Pironi testó un Ags al Paul Ricard nel 1986 nella speranza di tornare in F1, ma l’esito non fu positivo dal punto di vista fisico e il sogno rimase tale. Il pilota francese morì l’anno successivo durante lo svolgimento di una gara di off shore.

 

Tyrrell, Osella, Toleman e Minardi non ci sono più, i piccoli team non vengono più apprezzati, De Cesaris ci ha lasciati a causa di un incidente in moto nella sua città Natale, i tabaccai non fanno più pubblicità e sicuramente non vedremo mai piloti fumare in auto come faceva Depailler, in un mondo sempre più patinato e sempre meno spontaneo. La sicurezza ha fatto passi da gigante ed è bello pensare che, salvo casi estremamente rari, infortuni terribili o addirittura la morte possano infrangere i sogni dei piloti, ma a parte questo innegabile aspetto positivo, la sensazione di chi scrive è che tra qualche lustro sarà ben difficile raccogliere pillole di F1 e storie a cui pensare con il sorriso.

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80

FORMULA 1 GRAN PREMIO HEINEKEN D’ITALIA 2017 MONZA

7 punti. Tale è il vantaggio con cui Sebastian Vettel sulla sua 668 si presenta a Monza in vantaggio su Lewis Hamilton e la sua W08. Con buona pace di tutto e tutti il GP di Monza sta tutto qua, sui due contendenti al WDC2017 che si affrontano su di una pista la quale, sulla carta, dovrebbe esser leggermente favorevole alla MB. L’uso dell’avverbio è d’obbligo dopo che Vettel nelle interviste post gara a Spa ha dichiarato:”abbiamo la macchina migliore, non temiamo nessun tracciato”. Chi scrive se da un lato pensa che il distacco tra i due in Q3 sarà particolarmente contenuto dall’altro è persuaso che Monza sia l’ultimo circuito smaccatamente favorevole alla MB, proprio come Singapore sarà l’ultimo circuito smaccatamente favorevole alla Ferrari. Ergo se Hamilton dopo Spa manca la doppietta a Monza di fatto butta via un’occasione importante di agguantare Vettel in testa al WDC (il tedesco salvo improbabili imprevisti nello scenario peggiore in gara finirà secondo come a Spa) e poi esporrà il fianco alla già citata grossa possibilità che Vettel allunghi a Singapore. Ergo LH44 a Monza deve vincere, per farlo gli serve la consueta pole d’ordinanza ed una gara perfetta come in Belgio. Tutte cose largamente alla sua portata, sia chiaro, ma non affatto scontate. Specie in gara dove c’è caso che Vettel sia ancora più insidioso che a Spa dove, a mio parere, ha pagato il mancato ardire del suo box circa l’undercut su Hamilton in fondo al primo stint. Entra in vigore la regola che le Power Units punzonate da Monza in poi rispettino la regola dell’utilizzo massimo di 0,9L d’olio ogni 100km a fini di combustione, dando per scontato che Ferrari abbia fatto i compiti a casa l’escamotage di Spa da parte di MB consente alla PU ivi fatta debuttare di non sottostare a suddetta restrizione. In un panorama nel quale, fatti salvi i cosiddetti “circuiti ad hoc” come i già citati Spa per MB e Singapore per Ferrari, si sta di fatto delineando l’equivalenza assoluta prestazionale tra MB e SF, qualsiasi elemento distorsivo/contaminativo dello scenario pocanzi descritto va preso nella dovuta considerazione e, al netto della regola sopra menzionata, riesco a pensare solo alle scelte di Pirelli per le mescole da portare ai prossimi GP ed alle pressioni di gonfiaggio imposte, con MB che notoriamente le predilige più basse rispetto a SF al fine di massimizzare la fin troppo nota finestra di utilizzo delle coperture italiane. Staremo a vedere cosa finirà per far pendere la bilancia da un lato oppure da un altro, il tutto naturalmente nella speranza che a farlo sia lo Sport in pista e non le carte bollate a motori spenti.

