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F1 in pillole – Capitolo 10

Nel corso degli anni ottanta la Formula 1 ha vissuto una costante crescita di popolarità mediatica, amplificata alla fine del decennio dall’epico duello tra Senna e Prost, le cui battaglie dentro e fuori dagli autodromi, amplificate ad uso e consumo dei media, hanno finito per attirare una nuova fetta di pubblico e proiettato il Circus dei Gp nell’olimpo degli sport più seguiti oltre all’universale calcio.

Chi in quegli anni ha ammirato bolidi dalle potenze mostruose e dalla tecnologia sempre più raffinata, domati da cavalieri senza macchia e senza paura in duelli indimenticabili, certamente non avrebbe mai immaginato che a breve la classe regina dell’automobilismo avrebbe perso i propri punti di riferimento, con il pensionamento dei grandi protagonisti della scena, un ricambio generazionale non all’altezza, un cambio di mentalità generale del pubblico e degli addetti ai lavori, sempre più rivolti allo show piuttosto che allo sport, il tutto gravato dalla tragica scomparsa del pilota più rappresentativo, caduto in battaglia in un nero fine settimana a Imola.

Ma prima di giungere alla conclusione, vediamo cosa successe in quel periodo.

Scuderia Italia, l’avventura continua

Dopo un’annata deludente senza nessun punto ottenuto, la Scuderia Italia si presentò al via del 1991 con un’evoluzione della vettura precedente e con il motore Judd, ottenendo risultati al di sopra delle aspettative: a Imola Lehto colse l’unico podio in carriera, bravo a sfruttare i numerosi ritiri (tra cui quelli delle Ferrari, con Alesi fuori al secondo giro e Prost addirittura nel giro di ricognizione) conducendo una gara regolare partendo dall’ottava fila. Grande promessa, venne ingaggiato dall’ambiziosa Benetton nel 1994 ma un grave incidente nei test lo costrinse a uno stop forzato; una volta rientrato non riuscì più ad esprimersi sugli stessi livelli e si ritirò a fine stagione. Il suo compagno di squadra Emanuele Pirro centrò un ottimo sesto posto a Montecarlo, cogliendo l’ultimo punto in carriera, poi a fine stagione abbandonò la F1 e si dedicò definitivamente alle competizioni a ruote coperte per una lunga carriera ricca di successi, tra cui due titoli super-turismo e cinque vittorie alla 24 ore di Le Mans.

Breve storia della Fondmetal in F1

La Fondmetal, gruppo industriale di forte esperienza, entrò in F1 come sponsor, poi come partner e infine rilevando la struttura dell’Osella, affrontando con alterne fortune due campionati del mondo. Nel 1992 l’ottimo Tarquini si qualificò con regolarità anche se fu penalizzato dalla fragilità della vettura, mentre Chiesa pagò la scarsa esperienza e la difficoltà nel correre con un mezzo poco competitivo. A Magny Cours lo svizzero riuscì a entrare in griglia per la terza volta in stagione, ma la sua gara non durò nemmeno il tempo di un giro, coinvolto in un incidente poco dopo il via; mancata la qualificazione a Silverstone ed Hockenheim, venne sostituito da Van De Poele, poi il team chiuse i battenti prima della fine del campionato.

Le tragicomiche avventure dell’Andrea Moda

Andrea Sassetti acquistò il materiale Coloni per iscrivere L’Andrea Moda con lo scopo di promuovere la propria attività, anche se le cose non andarono come previsto. Per vari problemi il team non scese in pista nelle prime due gare, arrivando all’allontanamento dei piloti Caffi e Bertaggia e all’arrivo di Moreno, che qualificò l’Andrea Moda per l’unica volta nella propria breve storia. A Montecarlo il brasiliano superò le pre-qualifiche e si qualificò all’ultimo posto a 5.450 sec dalla pole, mentre in gara fu costretto al ritiro dopo soli 11 giri per noie al motore Judd. Dopo quel “miracolo” di Moreno, per l’Andrea Moda fu di nuovo impossibile superare lo scoglio delle pre-qualifiche, fino a quando il team fu bandito in seguito all’arresto del patron durante il week end di Spa.

Per affiancare Moreno venne scelto McCarthy, già test driver dalla Footwork: il pilota inglese non si qualificò mai e spesso si limitò a pochi giri, addirittura a Silverstone disputò le prequalifiche su pista asciutta con gomme da bagnato, unico treno di gomme disponibile, facendo segnare il tempo di 1:46.719, distante 27.754 dalla pole di Nigel Mansell (il compagno di squadra Moreno con gomme da asciutto era comunque oltre gli 11 secondi). Perry McCarthy ha narrato la sua stagione all’Andrea Moda nella propria autobiografia Flat Out, Flat Broke: Formula 1 the Hard Way!

La storia della March ai titoli di coda

La March era rientrata in F1 alla fine degli anni ottanta con ottime prestazioni, poi passò nelle mani del gruppo Leyton House, i cui investimenti non diedero i risultati sperati, inoltre il patron Akira Akagi venne arrestato per frode alla fine del 1991, riportando il team alla denominazione originale. A causa delle difficoltà finanziarie la March disputò il 1992 con la vettura dell’anno precedente con cui Wendlinger riuscì a cogliere un miracoloso quarto posto, mentre il debuttante Belmondo visse una stagione travagliata, qualificandosi in sole 5 occasioni prima di essere sostituito da Naspetti, che abbandonò il campionato International Formula 3000 dove fino a quel momento occupava la prima posizione. Al debutto, sul circuito di Spa, il pilota italiano si qualificò agevolmente in ventunesima posizione a 7,2 secondi dalla pole di Mansell, mentre in gara fu dodicesimo; corse le cinque gare di fine stagione ottenendo un undicesimo posto come migliore risultato poi, dopo il ritiro della March, divenne collaudatore per la Jordan, scuderia con la quale corse il suo ultimo gran premio, quello del Portogallo nel 1993, ritirandosi per la rottura del motore. Nelle ultime due gare Naspetti fu affiancato da Jan Lammers, assente dal mondiale di Formula 1 dal 1982, poi una volta chiusa la stagione il team tentò di iscrivere la ormai obsoleta CG911B anche al mondiale 1993, ma in Sudafrica non si presentò e chiuse definitivamente i battenti.

