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F1 in pillole – Capitolo 13

Il Signor Gino era arzillo e con il passare degli anni non perse il vizio di uscire al sabato sera per ballare, pertanto era solito tornare tardi e dormire la domenica, ma l’8 ottobre del 2000 fu svegliato di soprassalto poco dopo le 7.00. Aveva la sfortuna di vivere a fianco del sottoscritto, solitamente attento alla norme del buon vicinato, ma un digiuno di 21 anni che si spezza dopo anni di delusioni e trionfi solo sfiorati meritava urla con un’estensione vocale degna di Bruce Dickinson.

Quella mattina aprì un ciclo straordinario in cui la Ferrari e Michael Schumacher sbaragliarono la concorrenza con una precisione chirurgica sotto ogni aspetto, combattendo anche contro un regolamento che veniva corretto in corsa per arginare un dominio incontrastato e destinato a scatenare l’eterna discussione sulla noia.

Credo che ogni vero appassionato di Formula 1 e Motorsport in generale possa ritenere una “libidine coi fiocchi” (cit. di Jerry Calà, ma anche del Sig. Gino) la perfezione messa in pista del Cavallino Rampante nel primo lustro del nuovo millennio, ma la prevedibilità di un campionato che sembrava già scritto in partenza non poteva che irritare i tifosi occasionali e la schiera di addetti ai lavori che farebbero meglio a parlare di calcio, tutti spuntati come funghi nell’era del dominio Ferrari.

La Formula 1 ha sicuramente cambiato pelle nel 1994, ma è indubbio che la piega che l’ha portata a prediligere le variabili artificiali al merito sportivo trovi le proprie radici in quegli anni, che vi raccontiamo con l’abituale attenzione per le cosiddette scuderie di secondo piano.

Arriva la Jaguar

Nel 1999 la Stewart Gp venne rilevata dal gruppo Ford che la rinominò Jaguar Racing con l’intento di promuovere la casa inglese. Eddie Irvine, dopo aver sfiorato il titolo nel 1999, entrò in contrasto con i vertici Ferrari per il proprio ruolo all’interno della scuderia e accettò l’offerta della Jaguar, che lo affiancò a Herbert, già in forze alla Stewart l’anno precedente; l’irlandese colse gli unici quattro punti stagionali del team, con cui chiuse la carriera alla fine del 2002, salendo due volte sul podio.

Red Bull mette le ali, la Sauber le perde

Attivo in Formula 1 dal 1995, Diniz ha ottenuto in tutto 10 punti, ma non è mai riuscito ad entrare tra i primi sei nel gran premio di casa e in occasione della sua ultima apparizione ad Interlagos non riuscì nemmeno a disputare la gara; nel corso del fine settimane infatti, entrambe le Sauber subirono il cedimento dell’alettone posteriore e vennero ritirate dall’evento per motivi di sicurezza. Curiosamente all’inizio dell’anno Autosprint aveva amplificato l’idea di alcuni tecnici di eliminare gli alettoni e riportare in F1 le minigonne, in modo da favorire i sorpassi. Diniz chiuse il campionato a zero punti e abbandonò, diventando per un breve periodo socio del team di Alain Prost, spostandosi poi in Brasile nel ruolo di manager.

Burti stuntman

Dopo aver iniziato la propria avvenuta in F1 al volante della Jaguar, Luciano Burti venne chiamato da Alain Prost per sostituire Mazzacane nel corso del 2001, cogliendo due ottavi posti come migliore risultato. Nel corso della stagione il brasiliano fu protagonista di due incidenti spettacolari: il primo ad Hockenheim dove la sua vettura decollò dopo aver tamponato la vettura di Schumacher che procedeva lentamente causa un guasto, il secondo a Spa, quando in seguito ad un contatto con Irvine uscì di pista a Blanchimont ad oltre 270 Km/h. Uscito fortunatamente senza gravi conseguenze, non ebbe altre occasioni in F1 e dopo un’esperienza da collaudatore Ferrari passò alle Stock Car brasiliane, prima di diventare commentatore di gare Formula 1 per la nota Rede Globo.