Veniamo ora agli altri due: se tutto va come da copione Bottas e Raikkonen si ritroveranno in seconda fila a Monza dopo essersi lasciati così a Spa. Direi che entrambi i neo-rinnovati non siano in grado di andar più forte in qualifica dei due contendenti al WDC 2017 ergo la loro funzionalità/importanza dipenderà prevalentemente dalle “interferenze” che potranno eventualmente creare al via e/o nelle fasi della gara a cavallo del pit. Penso che nessuno dei due stia facendo una brutta stagione e che anzi, perlomeno per quanto riguarda Bottas, sia andata finora meglio delle aspettative di tutti quelli che non si chiamano Wolff. Però poi pensi a Spa ed a cosa han strizzato fuori dalle loro macchine Hamilton e Vettel e non fai in tempo a finire di farlo che ti rendi conto che Ricciardo è arrivato davanti ad entrambi i finlandesi. Con una Power Unit talmente mediocre da costringere quelli di Milton Keynes ad affrontare Spa con un set-up degno di Monza. Al che chiunque non abbia il quoziente intellettivo di una pianta grassa si chiede:”ma quello là coi dentoni che ride sempre su una Ferrari o una Mercedes….?” salvo poi ricordarsi che esistono Campioni del Mondo che firmano contratti da seconda guida e che quindi le sedute di ipnosi regressiva col mantra “il 2014 non è mai esistito, Sebastian” potranno continuare indisturbate.

Passando alle note ilari: Honda dice che non c’erano anomalie nella PU di Alonso ritiratosi a Spa per un presunto problema alla stessa ma poi si vocifera che l’Asturiano a Monza buscherà penalità per la sostituzione dell’unità motrice. Il tutto mentre i media UK polemizzano su Alonso che getta volontariamente la spugna. Sulla sponda Milton Keynes per la prima volta in questa stagione Horner getta la croce addosso a Renault per la mancata competitività assoluta della Redbull. Premesso che comprendo appieno la frustrazione dell’Asturiano e della Redbull penso altresì che si stiano scavando la fossa da soli in questo modo. Carte alla mano sia Mecca che RBR son legate mani e piedi agli attuali fornitori di PU e che quindi l’unica via obbligata sia cercare di essere costruttivi. Che Alonso faccia il cavolo che gli pare (o quasi) e che Horner abbia detto quanto sopra per provare a tenere buono il clan Verstappen (auguri) son solo dettagli, in RBR dovrebbero ripensare al tremendo 2015 in cui Renault non sviluppò minimamente la PU per ripicca verso Milton Keynes che si era messa sul piede di guerra, salvo poi tornare sui propri passi una volta capito che le alternative erano sognate e non concrete.

Ignoro allegramente chi sia il TP in  Force India ma comincio a pensare che, in confronto, Domenicali in Ferrari avesse il polso di Jean Todt ed ho detto tutto. Non che la situazione sia facile (un pilota porta i soldi, l’altro non solo è uno dei migliori talenti giovani ma pure un protetto MB) ma ormai pare evidente che riescono sempre e comunque a gestirla nel modo peggiore ed intendo soprattutto a vetture ferme. Renault prosegue la sua crescita lenta, perlomeno con Hulkenberg, mentre STR ed Haas son sempre là nel loro limbo specie Faenza che purtroppo quest’anno mostra spesso la corda tra scarsa competitività ed una coppia di Piloti spesso entrambi fuori fase e presumibilmente altrove nel 2018. La Sauber si trascina stancamente verso il prossimo Mondiale quando dovrebbe a tutti gli effetti iniziare una nuova primavera per Hinwil targata nuovamente Rosso Ferrari. Williams al momento è solo una fornitura clienti Mercedes Benz buttata alle ortiche, ma diciamolo piano che se a qualcuno venisse in mente di dar due motori degni di tal nome a Redbull e Mclaren vedremmo 4 teams in lotta per il Mondiale anzichè 2 il che sarebbe quantomeno inopportuno.

Per le piante grasse già citate sopra

 

Buon GP a tutti

F1 in pillole – Capitolo 5

Le pillole di Formula 1 del Blog del Ring oggi viaggiano tra il 1980 e il 1983, periodo di grandi battaglie tra i “Boss” dei gran premi in un’era in cui la Formula 1 cambiò pelle, passando progressivamente verso i motori turbo che pochi anni prima vennero accolti con diffidenza, soprattutto dai team inglesi, ora scatenati alla ricerca di un propulsore adatto per tentare di vincere. Non mancarono le tragedie i drammi sportivi che purtroppo caratterizzavano la Formula 1 di quegli anni, oltre a storie ed aneddoti di piccoli team e piloti allo sbaraglio, il tutto unito da un unico grande comune denominatore: la passione per la F1.

Non è un Gran Premio per giovani

Alla fine del 1980, dopo un vano tentativo con la Arrows a Zandvoort, Mike Thackwell venne iscritto a Montreal con una terza vettura schierata dalla Tyrrell riuscendo ad entrare in griglia, anche se la sua gara terminò alla partenza: venne infatti coinvolto dalla carambola innescata da un contatto tra Jones e Piquet così come il compagno di team Jarier, per il quale venne riservato l’unico muletto e quindi la possibilità di schierarsi per il nuovo start. Il neozelandese stabilì in ogni caso il record di pilota più giovane al via, avendo all’epoca 19 anni e 182 giorni, primato battuto da Jaime Alguersuari in occasione del gp d’Ungheria del 2009.