Modena, promessa mancata

La stagione del debutto si era rivelata sorprendente per la Jordan, che nel 1992 si trovò invece a fronteggiare difficoltà economiche e tecniche: la nuova 192 era un’evoluzione della precedente progettata per il V8 Cosworth, pertanto fu difficile adattare il V12 Yamaha, che si rivelò tra l’altro poco affidabile e particolarmente “assetato” di benzina. Oltre a Gugelmin venne ingaggiato il talentuoso Modena, penalizzato dalla macchina e lontanissimo dalle prestazioni ottenute l’anno precedente con la Tyrrell, anche se con un sesto posto ad Adelaide ottenne l’unico punto stagionale per Eddie Jordan, nella gara che chiuse la sua carriera in Formula 1.

Nuovo tentativo per la Lola

La Scuderia Italia mosse i primi passi in Formula 1 con telai Dallara, ottenendo risultati incoraggianti, ma alla fine del 1992 l’accordo venne chiuso (pare per problemi tra il telaista e la Ferrari, fornitrice di motori) e avviato un nuovo percorso con la Lola, già presente precedentemente con Haas e poi Larrousse. I risultati furono disastrosi: i due piloti mancarono spesso la qualificazione e non arrivarono mai in zona punti, sfiorata solamente da Badoer a Imola. Chiusa anzitempo la stagione, Lucchini entrò in società con la Minardi, prima di tornare con grande successo a gare turismo e Gt.

Un piccolo record per Barbazza

Monzese di nascita, con alle spalle esperienze in America (terzo alla 500 miglia di Indianapolis nel 1987) e una poco fortunata stagione in Formula 1 con la Ags con la quale non riuscì mai a qualificarsi, nel 1993 Barbazza ebbe l’occasione di tornare nel circus con la Minardi stabilendo un piccolo primato: grazie ai due sesti posti di Donington e Imola fu infatti il primo ad andare a punti per due gare consecutive con la scuderia faentina. Sostituito da Martini a metà stagione, abbandonò la Formula 1 e tornò in America nella serie Imsa, dove la sua carriera si interruppe definitivamente a causa di un grave incidente alla 3 ore di Road Atlanta alla guida della Ferrari 333 Sp; in seguitò si distinse per il proprio lavoro nell’ambito della sicurezza sportiva.

Benvenuta Sauber

Peter Sauber inizio la propria attività costruendo vetture Formula 2 e Sport Prototipo, avviando una proficua collaborazione con la Mercedes, il cui appoggio fu determinante per il passaggio in Formula 1. La Sauber C12 debuttò nel 1993 e si dimostrò subito competitiva ma altrettanto inaffidabile e il promettente Wendlinger fu più volte costretto al ritiro, ma finalmente a Montreal arrivò il primo punto, cui seguirono altri tre piazzamenti che consentirono all’austriaco di terminare la stagione in una soddisfacente posizione di metà classifica. Nel 1994, dopo un buon avvio, Wendlinger fu vittima di un terribile incidente a Monaco che compromise la sua carriera in F1, passò allora con successo alle ruote coperte.

256 volte Patrese

Vicecampione in carica, dopo gli anni d’oro in Williams Riccardo Patrese venne scelto da Briatore per affiancare l’astro nascente Schumacher e mettere in campo la propria esperienza al fine di sostenere la grande crescita della Benetton. Trascorsa una prima metà di stagione tribolata, il padovano visse un finale in crescendo conquistando numerosi piazzamenti grazie ad ottime prestazioni; dopo aver festeggiato in Germania il traguardo dei 250 Gp, colse all’Hungaroring il suo ultimo podio giungendo secondo al traguardo, poi a fine stagione si ritirò, rifiutando durante l’anno seguente un’offerta della Williams, che lo aveva scelto per sostituire Ayrton Senna.

Andretti di nome ma non di fatto
Il figlio di “Piedone” arrivò in Formula 1 forte di grandi risultati ottenuti nelle corse americane, dove vinse anche un campionato CART nel 1991, anno in cui effettuò i primi test sulla Mclaren, scuderia con cui debuttò due anni più tardi. La stagione non iniziò nel migliore dei modi in quanto il team aveva perso i motori Honda e si era dovuta accontentare dei Ford “clienti”, inoltre Andretti faticava ad adattarsi alla categoria e il confronto interno con un campione navigato come Senna rese la situazione ancora più difficile. A Monza un testacoda lo portò in fondo al gruppo, ma con grinta l’americano recuperò terreno e riuscì a chiudere al terzo posto (suo miglior risultato), nella stessa pista dove era salito sul podio l’ultima volta il padre Mario nel 1982. Appiedato dopo il Gp d’Italia, Andretti tornò in America ripresentandosi al via del campionato CART.

Minardi stile Hot Wheels

Le forniture di motori Ferrari e Lamborghini non avevano portato risultati e lasciato un pesante disavanzo economico, per cui la Minardi iniziò il 1993 con una vettura dall’architettura semplice e i motori Ford dell’anno precedente, nonostante ciò si trattò della miglior stagione in termini di punteggio per il team faentino. Christian Fittipaldi (figlio di Wilson e nipote di Emerson), che ottenne ben 5 punti in campionato, a Monza fu protagonista di un arrivo spettacolare, terminando alle spalle di Martini dopo averlo colpito ed eseguendo un incredibile 360° in aria.

Apicella, carriera lampo

La carriera in F1 di Apicella non durò nemmeno un giro: chiamato da Eddie Jordan per disputare il gp d’Italia in seguito al ritiro di Boutsen, l’italiano si qualificò 23esimo e venne coinvolto in un incidente poco dopo il via. Contende questo particolare record di carriera lampo con Miguel Angel Guerra (Osella, Imola 1981).

Verso la regola del 107%

Per alcuni anni in Formula 1 l’elevato numero di iscritti rese necessaria l’esclusione di alcuni piloti per mantenere un massimo di 26 partecipanti alle gare poi, con l’abbandono di diversi team, a partire dal Gp del Brasile 1993 si decise di escludere uno solo dei 26 iscritti. Dal Gp di Germania vennero ammessi tutti i partecipanti, che nelle ultime gare dell’anno, causa il forfait della Scuderia Italia, divennero 24; in questo modo Toshio Suzuki, chiamato dalla Larrousse per sostituire Alliot, in Australia prese parte alla gara nonostante un pesante distacco in qualifica, situazione cui in futuro si cercò di ovviare con l’introduzione della regola del 107%.