La Prost ai titoli di coda

La scuderia Prost, nata nel 1997 dalle ceneri della Ligier, colse nel primo anno risultati di rilievo, con materiale, tecnici e piloti della precedente gestione, salvo poi subire un calo nelle stagioni successive. Nel 2000 Jean Alesi terminò la stagione a zero punti, unico caso nella sua lunga carriera, mentre l’anno seguente ritornò in classifica con alcune sporadiche apparizioni tra i primi sei: ad Hockenheim il francese partì in settima fila e fu sesto al traguardo, a ridosso delle Benetton. Fu l’ultimo punto per la Prost e l’ultima gara nel team per Alesi, che dal Gp di Ungheria passò alla Jordan, con cui centrò un altro sesto posto, poi a fine stagione si ritirò dalla F1. Riguardo la scuderia francese, sulla seconda vettura Mazzacane venne sostituito da Burti, il quale si infortunò lasciando il posto a Enge, unico pilota F1 della Repubblica Ceca. La situazione finanziaria del team era comunque ormai compromessa: la mancanza di risultati, l’abbandono della Galouises e la rottura del rapporto con Diniz, che precedentemente era entrato in società, lasciarono il team privo di sostegni economici concreti e costringendolo a chiudere i battenti.

Brilla la stella di Alonso

A Suzuka si concluse il mondiale (già conquistato da Schumacher) con l’addio di due protagonisti degli anni passati, ovvero Hakkinen e Alesi, mentre in fondo al gruppo si mise in luce un giovane destinato a grandi traguardi: Fernando Alonso, il quale alla guida della Minardi, in prova si mise alle spalle le due Arrows, la Prost di Enge e il compagno di squadra Yoong, distante quasi due secondi dal suo tempo. In gara lo spagnolo confermò l’ottima prestazione terminando in undicesima posizione davanti ad avversari di vetture più prestazionali; nel corso del week end giapponese arrivò anche l’annuncio dell’ingaggio da parte della Renault, che impiegò Alonso per un anno come collaudatore e poi come prima guida, arrivando alla conquista di due titoli mondiali, nel 2005 e 2006.

Webber, buona la prima!

Dopo una proficua esperienza in Fia Gt Mark Webber tornò in monoposto con il team European Arrows di Stoddart, il quale rilevò la Minardi in F1 ingaggiando il pilota australiano, che nel frattempo aveva svolto il ruolo di tester Benetton. Il debutto fu entusiasmante: partito in nona fila, Mark Webber riuscì a cogliere un insperato quinto posto, unico piazzamento a punti del team nel corso della stagione, dopo aver resistito nel finale agli attacchi della Toyota di Mika Salo.

Chi va piano arriva sano ma non va lontano

Con la riduzione delle vetture al via sotto le 26 unità che un tempo determinavano il limite dei qualificati, dal 1996 al 2002 venne introdotta una nuova regola per prevenire la partenza di vetture molto lente, con esclusione di chi segnava in qualifica un tempo superiore al 107% del tempo ottenuto dalla macchina in pole position. Nel corso degli anni furono rari i piloti incappati in tale ostacolo, tra questi Alex Yoong, malese in forza alla Minardi che nel 2002 mancò la qualificazione in ben tre occasioni, come ad esempio a Imola, quando girò ad oltre sei secondi dalla pole e a due secondi e mezzo dal compagno di squadra Webber.

Addio all’Arrows

L’Arrows, nata alla fine del 1977 da una costola della Shadow, vanta una lunga esperienza in F1 e detiene il record di presenze (382) senza vittorie, con una pole position (colta di Patrese nel 1981) e cinque podi, oltre a un quarto posto nel mondiale (1988) come migliore risultato. Nel 1996 il team fu acquistato dalla Twr di Tom Walkinshaw che poi rilevò anche la Hart assumendone il fondatore Brian ma, a parte un lampo di Damon Hill all’Hungaroring nel 1997, il team accusò sempre maggiori problemi di liquidità stazionando costantemente a fondo griglia. Nel 2002 venne appiedato Verstappen per far posto all’esperto Frentzen, mentre Bernoldi continuò la sua avventura grazie all’appoggio della Red Bull, ma i risultati non arrivarono: al primo Gp entrambe le vetture accusarono problemi e subirono una squalifica, in Spagna Frentzen partì in quinta fila e fu sesto al traguardo, nell’ultima gara conclusa dall’Arrows a pieni giri. Seguì un altro punto a Monaco (prima bandiera a scacchi per Bernoldi), poi in Francia i piloti fecero un solo giro in qualifica per evitare una penale, mancando la qualificazione e il team sparì definitivamente dopo il Gp di Germania.