Start in the Usa

Una volta finito il lungo inverno di polemiche tra la Fisa e la Foca, il calendario 1981 venne modificato e per la prima volta nella storia della Formula 1 la stagione si aprì negli Usa. Riccardo Patrese conquistò la prima pole position in carriera (unica per la Arrows) al termine di un avvincente duello a suon di giri veloci con Alan Jones, diventando il sessantesimo pilota nella storia a partire al palo, mentre per l’Italia era la seconda pole di fila dopo quella di Giacomelli nella prova conclusiva del 1980, sempre negli Usa, a Watkins Glen. Il padovano condusse fino al 25esimo giro quandò lasciò passare Reutemann, rientrando mestamente ai box per un malfunzionamento della vettura, ebbe poi modo di rifarsi arrivando terzo a Jacarepagua e secondo a Imola.

A lezione dal Professor Stohr

La Arrows si vide negare da parte della Michelin l’impegno di fornire  le gomme migliori, per il Gp d’Inghilterra  il team optò allora per gli pneumatici Pirelli, con cui Riccardo Patrese ottenne il record sul giro in un test organizzato a Donington Park pochi giorni prima del Gran Premio. Siegfried Stohr poteva sperare nel primo piazzamento stagionale dopo alcune gare sfortunate, ma la sua gara non durò nemmeno in giro; successivamente venne poi allontanato dal team per far posto a Jacques Villeneuve Sr,  pare che uno dei motivi fosse la partecipazione non gradita al team allo sciopero dei piloti avvenuto prima del Gp del Belgio. Laureato in psicologia, dopo le corse si è distinto per aver scritto libri e collaborato con numerose testate, oltre ad aver avviato una scuola di guida sicura di grande rilevanza internazionale.

Ats a ritmo di musica

Prima di dedicarsi alle auto Slim Borgudd era uno stimato musicista e quando a 35 anni, dopo alcune esperienze nelle formule minori, riuscì a debuttare in Formula 1, sulla sua Ats era ben visibile la scritta ABBA, gruppo musicale svedese con cui Borgudd aveva collaborato. Dopo un tredicesimo posto al debutto mancò per quattro volte la qualificazione, mentre a Silverstone giunse sesto al traguardo e colse l’unico punto in carriera; abbandonata la Formula 1 a metà della stagione successiva, ebbe modo di dedicarsi ad altre competizioni, diventando per tre volte campione europeo Truck Racing.

Senza esclusione di colpi

Il Cile è stato rappresentato in Formula 1 dal solo Eliseo Salazar, pilota che fece il suo debutto nel 1981 e dopo un deludente inizio con la March (in cui riuscì a qualificarsi in un solo Gp), passò alla Ensign, cogliendo a Zandvoort l’ultimo punto nella storia del team, che a fine anno vendette il materiale alla Theodore. Nel 1982 Salazar si trasferì all’Ats e ottenne il suo ultimo piazzamento a punti nel noto Gp di Imola con sole 13 vetture al via, poi divenne celebre per una “scazzottata” con Nelson Piquet ad Hockenheim, mentre l’anno successivo corse alcune gare con la modesta Ram, prima di dedicarsi ad altre categorie, costruendo una lunga carriera giunta fino ai giorni nostri.

Guerra, carriera lampo

L’autodromo di Imola, dove si era disputata la precedente edizione del Gp d’Italia, ospitò nel 1981 il primo Gran Premio di San Marino di Formula 1: per la seconda volta il nostro Paese poteva contare nello stesso anno su due gran premi validi per il campionato mondiale di F1 ( il precedente risaliva al 1957 quando, oltre al gran premio nazionale, venne inserito nel calendario iridato anche il GP di Pescara).  Mentre Beppe Gabbiani aveva già piazzato la propria vettura in griglia a Long Beach, Miguel Angel Guerra non era ancora riuscito a qualificarsi, ma a Imola la situazione migliorò, così per la prima volta due Osella presero parte ad una gara, con Gabbiani in decima e Guerra in dodicesima fila. L’avventura dell’argentino fu purtroppo brevissima in quanto uscì di pista al Tamburello nel corso del primo giro fratturandosi una gamba, venne così sostituito da Ghinzani (rimpiazzato poi da Francia e infine da Jarier) e non ebbe più occasione di correre in Formula 1. Contende ad Apicella (uscito nel primo giro a Monza nel 1993) il record per la carriera più breve nel circus.