Mclaren Lamborghini: sogno sfumato

Nell’estate del 1993 la Mclaren testò una Mp4/8 su cui era stato installato un potentissimo V12 Lamborghini: nonostante alcuni problemi relativi a lunghezza, consumi e affidabilità, Senna telefonò a Dennis dichiarandosi entusiasta, richiedendo addirittura di averlo subito, ma i vertici Mclaren avevano dei dubbi, inoltre la Peugeot garantì anche copertura economica, per questo motivo Dennis si accordò con la casa francese, irritando non poco Senna, e della Mclaren Lamborghini restano solo racconti e immagini di un bel sogno.

Imola tragica: Addio Ayrton e Roland

Oltre al classico appuntamento di Suzuka, nel 1994 e 1995 la F1 sbarcò in Giappone anche per il gran premio del Pacifico, disputatosi sul circuito di Aida. Dopo una lunga gavetta, Roland Ratzenberger realizzò a 34 anni il suo sogno di debuttare in Formula 1 grazie ad un contratto di cinque gare con il team Simtek. Mancata la qualificazione in Brasile, il pilota austriaco in GIappone si piazzò in ultima fila al fianco del compagno David Brabham, conducendo poi una gara regolare, chiusa all’undicesimo posto a cinque giri dal vincitore. Morì nel successivo gran premio a Imola a causa delle ferite riportate in un incidente avvenuto nelle prove del sabato, in un week end già sconvolto dal drammatico botto di Barrichello, fortunatamente risoltosi con lievi conseguenze.

Il 30 aprile 1994, giorno della tragedia di Roland, Ayrton Senna colse la sua 65esima ed ultima pole position, il giorno seguente anche l’asso brasiliano perse la vita e tra i rottami della sua Williams venne ritrovata una bandiera austriaca: Ayrton era sceso in pista per la gara con l’intento di celebrare lo sfortunato collega sventolando quella bandiera nel giro d’onore della sua 42esima vittoria, che purtroppo non arrivò mai. Nel fine settimana più nero che la Formula 1 ricordi anche uno spaventoso incidente al via, con tifosi feriti da rottami, oltre ad un meccanico colpito ai box dall’incolpevole Alboreto a causa di una ruota persa dalla sua Minardi. La Formula 1 arrivò in stato di shock al successivo Gp di Montecarlo, dove Karl Wendlinger uscì di pista durante le libere rimanendo per un lungo periodo in coma: riuscì a ristabilirsi e tornare a correre, pur senza giungere nuovamente ai livelli di competitività precedenti all’incidente.

Le pillole non finiscono qui, c’è ancora una lunga storia da raccontare, ma è inutile negare che quel primo maggio segnò uno spartiacque, e da quel momento nulla sarebbe più stato come prima.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991

F1 in pillole – Capitolo 9

La Formula 1 visse un inverno bollente, caratterizzato dall’accesa polemica tra il presidente della FISA Jean-Marie Balestre e Ayrton Senna, che lo accusava di aver manipolato il campionato precedente in favore dell’acerrimo rivale Prost. Senna ricevette una multa di 100.000 dollari ed il ritiro della superlicenza, situazione poi risolta da una lettera di scuse spedita dalla Mclaren in febbraio, proprio allo scadere dell’ultimatum di Balestre. Senna poté dunque disputare il campionato e proseguire il duello con Prost, passato ad una sempre più competitiva Ferrari, in un matrimonio che partì con i migliori auspici e finì nel peggiore dei modi, mentre il brasiliano della Mclaren vinse altri due titoli, ora fronteggiato da Nigel Mansell, anche lui protagonista di un rapporto tormentato con il cavallino rampante e rilanciato dalla Williams Renault. Come sempre le pagine di storia della Formula 1 furono scritte non solo dai protagonisti, eccovi dunque un pò di pillole di Formula 1.

Breve storia della Life in Formula 1

Verso la fine degli anni ottanta l’ex ingegnere della Ferrari Franco Rocchi sfruttò una vecchia applicazione aeronautica per progettare un motore automobilistico di nuova concezione: realizzò infatti un propulsore plurifrazionato a dodici cilindri, disposti non a V come di consueto, bensì a W, ovvero con tre bancate, ognuna delle quali ospitava quattro cilindri. In questa maniera, rispetto a un tradizionale V12, il motore era più corto, e di conseguenza la vetture più agile poiché anch’essa più corta, pur conservando teoricamente la potenza del dodici cilindri. L’imprenditore Ernesto Vita fu stimolato dall’idea e acquistò i diritti per vendere i motori in F1, ma non trovò interesse e pertanto costituì un proprio team, acquistando il telaio ideato inizialmente per l’abortito team First sul quale fece adattare il motore W12 partendo con una sola vettura, due motori e ben pochi ricambi. Durante le pre-qualifiche a Phoenix Gary Brabham, figlio di Jack, fece segnare il poco invidiabile tempo di 2.07, a trenta secondi dal già modesto crono della Eurobrun di Langes, mentre poche settimane dopo a Interlagos non completò nemmeno un giro a causa di un guasto. Pensando di ottenere una brutta reputazione, Brabham abbandonò la Life (non ebbe comunque altre occasioni in F1) e fu sostituito l’esperto Giacomelli, ma la Life non riuscì mai ad avvicinarsi nemmeno all’ultimo degli esclusi dalle prequalifiche, girando in alcune piste su tempi da F3. Neanche il passaggio ad un più convenzionale motore Judd portò miglioramenti e tra mille disavventure, dopo un ultimo disastroso tentativo nel Gran Premio di Spagna, il team si ritirò dal campionato, rinunciando alle ultime due gare e sparendo definitivamente dalla Formula 1.

Il riscatto di Riccardo Patrese

Nel 1983 a Imola Riccardo Patrese uscí di pista quando la vittoria sembrava ormai una formalità e venne ingiustamente sbeffeggiato dal pubblico che esultò per la vittoria della Ferrari. Nel 1990 il pilota italiano si riconciliò con i tifosi italiani: terzo in prova, prese la testa della corsa con un bel sorpasso su Berger tra le urla di gioia del pubblico, che lo accolse poi con entusiasmo quando salì sul gradino più alto del podio.