Il regalo di Fisico per i 200 Gp della Jordan

Alla fine del 2002 la Jordan perse lo sponsor principale con un ulteriore riduzione del budget e la stagione iniziò con due gare difficili, ma ad Interlagos Fisichella centrò la quarta fila (miglior risultato stagionale in prova) e in una gara resa caotica dalla pioggia riuscì a risalire fino ai vertici. Dopo gli incidenti di Webber e Alonso la corsa fu interrotta con attribuzione dei piazzamenti sul giro precedente: per un errore di cronometraggio la vittoria fu assegnata a Raikkonen, poi in una successiva riunione la federazione restituì il successo a Fisichella, che vinse per la prima volta in carriera, mentre per la Jordan fu l’ultima affermazione, proprio nella gara in cui il team festeggiò il 200esimo Gran Premio. Il compagno di squadra di Fisichella, il debuttante Firman, ingaggiato grazie a notevoli risultati in altre categorie, fu messo invece fuori causa dalla rottura di una sospensione; quella del 2003 fu l’unica stagione nel circus per l’irlandese, che colse un punto in Spagna, suo miglior piazzamento in Formula 1.

La Minardi davanti a tutti

“F1 2.0” is coming: nel 2003, oltre all’eliminazione del warm up, venne introdotto il parco chiuso, che vieta ogni tipo di intervento sulla vettura tra la fine delle qualifiche e la gara. Venne inoltre inserito un nuovo assurdo tipo di qualifica basato sul giro secco, scelta che a Magny Cours portò una particolare soddisfazione alla Minardi: le prove si svolsero infatti con pista che andava asciugandosi, con vantaggio degli ultimi piloti a scendere in pista, e Jos Verstappen fece segnare il tempo più rapido, portando la Minardi in testa ad una sessione cronometrata per la prima volta dal 1989, quando Pierluigi Martini aveva marcato la migliore prestazione nel warm up a Spa; le prove del sabato ristabilirono le gerarchie e Verstappen chiuse 19esimo davanti al compagno di squadra Wilson.

Ultimo punto Minardi a griglia completa

Di male in peggio: il regolamento delle qualifiche cambiò ancora basandosi su due sessioni, per cui nella prima tutti i piloti scendevano in pista nell’ordine inverso rispetto ai risultati della gara precedente, mentre per la seconda sessione, dove effettivamente i tempi erano ritenuti validi per la griglia di partenza, l’ordine d’ingresso si basava sui risultati del primo turno; a proposito, in Malesia la Minardi ottenne la miglior prestazione stagionale, con Baumgartner in nona e Bruni in ottava fila. L’italiano, che a Sepang concluse al 14esimo posto ottenendo il miglior risultato in F1 (ripetuto in altre due occasioni) risultò spesso più veloce del compagno di squadra, il quale riuscì però a cogliere un punto nell’imprevedibile gran premio degli Stati Uniti, dove Bruni fu coinvolto in una carambola al via.

Trulli Principe a Monaco

Passato alla Renault nel 2002, Jarno Trulli visse due stagioni in crescendo, poi nel 2004 le sue prestazioni migliorarono ulteriormente, portandolo a lottare ad armi pari con il compagno di squadra, l’astro nascente Fernando Alonso. A Monaco l’abruzzese visse un fine settimana di gloria, con pole position e vittoria, unica per la Renault nel corso del campionato e unica gara non vinta da Schumacher tra le prime 13. A metà stagione nacquero tensioni “contrattuali” tra Briatore e il pilota, che venne licenziato con un pretesto e dopo una gara di stop si accasò alla Toyota, dove corse nelle cinque stagioni successive.