De Villota nell’occhio del ciclone

Il Patto della Concordia fissava in 30 il numero di vetture che potevano essere iscritte a un gran premio: 12 su richiesta della FISA e 18 della FOCA, ma a Jarama tentò di iscriversi (con una Williams) la scuderia privata di De Villota che non faceva parte di nessuno dei due schieramenti. Estromessa l’Ats per ritardi di procedura, De Villota partecipò alle libere compiendo un solo giro per la rottura del motore, ma alle 13 la FISA informò  che qualora lo spagnolo avesse partecipato alle qualifiche il gran premio avrebbe violato il Patto della Concordia e non sarebbe stato considerato valido per il campionato mondiale. Gli organizzatori spagnoli decisero così di escludere de Villota e riammettere l’ATS. Grazie ai buoni risultati in F.Aurora ed endurance lo spagnolo ebbe una nuova occasione nel 1982 con la March, vettura modesta con cui non riuscì mai a qualificarsi, poi abbandonò definitivamente la Formula 1.

La triste storia di Riccardo Paletti

La Formula 1 sbarcò per la prima volta a Detroit tra mille polemiche per la sicurezza e le condizioni dell’asfalto, tanto che al sabato si svolsero entrambi i turni di qualifica, divisi tra mattino e pomeriggio, sessione quest’ultima poi rivelatasi inutile causa la pioggia che non permise a nessuno di migliorare i tempi. Riccardo Paletti riuscì a qualificarsi per il suo primo Gp a griglia completa ma nel corso del Warm up perse una ruota finendo contro le barriere e siccome il muletto era già in uso per Jarier, il milanese non potè prendere parte alla gara (venne deciso di non sostituirlo da nessuno dei non qualificati, tra i quali anche il campione del mondo in carica Piquet, vittima di problemi al motore nel primo turno). Lo sfortunato Paletti si qualificò anche nel successivo Gran Premio del Canada, ma fu vittima di un’incidente mortale al via, quando tamponò la vettura di Pironi rimasta ferma a semaforo verde. Al suo nome è intitolato il circuito di Varano De’ Melegari (PR).

Nuove procedure al via

Al fine di evitare gli incidenti al via in seguito alla tragedia di Paletti, dal Gp di Francia venne introdotto un nuovo regolamento: ora lo starter aveva la possibilità, sia con semaforo rosso che con il verde, di indicare il giallo per segnalare ai piloti qualche anomalia sulla griglia, procedendo in entrambi i casi con lo stop e nuova procedura di partenza. Al via si presentò anche Geoff Lees, già schierato dalla Theodore in Canada e ora scelto dalla Lotus per rimpiazzare Mansell, che proprio a Montreal si era fratturato il polso: 24esimo al via, il pilota inglese fu dodicesimo al traguardo, in quella che fu la sua ultima apparizione in Formula 1, categoria nella quale ha partecipato a dodici gran premi, qualificandosi in cinque occasioni.

La lunga attesa di Lammers

Nel valzer di piloti della Theodore nel 1982, Lammers subentrò a Daly, ma nei primi tre tentativi non superò le qualifiche; sostituito momentaneamente da Lees in Francia, rientrò a Zandvoort, dove si piazzò in ultima fila, mentre in gara fu costretto al ritiro per la rottura del motore e dopo altre due mancate qualificazioni fu appiedato per far posto a Tommy Byrne. Dieci anni e 164 gare dopo, Lammers rientrò in Formula 1 con la March, disputando le ultime due gare del campionato con un dodicesimo posto come migliore risultato, nella lunga attesa grandi aveva comunque ottenuto grandi risultati a ruote coperte, tra cui una straordinaria vittoria a Le Mans (la prima per la Jaguar dal 1957) guidando per 13 ore su 24.

La Colombia “vola” in F1

Dopo un tentativo “a vuoto” per mancanza di superlicenza da parte di Londono, nel 1982 debuttò Roberto Guerrero, primo colombiano a correre in F1, unico pilota iscritto dalla Ensign. Dopo un forfait a Kyalami e una mancata qualificazione a Jacarepagua, a Long Beach fu costretto al ritiro, poi a Detroit la sua gara durò lo spazio di sette giri: la sua vettura decollò dopo un contatto con De Angelis e venne colpita da Patrese, la gara venne dunque interrotta a causa della carambola e ripartì in un secondo momento. A fine stagione la Ensign cedette il materiale alla Theodore e Guerrero corse un’altra stagione in F1, poi passò alla CART, ottenendo il premio di Rookie dell’anno e un secondo posto alla 500 miglia di Indianapolis, dove alcuni anni più tardi colse anche una pole position.