Ultimo capitolo per l’Eurobrun

La scuderia EuroBrun debuttò nel 1988 con risultati altalenanti e difficoltà nel qualificarsi, mentre ancora più disastrosa fu la stagione seguente, con il solo Foitek capace di superare le prequalifiche, tra l’altro in una sola occasione e senza poi riuscire a entrare tra i 26 in gara. Il 1990 iniziò con la vecchia Er189, di cui a san Marino arrivò la versione “B”: Moreno (Già 13esimo a Phoenix) si piazzò in ultima fila, ma si fermò subito per un guasto, mentre Langes nelle prequalifiche risultò più lento di sei secondi rispetto al compagno di squadra (che aveva centrato l’ultimo piazzamento utile) e si fermò di fronte ad un ostacolo insuperabile: alla guida di una vettura modesta e con una concorrenza spietata (35 iscritti) in 14 tentativi non passò mai la sessione del venerdi mattina, trovandosi appiedato a due gare dal termine per l’abbandono del team.

Capelli ad un passo dalla vittoria

Con l’ingresso della Leyton House, la March puntava ad arrivare ad alti livelli e il progettista Adrian Newey, che già aveva ideato la fortunata auto del 1988, si mise all’opera per il modello CG901, il cui prefisso fu una dedica Cesare Gariboldi, manager del team da poco deceduto. Il progetto si basava sulla vecchia vettura, ma dotato di un’aerodinamica più sofisticata, anche se la galleria del vento fornì dati errati e fu necessaria una correzione in corsa. I risultati furono comunque deludenti e Ivan Capelli in Messico mancò la qualificazione, mentre nel successivo Gp in Francia partì in quarta fila e grazie ad un consumo ottimale degli pneumatici si trovò sorprendentemente in testa, arrendendosi solo nel finale ad Alain Prost causa noie al propulsore Judd; chiuse comunque secondo per quello che fu l’unico piazzamento a punti stagionale.

Stagione positiva per la Larrousse

Dopo un 1989 al di sotto delle aspettative, la Larrousse, che nel frattempo aveva ceduto il 50% delle quote del team alla giapponese Espo Corporation e spostato la sede a Signes, si trovò costretta a disputare le prequalifiche. Grazie al nuovo 12 cilindri Lamborghini, più competitivo e affidabile, il turno del venerdi mattina non rappresentò mai un problema e venne sempre superato con facilità dai due piloti Aguri Suzuki ed Eric Bernard, quest’ultimo autore a Silverstone di una prova superlativa, con ottavo posto in qualifica e gara chiusa al quarto posto, alle spalle di Ayrton Senna e addrittura davanti a Piquet. Il francese, che sembrava avviato ad un brillante futuro, colse punti anche a Monaco e in Ungheria, poi visse un deludente 1991 concluso con un grave incidente a Suzuka, in seguito al quale tornò in F1 solo tre anni dopo, prima con Ligier (con cui ottenne l’unico podio in carriera) e poi con Lotus, restando senza un volante prima della fine della stagione.

Ferrari? No, grazie

La Benetton iniziò la propria avventura a metà degli anni ottanta mostrando costanti segni di crescita, così come Alessandro Nannini, che nel 1990 si stava confrontando con ottimi risultati con un compagno di squadra ostico come Piquet, cogliendo risultati di rilievo e alcuni podi. Le prestazioni del senese valsero l’interesse della Ferrari, ma a giochi fatti l’affare saltò, pare per una clausola contrattuale, in ogni caso per motivi che poi il pilota addebitò a Fiorio. Nannini, che affermò di preferire la Benetton in quanto “auto del futuro” (e visti i titoli 94/95, aveva ragione), fu costretto a interrompere la propria carriera in F1 a causa di un incidente con un elicottero.

Niente da fare per la Subaru

Una volta banditi i Turbo, l’Ing.Chiti iniziò a lavorare su un V12 Motori Moderni, quando entrò in scena la Subaru (attratta dai successi della concorrente Honda) che sostenne il progetto richiedendo l’applicazione di principi delle proprie vetture di serie: si arrivò dunque all’1235, l’ultimo motore a cilindri contrapposti ad aver gareggiato in F1, tecnologia già abbandonata da anni in quanto ritenuta poco redditizia. Nonostante la mente geniale di Chiti, il motore si dimostrò un disastro e la Coloni, team che sperava in un salto di qualità, non riuscì mai a superare le prequalifiche, tornando presto ad un tradizionale Ford, che di fatto non portò miglioramenti, visto che Gachot continuò a stazionare all’ultimo posto del turno di prove.

Suzuki e Lamborghini sul podio

La Lamborghini venne acquisita dal gruppo Chrysler, che per rilanciare la fama del “toro” pensò di proiettarsi sul mercato della F1 attraverso un motore da concedere ai team clienti. Per la realizzazione vennero coinvolti due grandi uomini della storia Ferrari, ovvero l’Ing.Forghieri e il team manager Audetto, mentre per coerenza con il prodotto di serie si optò per un 12 cilindri che in fatto di potenza non aveva nulla da invidiare ai propulsori di massimo livello nella categoria, anche se non fu mai raggiunta un’affidabilità soddisfacente. Il miglior risultato arrivò con la Larrousse, quando a Suzuka nel 1990 Aguri Suzuki centrò l’unico podio in carriera per sé e per il motore Lamborghini, mentre con Lotus, Modena Team, Minardi e Ligier non arrivarono risultati all’altezza delle aspettative.  Aguri Suzuki, primo giapponese a podio in Formula 1, partecipò ad 88 gran premi, qualificandosi in 64 occasioni e ottenendo 8 punti, chiuse la carriera in seguito ad un incidente avvenuto, sempre a Suzuka, nel 1995.

Tyrrell, sinonimo di innovazione

Nel tentativo di rilanciare il proprio team, Ken Tyrrell avviò una partnership con la Mclaren e ampliò l’organico, assicurandosi inoltre il contributo di tecnici di rilievo come Harvey Postlethwaite e Jean-Claude Migeot, che per il 1990 progettarono la Tyrrell 019, prima monoposto della storia con musetto rialzato, poi adottato da tutti i team, compresa la Benetton del 1994, prima vettura iridata con quel particolare. Grazie ad un’ottima vettura e ad un motore affidabile (un Cosworth preparato da Brian Hart) la Tyrrell centrò due podi con Alesi e il quinto posto tra i costruttori con 16 punti, ultimo di questi ottenuto da Nakajima nel Gp di casa a Suzuka.