Le ultime pagine della storia Jordan

Con il team in vendita e la nuova vettura, la EJ14, che di fatto era un’evoluzione del deludente modello precedente, in aggiunta alla mancanza di fondi che rese impossibile eseguire adeguati test, era lecito pensare che la Jordan avrebbe lottato a fondo griglia per tutto il campionato. In quella che fu l’ultima vera stagione per il team di Eddie Jordan (che nel 2005 mantenne il nome ma passò nelle mani del gruppo Midland) ebbe modo di debuttare Giorgio Pantano, il quale fu penalizzato da una vettura non competitiva e non riuscì a lasciare il segno che meritava, cimentandosi poi con successo in Gp2 (campione 2008), Superleague, Irl e Gt Open (campione classe GT2). A causa di un contenzioso in corso con il proprio manager, il pilota italiano perse l’appoggio di alcuni sponsor e fu provvisoriamente appiedato dal team, sostituito con il collaudatore Timo Glock. Qualificatosi in quarta fila, a Montreal il pilota tedesco riuscì a concludere la gara undicesimo davanti al compagno di squadra Heidfeld; a fine gara le Williams e le Toyota furono squalificate per le dimensioni irregolari delle prese d’aria dei freni anteriori, permettendo alle Jordan di entrare in zona punti. Dopo un’esperienza in Champ car, Glock tornò in Europa vincendo la Gp2, poi tornò dal 2008 in Formula 1, dove corse con Toyota e Virgin, ottenendo tre podi e un giro più veloce.

Ancora polemiche sulle qualifiche

Come accaduto l’anno precedente, quando fu quinto a Monza, il collaudatore della Williams Genè venne scelto per sostituire Ralf Schumacher, infortunatosi seriamente ad Indianapolis, ma in questo caso i risultati furono meno entusiasmanti: decimo in Francia, lo spagnolo fu dodicesimo a Silverstone in quella che fu la sua ultima apparizione in gara. Il week end inglese tra l’altro fu caratterizzato dalle polemiche in quanto durante la prima sessione di prove, utile per determinare l’ordine di uscita nelle qualifiche, molti piloti girarono volontariamente molto lenti, addirittura frenando in rettilineo, in modo da partire primi, temendo l’imminente arrivo della pioggia. Gené è diventato poi collaudatore Ferrari e affermato commentatore del settore, inoltre ha continuato a correre e non si è fatto mancare affermazioni importanti quali la 24 ore di Le Mans e la 12 ore di Sebring.

Tra limiti e penalità, la F1 perde credibilità

Dal mondiale 2004 venne disposto che ciascun pilota avrebbe dovuto disputare tutto il week-end di gara con un solo motore, con penalità di dieci posizioni sulla griglia di partenza in caso di sostituzione dello stesso (convertita in una partenza dal fondo dello schieramento se il cambio fosse avvenuto dopo le qualifiche). La Bar montava un propulsore Honda RA004E, particolarmente performante e affidabile, tanto da permettere al team di affrontare la stagione migliore della propria storia; oltre a Sato e Button, venne confermato il “terzo” Anthony Davidson, che nei turni del venerdi si mise più volte in luce segnando tempi vicinissimi a quelli dei titolari.

 

Tornando  a noi, come avete potuto leggere, le limitazioni e penalizzazioni che hanno compromesso il regolamento recente della F1 partono purtroppo da lontano; ci stiamo dunque avvicinando alla prossima puntata che rappresenta l’ultima di questa avventura tra i meandri della categoria, ma prima è necessario tornare un attimo a quella mattina del 2000.

L’entusiasmo si sentiva nell’aria, tutti al bar del paese parlavano della Ferrari e il futuro appariva radioso, ma il Signor Gino di F1 ne sapeva poco e incrociandomi per strada, con sguardo truce, ebbe modo di apostrofarmi: “S’et cumbinà stamatèina? Pariva ca i’eran drè maszat!” Tradotto in Italiano: “Cos’hai combinato questa mattina, sembrava ti stessero ammazzando”

 

A presto per l’ultima puntata.