Parto anch’io, no tu no!

Ad Hockenheim venne introdotta una chicane all’ingresso della Ostkurve, al fine di rallentare le vetture dove due anni prima aveva perso la vita Depailler, ma il circuito tedesco fu ancora teatro di una triste vicenda: durante le prove nel 1982 Didier Pironi fu infatti vittima di un grave incidente che pose fine alla sua carriera. Tra i partecipanti debuttò Tommy Byrne, che rimpiazzò Lammers alla Theodore: l’irlandese in prova ottenne come miglior crono un 1.59.007 a circa 11 secondi dalla pole dello stesso Pironi e non riuscì a qualificarsi, in teoria avrebbe potuto essere ripescato, (come accaduto a Surer, entrato in griglia al posto di Lauda, infortunatosi pure lui in prova) ma la Ferrari non comunicò l’assenza del proprio pilota, quindi Byrne non potè essere ammesso e la gara partì con la piazzola della pole vuota.

La Fittipaldi ai titoli di coda

La Fittipaldi F8 fu progettata nel 1980 da due tecnici di grande talento quali Harvey Postlethwaite e Adrian Newey, ma la situazione del team era ormai compromessa e i risultati non arrivarono, inoltre con il passaggio di Postlethwaite alla Ferrari lo sviluppo rallentò e fino al 1982 la Fittipaldi si limitò a lavorare sulla stessa vettura con le evoluzioni C e D. Proprio con l’ultima versione il brasiliano Chico Serra colse a Zolder l’unico punto in carriera e l’ultimo nella storia della scuderia brasiliana, che presentò senza fortuna la F9 e a fine anno chiuse i battenti, mentre Serra tornò a correre in patria, dove divenne tre volte campione nazionale Stock Car.

Davide contro Golia

Con il divieto in vigore dal 1981 di schierare vetture clienti, la Ram, attiva saltuariamente dalla metà degli anni settanta, convinse i vertici March a costruire le vetture per il team ma, nonostante l’appoggio di alcuni sponsor, i risultati non arrivarono e il costruttore decise di abbandonare il progetto. Nel 1983 venne schierata per la prima volta una vettura progettata in proprio: il campionato iniziò con Salazaar, mentre al Paul Ricard tentò la partecipazione Schlesser, (già schierato alla Race of Champions di Brands Hatch) che nell’occasione fece segnare l’ultimo tempo girando ad oltre nove secondi dalla pole di Prost e, al pari di Salazaar, non riuscì a qualificarsi. Da metà stagione venne ingaggiato il debuttante Acheson, il quale mancò per sei volte la qualificazione  mentre nell’ultima gara stagionale a Kyalami gli iscritti furono 26 e non vi fu nessuna esclusione, Acheson prese dunque il via davanti alle Osella e in gara chiuse dodicesimo a sei giri dal vincitore Patrese. L’inglese ottenne poi grandi risultati con le vetture sport-prototipo, fino al 1996, quando un incidente durante la 24 ore di Daytona pose fine alla sua carriera.

Piccoli passi per il rientro di Honda

Dopo la diffidenza iniziale, per tutti i team divenne chiaro che per essere competitivi in Formula 1 era ormai necessario dotarsi di un motore turbo, questo richiamò grandi marchi e risvegliò l’interesse della Honda, assente ormai dagli anni sessanta. Dopo una breve esperienza in Formula 2, per rientrare la casa nipponica scelse la debuttante Spirit, che nel corso del 1983 fece le sue prime apparizioni adattando direttamente la vettura di Formula 2. L’esordio avvenne nella Race of Champions, gara non valida per il mondiale disputata a Brands Hatch, dove Johansson si qualificò dodicesimo a 19 secondi dalla pole e dopo soli 4 giri fu costretto al ritiro causa un guasto al motore. Decisamente meglio andò a Silverstone: al debutto nel mondiale Johansson centrò la settima fila mettendosi alle spalle addirittura le due Mclaren (in gara fu costretto al ritiro) mentre poche settimane dopo, a Zandvoort, lo svedese chiuse al settimo posto centrando il miglior risultato per il team che, abbandonato a fine stagione dalla Honda (che scelse la più blasonata Williams), dopo una seconda stagione deludente, abbandonò dopo sole tre gare del 1985 optando per la Formula 3000.

 

Correva l’anno 1983, ma servirebbe un nuovo articolo per finire di raccontarlo.

Cosa dite? Lo facciamo? Va benissimo, ci vediamo alla prossima.