Giornata di festa per la Benetton

Ingaggiato dalla modesta Eurobrun, il “Pupo” Moreno riuscì miracolosamente a qualificarsi in due occasioni, poi la scarsa competitività del mezzo si fece sentire e per otto gare consecutive lo scoglio delle pre-qualifiche risultò insormontabile. La stagione di Moreno svoltò con la chiamata della Benetton in sostituzione dell’infortunato Nannini, cui il brasiliano rispose nel migliore dei modi centrando a Suzuka un ottimo secondo posto alle spalle del compagno di squadra e amico Piquet. Confermato per il 1991, venne poi rimpiazzato a stagione in corso per far posto a Schumacher, continuando a correre con team minori, spesso ottenendo risultati oltre le aspettative.

Watson porta al debutto la Jordan

Ad oltre cinque anni dall’ultima presenza ufficiale alla guida della Mclaren, John Watson fu il primo pilota a guidare per la Jordan, team in procinto di iscriversi al mondiale per la stagione seguente. In un test a Silverstone l’inglese testò la vettura spinta da un tradizionale motore Ford a otto cilindri, mentre per il campionato seguente furono scelti Andrea De Cesaris e Bertrand Gachot, quest’ultimo poi sostituito dal debuttante Schumacher, poi da Moreno e infine da Zanardi.

Il grande passo della Lambo

Un imprenditore messicano commissionò alla Lamborghini Engineering (che già forniva un V12 ad alcune scuderie) il progetto di una struttura completa per entrare in F1 nel 1991; la realizzazione della monoposto fu affidata a Mauro Forghieri, ma quando il prototipo era ormai pronto il finanziatore sparì dalla circolazione. Nonostante gli ovvi problemi economici si decise di continuare autonomamente il progetto e la scuderia venne iscritta come Modena Team: all’esperto Larini venne affiancato Van De Poele, che nei primi due Gp non superò le prequalifiche, mentre a Imola partì 21esimo e si trovò addirittura quarto a poche tornate dal temine, fermato da un guasto alla pompa della benzina che lo costrinse al nono posto. Fu l’unica occasione in cui il belga riuscì a qualificarsi, poi il team chiuse i battenti e Van De Poele tentò con poca fortuna di correre nel 1992 con Brabham e Fondmetal (solo 4 apparizioni in gara) ottenendo poi grandi successi in altre categorie, vincendo tra l’altro cinque volte la 24 Ore di Spa.

Siparietto messicano tra Zermiani e De Cesaris

Con la debuttante Jordan De Cesaris trovò nuovi stimoli grazie all’ottimo rapporto con Eddie Jordan e ad una vettura competitiva con cui disputò una delle migliori stagioni in carriera. Nel 1991, dopo un quarto posto a Montreal il romano concesse il bis in Messico, dove fu protagonista di uno storico aneddoto: rimasto senza benzina a 150 metri dal traguardo (essendo l’ultimo a pieni giri sarebbe comunque stato classificato quarto) scese dalla vettura per spingerla a piedi; a quel punto venne affiancato dal mitico Zermiani che tentò di intervistarlo. il pilota romano rispose allora nel proprio dialetto: “Ma invece de dimme tutte ‘ste fregnacce perchè nun te metti a spinge?”

Il primo Stop&Go della storia

Da alcuni anni la F1 é ridotta ad una sorta di gara di regolaritá, con linee di demarcazione, divieti e penalizzazioni continue che, unite ad un regolamento tecnico discutibile e a meccanismi artificiali come il drs, hanno compromesso la competizione in gara. Un tempo, fortunatamente, non era cosí: si pensi che fino agli anni novanta le sanzioni erano quasi inesistenti e il primo stop&go della storia fu inflitto solo nel 1991 a Pierluigi Martini, colpevole secondo la direzione gara di aver ostacolato Stefano Modena in fase di doppiaggio, forse messo in difficoltá dal circuito stretto e tortuoso del principato.

Si chiude la storia dell’Ags

Confermato per il terzo anno consecutivo, Tarquini arrivò ottavo a Phoenix, mentre con due ritiri a Interlagos e Montecarlo segnò le ultime presenze in griglia per la Ags, team finanziariamente stremato e in pista con la vettura dell’anno precedente. Dopo il Gp del principato le vetture francesi (guidate anche da Johansson, Barbazza e Grouillard) non riuscirono più a qualificarsi e una volta verificato che nemmeno la nuova JH27 migliorò la situazione, in mancanza di fondi la Ags sparì definitivamente dalla F1.

La Porsche al rientro in F1

Il ritorno ai propulsori aspirati aveva portato nuovi motoristi in F1 e dal 1991 tentò di rientrare anche la Porsche, che negli anni ’80 era stata protagonista nell’era del turbo. La Footwork Arrows scelsce il V12 tedesco, che tecnicamente era un doppio V6 ridotto, troppo complesso e ingombrante, al punto che il team dovette ritardare il debutto della nuova vettura per adattarla al motore, che tra l’altro pesava 50Kg in più rispetto ad altri concorrenti, con l’aggravante di 40 cavalli in meno. Nonostante l’impiego di ottimi piloti come gli esperti Alboreto e Johansson, oltre al promettente Caffi, i risultati furono disastrosi e la Arrows a metà stagione optò per il tradizionale Cosworth; la Porsche nel frattempo progettò un V10 più convenzionale, ma i vertici di Stoccarda bloccarono il progetto riutilizzandolo poi per le competizioni Endurance.

Ultimo vano tentativo per la Coloni

Dopo numerose affermazioni nelle categorie minori, Chaves ebbe l’occasione di disputare un campionato in Formula 1 con la Coloni (team ormai in grande difficoltà, le cui vetture non entravano in griglia da ormai due anni). La vettura C4 si rivelò poco competitiva e Chaves non riuscì mai a superare le prequalifiche, piazzandosi spesso ultimo; l’ultima apparizione fu all’Estoril dove fece segnare un tempo distante quasi sei secondi dall’ultimo piazzamento utile per accedere al turno successivo. Deluso dalla situazione e in disaccordo economico con il team, lascio il posto dedicandosi alle ruote coperte e vincendo diverse competizioni nazionali. Il volante del portoghese venna affidato a Naoki Hattori, che a Suzuka siglò il proprio miglior crono in 2.00.035, ovvero a circa 20 secondi dal penultimo tempo del turno e anche se in Australia il miglioramento fu netto non ci fu niente da fare e la scuderia italiana terminò dunque la stagione senza aver mai superato le prequalifiche; abbandonata la Formula 1 dopo aver venduto tutto all’Andrea Moda, Coloni optò per altre categorie, nelle quali si misura tutt’ora.