Mister Brown

 

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (1)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (2)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (3)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (1)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (2)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991
Pillole di F1 cap. 10 – F1 nel caos (1)
Pillole di F1 cap. 11 – F1 nel caos (2)
Pillole di F1 cap. 12 – Verso il nuovo millennio

2018 F1 Canadian GP: An Introduction.

Archiviato anche quest’anno l’emozionante toboga monegasco, giunge l’ora della prima, estemporanea trasferta su suolo nord-americano, prima di tornare in Europa per ben 7 GP consecutivi, inclusa la pausa estiva.

DA DOVE VENIAMO

La lotta per il campionato piloti si è già abbondantemente avviata, come previsto, verso un duello tra il diversamente orecchinato e il collezionista di motoseghe. La tenzone vera e propria, fino ad ora almeno, non si è pero avuta in pista, bensi al di fuori, con intrighi regolamentari degni di un romanzo di Le Carré. Di recente, tra Brackley e Maranello, gli sport più praticati sono infatti il lancio della delazione e lo slalom tra le direttive tecniche FIA, con gli alemanno-britannici recentemente in grande spolvero; se questi mesi iniziali sono un’indicazione valida, si prevede una stagione combattuta ancor di più sulla lettera del regolamento, piuttosto che in pista.
A proposito di strani rigiri nei box, questo sara’ il primo GP in Sauber per Simone (non) Resta, la cui promozione / spostamento / siluramento (a seconda della vostra chiave di lettura) ha sollevato non pochi punti interrogativi.

DOVE ANDIAMO

Il circuito canadese presenta caratteristiche tecniche differenti da tutti quelli si è corso fino ad ora, solitamente di non facilissima intepretazione per quanto concerne gli assetti.
Prevedere la monoposto favorita è, quest’anno, un esercizio di difficoltà comparabile solamente a quella incontrata da Verstappen nel percorrere 10 giri senza incocciare in qualcosa.
Se i primi tre appuntamenti avevano lasciato presagire una superiorità della SF71H, la W09 sembra aver giovato degli aggiornamenti, ed ha colto l’unica doppietta dell’anno (se eccettuiamo quella che Magnussen tiene nell’abitacolo, nel caso le sue manovre non funzionassero a dovere). Probabile dunque che le due vetture avranno prestazioni molto simili sia in qualifica che in gara, e che le uniche variabili valide saranno la posizione in griglia e la possibilità di un undercut, dato che i sorpassi paiono espressamente vietati. Rimane da vedere se e come l’incognita “gabbiani alla prima curva” avrà un effetto sulla gara.

Al di fuori delle due prime donne, troviamo due stoccafissi che potrebbero tornare utili, previo ammollo di almeno tre giorni nel San Lorenzo. Terza forza a Montreal sarà probabilmente la Red Bull, con il solito Ricciardo pronto ad approfittare di eventuali problemi ai battistrada, e Verstappen pronto ad approfittare di eventuali sconti allo sfasciacarrozze di Sherbrooke, che una bargeboard o una endplate vengono sempre utili. Rimane da menzionare il buon Alonso, che comincia a realizzare che forse è proprio la McLaren a fare un po’ pena, anche se quanto meno quest’anno non partirà da Austin a causa delle penalità. GP di casa per Lance Stroll, che comunque avrà una casa in circa 96 nazioni del mondo, quindi non importa molto, anche perché la Williams di quest’anno non riuscirebbe probabilmente ad arrivare in cima al Mont Real in meno di tre ore.

Alla voce pneumatici, non dovrebbero esserci problemi, dato che si tratta del circuito preferito da Pirelli, essendo costruito su un’Isola. E anche questa volta la ******* l’abbiamo detta.

CHI SIAMO

Siamo delle persone così furbe che, nonostante l’aberrante noia che pervade la F1 di questi tempi, dedicheremo ore e ore del nostro weekend a non vedere un finlandese vincere.