Mister Brown

 

Per le storie precedenti vedere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap.3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap.4 – Verso gli anni ’80

F1 in pillole – Capitolo 4

La storia della Formula 1 ha conosciuto una costante evoluzione tale da mettere talvolta in contrasto gli appassionati, tra i romantici legati all’immagine eroica dei piloti tutto cuore e quelli più affascinati dall’evoluzione tecnica che ha portato nell’arco di pochi decenni a vedere in pista vetture sempre più veloci ed evolute, sempre protese a portare all’estremo lo studio applicato alle quattro ruote.

I piloti sono e restano il filo rosso che lega questa fantastica avventura, per questo motivo abbiamo scelto di raccontare la storia di questo sport attraverso le loro avventure (con particolare attenzione per quelle meno note) e dopo le prime tappe arriviamo fino al 1980, ovviamente senza alcuna intenzione di fermarci.

Il figlio del re delle montagne

La March non disponeva di grandi risorse per il 1976 e si accontentò di aggiornare la vettura a disposizione trovando team e sponsor acquirenti, quali furono la Lavazza per Lella Lombardi, l’Ovoro per Merzario e la Beta per Brambilla. Il team ufficiale poteva invece contare su Peterson e Stuck, il quale nel gran premio di casa, al Nurburgring, riuscì ad ottenere uno straordinario quarto tempo in prova, mentre in gara fu tradito dalla frizione ancora prima di iniziare. Figlio del leggendario Hans (detto Bergkönig, re delle montagne) , il tedesco ha preso il via a 74 Gp di Formula 1 con due podi, mentre la carriera con vetture Sport è stata lunghissima e ricca di successi.

La svolta di Piedone

A Long Beach nel 1976 la Parnelli scese in pista l’ultima volta. Un giornalista chiese ad Andretti: “Cosa pensa della sua ultima gara in Formula 1? Me l’ha detto Vel Miletich, co-fondatore del team”. Piedone rispose lapidario: “Per lui sarà l’ultimo gran premio, non certo per me!”. Non sbagliò, passò infatti alla Lotus con cui vinse il titolo nel 1978, poi chiuse la carriera nel Circus alla fine del 1982 guidando per la  Ferrari dopo una breve parentesi con l’Alfa Romeo.

Mr. Jack O’Malley

Bruno Giacomelli iniziò in F1 correndo sporadicamente per la Mclaren: i tecnici inglesi non riuscivano a pronunciare correttamente il suo nome e quindi lo ribattezzarono, con tanto di indicazione sulla vettura, Jack O’Malley.

Il “maestro” di Ayrton

Alcuni piloti sudamericani si sono fatti notare anche per dichiarazioni pubbliche in merito alla propria vita spirituale, tra i quali il più noto fu sicuramente Ayrton Senna, che fin dagli inizi della carriera raccontò il proprio rapporto con Dio e di come questo fattore lo aiutasse in pista. Magic fu avviato dalla Chiesa Evangelica dalla sorella Viviane e dal cognato, ma un ruolo decisivo in questo percorso lo ebbero anche Nuno Cobra e il pilota Alex Dias Ribeiro, il quale era solito correre con visibili scritte “Jesus Saves” o “Cristo Salva” sulle proprie vetture. Ribeiro tentò 20 partecipazioni in Formula 1, riuscendo a qualificarsi in 10 occasioni, ottenendo come miglior risultato un ottavo posto ad Hockenheim nel 1977 con la March, risultato ripetuto a fine stagione a Mosport.

Prime pagine della storia Williams

In seguito all’acquisto da parte di Walter Wolf della Frank Williams Racing Cars (rinominata Wolf) Frank Williams fondò la Williams GP Engineering, schierando nel primo anno, al pari di altri team, un telaio March 761 e un motore Ford Cosworth. Fu ingaggiato il belga Patrick Neve, che riuscì a qualificarsi in otto occasioni su undici tentativi, sfiorando la zona punti a Monza, dove concluse settimo a due giri dal vincitore. L’anno successivo Neve tentò di partecipare al Gran Premio di casa ma non superò le qualifiche: fu l’ultimo pilota ad essersi iscritto a titolo personale per una gara di Formula 1.

Lo sfortunato caso di Renzo Zorzi

Ancora scosso dopo essere stato spettatore del terrificante incidente del compagno di squadra Tom Pryce, Renzo Zorzi scese in pista a Long Beach dove fu costretto al ritiro, così come nel successivo appuntamento a Jarama. Le convincenti prestazioni del nuovo compagno Jones, l’interesse del team per il promettente Patrese e forse anche il fatto di essere stato involontaria causa scatenante dell’incidente di Pryce in un ambiente cinico, fatalista e a volte scaramantico, gli chiusero le porte della Formula 1, tra l’altro senza nessun preavviso, visto che Zorzi si presentò a Montecarlo e solo ai box gli venne comunicata la decisione del team; ebbe modo di rifarsi con grandi soddisfazioni in competizioni a ruote coperte e con la sua scuola di pilotaggio, fino alla scomparsa avvenuta nel 2015.