Verso un nuovo anno zero

Il mondiale 1991 consegnò l’ultimo titolo ad Ayrton Senna, poi la Williams divenne un’armata invincibile che permise a Mansell e Prost di chiudere in bellezza una lunga carriera; l’asso brasiliano fece di tutto per giungere alla corte di Sir Frank, ma una volta arrivato a destinazione nulla andò come sperato. Il nostro viaggio sta per giungere ai momenti che sconvolsero e cambiarono per sempre la Formula 1, ma per questo ci rivediamo alla prossima puntata.

Mister Brown

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Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989

F1 IN PILLOLE – CAPITOLO 8

Come già annunciato poco più di due anni prima, dal 1989 i propulsori turbo furono banditi con conseguente ritorno agli aspirati di cilindrata massima fissata in 3500 cm³  e cilindri fino a 12; in un’era di grande innovazione caratterizzata dall’epico scontro tra Senna e Prost, che finì per catalizzare l’attenzione del grande pubblico, tornò tra i piccoli team l’idea che con la nuova rivoluzione motoristica potesse permettere a Davide di sfidare Golia, così l’elenco delle scuderie salì a 20, con 39 piloti al via, sette motoristi e due fornitori di pneumatici, nessun limite di consumo e una competizione spietata dall’ora di prequalifiche alla bandiera a scacchi. Il 1989 non fu solo Prost e Senna, grandi protagonisti di un duello destinato ad entrare nella storia: per raccontare tutto servirebbe un’enciclopedia, ma partiamo dalle nostre modeste pillole per analizzare una stagione indimenticabile.

Dia de alegria para Gugelmin

Tra le sue 80 presenza in Formula 1, Mauricio Gugelmin è salito una sola volta sul podio, togliendosi la soddisfazione di riuscirci nel gran premio di casa, sul circuito di Jacarepagua, prova inaugurale del mondiale 1989. Partito in sesta fila, fu autore di una gara accorta e bravo a sfruttare alcune disavventure dei big, arrivando al traguardo terzo a soli nove secondi dalla Ferrari di Mansell, che nell’occasione portò al successo la prima vettura con cambio semi-automatico; fu l’unica soddisfazione di un’annata sfortunata (con tanto di spettacolare incidente al via al Paul Ricard), con la March ben distante dalle prestazioni dell’anno precedente; terminata l’esperienza con il team anglo-nipponico, il brasiliano corse nel 1992 una stagione in Jordan e passò in seguito alla Cart, dove ottenne una vittoria, a Vancouver, nel 1997, ritirandosi definitivamente nel 2001.

Zakspeed, fine dei giochi

Con il ritorno agli aspirati fece il suo ingresso la Yamaha, che produsse il modello OX88, un 8 cilindri realizzato con collaborazione Cosworth per spingere la Zakspeed, che fino a quel momento aveva realizzato i motori in proprio. Al debutto Schneider si qualificò in 25esima posizione a 5,5 sec. da Senna mentre in gara fu costretto al ritiro per una collisione con Eddie Cheever; seguirono poi gare deludenti e il pilota tedesco riuscì a qualificarsi solo a Suzuka dove la sua gara durò un solo giro, mentre il suo compagno di Aguri Suzuki invece non superò mai le prequalifiche. I risultati disastrosi fecero perdere alla Zakspeed l’appoggio della West e portarono all’abbandono dalla Formula 1 (la casa è ancora attiva in altre categorie) mentre Schneider, dopo una breve e infelice esperienza alla Arrows passò alle ruote coperte vincendo 5 titoli DTM, 1 ITC e 1 FIA GT.

Ritorna la Brabham

L’interesse calante di Ecclestone, la perdita dello sponsor Olivetti e l’abbandono della BMW senza un accordo con un fornitore competitivo, portarono la Brabham a saltare una stagione, il 1988, durante la quale la squadra venne venduta prima all’Alfa Romeo e poi allo svizzero Joachim Luhti. Nel 1989 il team si ripresentò ai nastri di partenza con la BT58 spinta dal V8 Judd, con alla guida Martin Brundle e Stefano Modena, che a Montecarlo ottenne uno straordinario terzo posto, miglior risultato stagionale della Brabham, che affrontò poi una nuova parabola discendente fino alla definitiva chiusura avvenuta nel 1992.

Prima e ultima per Raphanel

Campione francese di kart e formula 3, Raphanel corse in Formula 1 tra il 1988 e il 1989 con Larrousse, Coloni e Rial, tentando in 17 occasioni e riuscendo a prendere il via una sola volta, nell’ostico circuito di Montecarlo, dove nel 1989 si qualificò con un ottimo diciottesimo tempo a più quattro secondi dal poleman Senna, ritirandosi in gara per la rottura del cambio.

L’ultimo podio di Mandingo

A Montreal nel 1989 Andrea De Cesaris salì l’ultima volta sul podio: partito in quinta fila con la sua Dallara Scuderia Italia, guidò come sempre con grinta, sfruttando al meglio il maltempo per rimontare, giungendo terzo alle spalle delle due Williams di Boutsen e Patrese. Il pilota romano corse fino al 1994 con Dallara, Jordan, Tyrrell e Sauber, collezionando altri punti e belle prestazioni, senza però riuscire a salire nuovamente sul podio.

Impresa sfiorata per Warwick e Larini

L’inglese Derek Warwick, alla guida della Arrows, durante il gran premio del Canada partì dodicesimo e si trovò in testa alla corsa grazie ad una buona condotta di gara e al valzer delle soste dovuto all’arrivo della pioggia, ma l’illusione svanì al quarantesimo giro per la rottura del motore Ford. Nella stessa gara anche l’Osella accarezzò il sogno di un incredibile piazzamento tra i primi grazie all’ottima prova di Larini: il pilota italiano superò le pre-qualifiche e centrò il quindicesimo tempo in prova a meno di tre secondi dalla pole di Prost. La gara partì in condizioni di bagnato, poi la pista iniziò ad asciugarsi ed alcuni rientrarono per il cambio gomme, beffati pochi giri dopo da un ulteriore scroscio di pioggia che favorì il nuovo leader Patrese, Warwick e il sorprendente Larini, risalito fino alla terza piazza, ma costretto purtroppo al ritiro per problemi all’impianto elettrico.

Ligier, segni di ripresa?

Delusa dalla sperimentale e deludente JS31, la Ligier schierò per il 1989 la più convenzionale JS33, spinta dal classico otto cilindri Cosworth, e la situazione migliorò lievemente: Arnoux arrivò quinto a Montreal, mentre Grouillard, debuttante ingaggiato al posto di Johansson, colse il suo unico punto in carriera nel Gran Premio di casa, corso al Paul Ricard. ​​

Il sogno americano della Rial

La Rial andò a punti due volte in Formula 1, curiosamente sempre nel gran premio degli Usa e con il medesimo risultato: A Phoenix nel 1989 infatti, Danner replicò il quarto posto ottenuto da De Cesaris l’anno precedente a Detroit. Pur ottenendo un piazzamento determinante per evitare le pre-qualifiche nella seconda parte di stagione, dopo un ottavo posto a Montreal il tedesco non riuscì più a qualificarsi, con la Rial spesso agli ultimi due posti in graduatoria; deluso dai risultati abbandonò la Formula 1, rimpiazzato prima da Foitek e poi da Gachot, che al pari di Raphanel e Weidler, altri piloti schierati durante l’anno, non riuscirono mai a prendere il via, uno dei motivi per cui il team alla fine del campionato chiuse i battenti.

Ultimo punto per l’Ags

All’Hermanos Rodriguez l’Ags colse il suo secondo ed ultimo punto in Formula 1 grazie a Tarquini, che nella prima parte di stagione si qualificò con costanza, arrivò sesto in Messico e si piazzò altre due volte vicino alla zona punti. Da metà stagione il pilota italiano fu costretto a disputare le prequalifiche, dove tra ben 13 iscritti solo 4 avevano accesso alle qualifiche ufficiali, e al pari del compagno di team Dalmas non fu più in grado di superare l’ostacolo, anche per la presenza di scuderie più competitive come Larrousse e Onyx.

Girandola di piloti a Le Castellet

Al Paul Ricard andò in scena una girandola di piloti: Pirro rimpiazzò Herbert alla Benetton, la Larrousse sostituì Dalmas con Bernard, mentre la Tyrrell fu costretta ad appiedare Alboreto per motivi di sponsorizzazione, mettendo al volante Alesi, alla prima gara in Formula 1. Martin Donnelly debuttò invece sulla Arrows, prendendo momentaneamente il posto di Warwick, infortunatosi in una gara di Kart: partito in settima fila, l’inglese fu dodicesimo al traguardo, poi l’anno seguente passò alla Lotus (ritrovando Warwick), ma la sua carriera si interruppe a causa di un terribile incidente, dal quale riuscì fortunatamente a ristabilirsi dopo sei settimane di coma.

Minardi in vetta!

Silverstone fu un appuntamento decisivo in quanto al termine della gara sarebbero state riorganizzate le pre-qualifiche fino al termine della stagione secondo i piazzamenti della prima parte: la Minardi, che fino a quel momento non aveva ancora tagliato il traguardo, rischiava seriamente. Luis Perez-Sala partì in ottava fila e grazie ad una prova di grande costanza e intensità arrivò sesto al traguardo alle spalle di Martini, permettendo al team di accedere direttamente alle qualifiche fino alla fine del campionato, nel corso del quale Martini raccolse poi altri tre punti. Fu l’unica gara a griglia completa con due Minardi contemporaneamente in zona punti, mentre nel 2005 vi riuscirono anche Albers e Friesacher a Indianapolis, ma con sole sei vetture al via. Dal Gp del Messico aveva debuttato la nuova Minardi M189 progettata da Aldo Costa con l’aiuto di Nigel Cowperthwaite e dopo qualche iniziale problema di affidabilità la vettura, aiutata dai nuovi pneumatici Pirelli, particolarmente performanti, portò alla scuderia grandi soddisfazioni. Oltre ai punti di Silverstone, nel finale di stagione Martini riuscì spesso a qualificarsi nelle prime file, lottando costantemente in zona punti; all’Estoril il pilota italiano riuscì anche a guidare la corsa per un giro, evento unico nella storia della Minardi, poi chiuse la gara con un soddisfacente quinto posto. La stagione si chiuse con un sesto posto ad Adelaide al termine di una gara “Full wet”, con un piccolo rimpianto per Martini, che sull’asciutto durante il warm up aveva segnato tempi vicinissimi a quelli dei primi.

Piquet a Spa come spettatore

Ennesima pagina amara della deludente avventura di Piquet in Lotus: a Spa il campione brasiliamo fece segnare il 28esimo tempo in prova a 6,9 sec dalla pole di Senna, mancando la qualificazione. Nella sua grandissima carriera capitò solo in un’altra occasione, a Detroit nel 1982.

Bertaggia, il debutto non s’ha da fare

Forte delle prestigione vittorie dell’anno precedente a Monaco e Macau in F3, Bertaggia ebbe l’occasione di sostituire Raphanel alla Coloni, con dieci soli giri di test sulla vettura di Moreno prima del debutto di Spa, dove nelle prequalifiche si fermò dopo due tornate causa un problema elettrico, mentre nei successivi appuntamenti andò meglio e il pilota italiano si avvicinò al gruppo pur non riuscendo mai a staccarsi dall’ultima posizione del turno. Tre anni più tardi l’Andrea Moda rilevò il materiale della Coloni per debuttare e chiamò Bertaggia, oltre a Caffi, per comporre la line-up, ma dopo due gare a vuoto in cui le vetture non scesero nemmeno in pista le tensioni portarono all’allontanamento di entrambi i piloti, sostituiti da McCarthy e da Moreno.