Il sogno di una March a 6 ruote

Prima del mondiale 1977 il tecnico March Wayne Eckersley costruì un retrotreno a 4 ruote motrici per la 761, vettura a 6 ruote designata March 2-4-0, dove lo zero indicava l’assenza del differenziale. Ai test di Silverstone partecipó anche Ian Scheckter, fratello del più noto Jody, ma la vettura richiedeva tempi di sviluppo troppo lunghi e non fu mai impiegata in gara. Il pilota sudafricano, che negli anni precedenti corse saltuariamente, ebbe l’occasione di partecipare a tutta la stagione ma, nonostante l’appoggio della Rothmans, il team corse in economia e il miglior piazzamento fu un decimo posto a Zandvoort, poi a fine anno il nome March scomparve dalla Formula 1, tornando a cavallo tra gli anni ottanta e novanta.

Problemi di comunicazione

Grazie ai buoni risultati ottenuti nella Can-Am, nel 1977 Tambay ebbe occasione di debuttare in Formula 1 alla guida di una Surtees, mancando però la qualificazione. Dalla gara successiva trovò un posto alla Theodore (scuderia che correva con telai Ensign) grazie al pagamento di un’ingente somma;  il manager del team Teddy Yip tentò poi di fargli firmare un contratto scritto completamente con ideogrammi, ma il francese si rifiutò di sottoscriverlo, motivo per cui prima del Gp di Germania dovette intervenire Bernie Ecclestone per risolvere la questione e garantirgli la possibilità di correre la gara, dove tra l’altro colse il primo punto in carriera.

Apollon Fly, racconto edizione “tascabile”

Dopo una breve esperienza con la Ram, Loris Kessel prese contatti con Frank Williams, che non aveva posto in squadra, ma fu disponibile a vendere una vecchia FW03 al Jolly Club Svizzero che la ribattezzò Apollon Fly dal nome dello sponsor principale. Il team tentò di iscriversi ad alcune gare senza successo, riuscendo a presentarsi a Monza, dove si accontentò di un posto all’aria aperta visto che le postazioni ai box non erano disponibili. Kessel percorse alcuni giri ma la vettura era lenta e girava ad oltre sei secondi dall’ultimo tempo utile per qualificarsi, così dopo un’uscita di pista lo svizzero decise di ritirarsi, chiudendo la breve avventura del team. Abile imprenditore e manager, Kessel ha ottenuto grandi successi nelle gare Gt, prima di spegnersi a causa della leucemia.

Le avventure di Cavallo pazzo

A soli 21 anni Beppe Gabbiani “Cavallo pazzo” (soprannome coniato da Enzo Ferrari) venne chiamato dalla Surtees per sostituire l’infortunato Brambilla e a Watkins Glen su pista bagnata fece incredibilmente segnare il miglior tempo nelle libere, mentre in qualifica commise un errore mentre stava per staccare un sorprendente sesto tempo e vide sfumare la possibilità di qualificarsi (a onor del vero all’epoca non si calcolavano gli intermedi ma la versione dell’epoca è rimasta tale). Le grandi doti dimostrate valsero in ogni caso i complimenti di Hunt e Depailler, mentre Alan Jones gli offrì addirittura un brindisi dopo che Gabbiani, con la consueta esuberanza, gli disse che con gomme migliori sarebbe andato più forte.

Capolinea per la Hesketh

Nel 1978, dopo due tentativi con Divina Galica (non qualificata) e una presenza di Cheever, ritiratosi dopo soli 8 giri a Kyalami, sul difficile tracciato di Long Beach la decaduta Hesketh schierò Derek Daly, il primo irlandese a correre in Formula 1 dopo i tentativi di Joe Kelly nel 1950 e 1951. Daly non riuscì a passare le prequalifiche, così come a Montecarlo, mentre a Zolder venne iscritto alle qualifiche ufficiali, ma anche in quel caso l’ostacolo risultò insormontabile. A quel punto il team chiuse i battenti e l’irlandese si accordò con l’Ensign con cui ottenne un punto nel gran premio del Canada; corse poi fino a tutto il 1982 con Tyrrell, March, Theodore e Williams.