Johansson porta la Onyx sul podio

All’Estoril la Onyx colse l’unico podio della propria breve storia grazie all’esperto Johansson, che aveva giá conquistato un quinto posto al Paul Ricard. Sfortunatamente nei tre gran premi successivi lo svedese non riuscí più a passare le prequalifiche (i due punti in Francia non furono sufficienti per evitare la tagliola nella seconda metà di campionato). La scuderia si ritirò definitivamente nel corso dell’anno successivo dopo un inutile tentativo di rivoluzione ai vertici.

Larrousse tra luci ed ombre

Nel 1989 la Larrousse avviò un rapporto con la Lamborghini per la fornitura di motori ma i risultati furono al di sotto delle aspettative, tanto che dalla seconda parte di stagione il team fu costretto a disputare le Prequalifiche. Philippe Alliot, che due anni prima aveva portato il team al debutto e ai primi punti, in Ungheria non superò l’ostacolo, mentre in Spagna colse il miglior risultato stagionale centrando un incredibile quinto tempo in prova davanti alla Williams di Patrese e completando l’opera in gara, terminando al sesto posto per l’unico punto stagionale. Dopo un anno alla Ligier e due nel mondiale sport prototipi, Alliot tornò alla Larrousse tra il 1993 e 1994, ottenendo un quinto posto come migliore risultato.

Quasi 50 piloti in un anno!

A Suzuka la Minardi sostituì l’infortunato Martini con Paolo Barilla, il quale aveva già svolto alcuni test per la scuderia faentina; fu uno dei tanti piloti schierati durante la stagione 1989 per un totale di ben 47 piloti iscritti almeno ad almeno una gara, anche se sei di questi non riuscirono mai a qualificarsi. Barilla segnò il 19esimo tempo in prova ma fu subito messo fuori gioco dalla frizione, poi venne confermato per l’anno seguente, dove si qualificò in otto occasioni con un undicesimo posto come migliore risultato, prima di essere sostituito da Morbidelli.

Addio infelice per “Ghinza”

La carriera di Ghinzani ebbe uno sfortunato epilogo: al termine di una stagione difficile, in occasione della gara d’addio riuscì per la terza volta a superare lo scoglio delle pre-qualifiche con la sua Osella (insieme al compagno di squadra Larini), qualificandosi poi con il ventunesimo tempo in prova. La gara iniziò in condizioni proibitive e venne interrotta dopo poche curve a causa di diversi incidenti e il neo-campione del mondo Alain Prost decise di non rischiare abbandonando, mentre il gruppo ripartì tra mille difficoltà. Al diciottesimo giro, mentre proseguiva con una gara attenta e regolare, Ghinzani venne tamponato violentemente da Piquet, che nell’occasione rischiò tantissimo essendo stato sfiorato al volto dallo pneumatico posteriore dell’Osella; la corsa si concluse poi con la vittoria di Boutsen e con quattro italiani a punti: Nannini e Patrese a podio, Pirro e Martini rispettivamente quinto e sesto.

Verso il 1990…

I fatti di Suzuka, che qui non abbiano raccontato perché diamo per scontato che li conosciate bene se non benissimo, crearono una situazione estremamente tesa, al punto che Ayrton Senna annunciò la possibilità di ritirarsi dopo una diatriba accesissima con il Patron Balestre, minaccia poi fortunatamente rientrata. L’inverno della Formula 1 viaggiò verso il 1990, con il passaggio di Prost alla Ferrari, i programmi di crescita della Williams e la comparsa di nuovi protagonisti nel firmamento dei Gran Premi, ma vi raccontiamo tutto nella prossima puntata.

Mister Brown

 

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)

FORMULA 1 GRAN PREMIO DI ABU DHABI 2017 YAS MARINA

Ed eccoci giunti, dopo settimane di trepidante attesa, all’ultimo atto di questo favoloso mondiale dell’anno di grazia 2017. Era  da tanto che non si assisteva a una sfida così incerta e dai continui colpi di scena.
Tutti gli appassionati trattengono il fiato nell’attesa che l’appuntamento finale della stagione incoroni il nuovo campione del mondo.  Del resto non sarebbe giusto fosse altrimenti.
Abu Dhabi è località dalle profonde radici automobilistiche e la cultura del motore permea ogni angolo di una laboriosa città che trasuda benzina e kerosene da ogni pozzo di petrolio. Questo gran premio è tradizionale e immancabile attrazione per tutti i fanatici delle quattro ruote addirittura dalla fine del primo decennio degli anni duemila. Non tutti i circuiti possono vantare tradizioni così solide.
Gli organizzatori ad ogni buon conto fanno di tutto per rendere appassionante la competizione, inventando di volta in volta trucchi degni delle Wacky Races™.
Come dimenticare, infatti:

  • le chicane mobili di colore giallo introdotte nel 2010;
  • la gara del 2014, che ha aggiudicato il titolo con una battaglia sul filo dei millesimi di secondo: quelli necessari a Rosberg per realizzare che gli avevano montato un prototipo di una Power Unit nipponica;
  • l’evento del 2016, che è passato alla storia per una serie di curiosi primati rimasti tuttora imbattuti a distanza di così tanto tempo:
    1. prima gara di formula 1 corsa interamente in retromarcia;
    2. prima gara in cui ha trionfato un guidatore con il cappello al posto del casco di ordinanza;
    3. prima gara in cui al terzo classificato sarebbe dispiaciuto arrivare secondo;
    4. prima gara vinta da Dick Dastardly™ sulla Mean machine™ davanti a Peter Perfect™ a bordo della sua Varoom Roadster™;

Che dire di più. Con precedenti simili non si può che essere ottimisti. Domenica, sul lungo rettilineo di un tracciato che inspiegabilmente ha un design ispirato alla pistola per il rifornimento del carburante, si farà la storia!

Buon gran premio a tutti, e viv la Ferari!

*L’autore si è appena destato dalla pennica post partenza del Gran Premio di Singapore. Il gentile lettore indulgerà su eventuali, lievi, trascurabilisime discordanze di quanto narrato con la realtà. Avrà inoltre la cortesia di non rimarcare fake news irrilevanti, come quelle che vogliono:

  • Lewis Hamilton quadricampione del mondo già da un paio di gran premi;
  • La Mercedes terminare le gare con più benzina di quando è partita;
  • La Ferrari pronta a ritirarsi dal mondiale di formula uno per iscriversi a quello di ginanstica artistica.