Avanti, in casa Ats c’è posto

La Ats era entrata in Formula 1 nel 1977 utilizzando delle Penske, mentre dall’anno seguente schierò le proprie vetture, su cui si alternarono ben 7 piloti: la stagione iniziò con Mass (poi infortunato) e Jarier (licenziato per un litigio con il patron Schmidt), poi scesero in pista anche Colombo, Binder, Rosberg, Ertl e Bleekemolen; quest’ultimo a Watkins Glen riuscí a qualificarsi per l’unica volta in carriera, ma fu costretto al ritiro per una perdita d’olio.

Fangio rimandato come sbandieratore

La prova inaugurale del mondiale 1978, disputata a Buenos Aires, si chiuse dopo 52 giri e non secondo i 53 previsti, a causa di un errore dello sbandieratore Juan Manuel Fangio, che abbassò la bandiera a scacchi con un giro d’anticipo. Fu l’unica gara che vide la partecipazione di Lamberto Leoni, il quale si ritirò al 28esimo giro dopo essere partito dalll’11esima fila; nel successivo Gp del Brasile fu tradito dalla sua Ensign nel giro di formazione poi, dopo due mancate qualificazioni, lasciò la F1 e si spostò verso la motonautica, abbandonata in seguito alla morte di Pironi.

L’importante è partecipare

Nella storia della Formula 1 tanti piloti hanno tentato la gloria senza mai riuscire a qualificarsi, tra questi Tony Trimmer, che dopo alcune prove con la Maki, venne iscritto in due occasioni al Gp d’Inghiterra dal team privato Melchester, che gli mise a disposizione prima una Surtees e poi una Mclaren, quest’ultima nella sua ultima apparizione iridata,a Brands Hatch nel 1978. A onor di cronaca l’inglese portò a termine nel 1975 il Gp di Svizzera disputato a Digione e non valido per il mondiale: alla guida della Maki chiuse tredicesimo a sei giri dal vincitore Regazzoni.

Rebaque fai da te

Unico costruttore messicano ed ultimo a portare a punti una vettura privata (Germania, 1978), Rebaque nelle ultime gare del 1979 schierò una propria vettura, la Hr100: riuscí a qualificarsi solo in Canada, senza riuscire a terminare il gran premio, poi dalla stagione successiva passò alla Brabham accantonando il proprio team.

Zunino “erede” di Lauda

Pilota argentino con qualche esperienza e una vittoria in Formula Aurora, Zunino nel 1979 provò una Brabham a Silverstone, mentre poche settimane dopo si presentò a Montreal come spettatore e a sorpresa corse. Niki Lauda disputò le libere, poi annunciò il ritiro ad effetto immediato e  Zunino (inizialmente con casco e tuta dell’austriaco) scese in pista: in prova fu diciannovesimo a circa 3 secondi dal compagno di squadra Piquet, mentre in gara fu regolare e attento, chiudendo settimo a quattro giri dal vincitore Alan Jones. Forte di risorse importanti venne confermato, ma con la Brabham che ambiva al titolo non marcò punti e dopo sette gare fu sostituito da Rebaque; corse due gran premi con la Tyrrell nel 1981 prima di ritirarsi definitivamente.

L’era delle vetture clienti volge al termine

Al termine di una stagione combattuta, nel 1980 a Montreal la Williams si aggiudicò matematicamente il primo titolo della propria storia. In quell’evento furono ben quattro le vetture di Sir Frank iscritte: oltre alle ufficiali di Jones e Reutemann, primo e secondo al traguardo, due private gestite dalla Ram, una per Keegan (Penthouse Rizla) e una per Cogan (Rainbow Jeans), ma nessuno dei due riuscì a qualificarsi.

Rupert Keegan, campione Formula Aurora nel 1979, riuscì a prendere il via a Watkins Glen (concluse nono) in quella che fu l’ultima gara in cui una vettura privata partì in concorrenza con le vetture ufficiali del costruttore. Dopo un altro anno di “pausa”, Keegan tornò nel circus con la March, qualificandosi in tre occasioni pur senza ottenere punti, prima di passare alle vetture sport e infine alla Cart.

 

Ed eccoci al 1980, in pieno fermento per la crescente competitività dei motori turbo, che nel giro di pochi anni porterà ad una trasformazione di tutto l’ambiente, con l’ingresso di grandi gruppi, incremento dei costi e spazio sempre più ridotto per il sogno dei piccoli artigiani di competere contro i colossi dell’auto, la storia della Formula 1 stava per scrivere un nuovo e importante capitolo.

Mister Brown

Per le storie precedenti vedere qui:
Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap.3 – Anni ’70 (seconda parte)