F1 in pillole – Capitolo 12

“The show must go on”, oppure “Motorsport is dangerous”. Modi di dire comuni che ben si legano al cinico mondo dei Gran Premi che, ha ripreso serenamente il proprio cammino una volta assorbito il senso di disorientamento per la scomparsa di Ayrton Senna e superata una fase di difficoltà dovuta a problemi economici diffusi tra vari team e ad un netto impoverimento del fattore talento, visto e considerato che la prima metà degli anni novanta ha portato anche alla pensione gli attori protagonisti del decennio precedente, con sostituzioni non sempre all’altezza. In ogni caso la seconda metà del decennio ha progressivamente portato alla crescita di nuovi protagonisti e non ci ha risparmiato aneddoti più o meno simpatici che vi raccontiamo di seguito.

Wacky Race!

La Formula 1 arrivò a Monaco trovando un foltissimo pubblico, soprattutto tedeschi e italiani, attirati dalle crescenti prestazioni della Ferrari e di Michael Schumacher. Le qualifiche si svolsero al sabato in condizioni di cielo coperto: temendo la pioggia molti piloti uscirono presto per far segnare un tempo cronometrato, tra questi Michael Schumacher, primo a scendere sotto l’1’21″000. Successivamente Damon Hill fece segnare il miglior crono in 1’20″866, avvicinato da Alesi a soli cinque centesimi, ma a nove minuti dalla fine della sessione Schumacher riuscì a riprendersi la pole position con un giro straordinario girando in 1’20″356 e demolendo il precedente record della pista. Giunti alla domenica la gara si preannunciava bagnata, David Coulthard aveva dimenticato il proprio casco preparato per quelle condizioni, mentre Schumacher ne aveva uno in più, della stessa casa costruttrice (Bell), stessa taglia e stesso sponsor, lo scozzese potè quindi approfittare della cortesia del rivale e si schierò in griglia con il suo casco. Il tedesco, partito dalla pole, non terminò nemmeno il primo giro, mentre Coulthard, al termine di una gara densa di colpi di scena con sole quattro vetture al traguardo,  chiuse al secondo posto, suo miglior risultato stagionale, mentre la vittoria andò a Panis, che guidò la Ligier all’ultimo successo. Negli anni settanta la scuderia francese era entrata nel mercato dell’auto spostando presto le proprie attenzioni sulla Formula 1, all’epoca protagonista di un crescente interesse. L’esordio avvenne nel 1976 e già l’anno seguente con Jacques Laffite arrivò la prima vittoria, poi negli anni successivi ne seguirono altre sette (oltre a Laffite, anche Depailler e Pironi furono protagonisti negli anni d’oro) con tanto di inserimento nella lotta per il titolo dal 1979 al 1981. Dal 1982 iniziò il declino, con la partenza di Laffite e del tecnico Doucarouge, oltreché del partner Talbot, seguirono quindi anni di delusioni con cenni di miglioramenti ad inizio degli anni novanta, grazie anche all’utilizzo dei motori Renault, poi alla fine del 1996 la Ligier venne ritirata da Prost, che la ribattezzò con il proprio nome.

Non abbastanza “Forti”

Dopo una lunga esperienza nelle formule minori, grazie agli sponsor e ai contatti del pilota Pedro Diniz, la Forti riuscì a debuttare in F1, con al volante il brasiliano e il connazionale Moreno. I deludenti risultati della prima stagione causarono la perdita degli appoggi economici, motivo per cui la situazione peggiorò ulteriormente, tanto che i due nuovi piloti Montermini e Badoer senza una vettura adeguata mancarono spesso la qualificazione. Durante il 1996 venne avviata una trattativa con il gruppo Shannon mai realmente concretizzata, tanto che dopo l’ultima apparizione in qualifica a Silverstone il team chiuse definitivamente i battenti.

La storia di Johnny Carwash

Come Giacomelli, anche Lavaggi subì una particolare traduzione del proprio nome: i media anglofoni infatti tradussero impropriamente il suo nome in “Johnny Carwash”. Attivo in F1 tra il 1995 e il 1996, tentò 10 partecipazioni qualificandosi sette volte con un decimo posto come miglior risultato (in realtà non concluse la gara ma venne classificato avendo coperto una distanza sufficiente). Più fortunata la sua carriera a ruote coperte: ingiustamente considerato da alcuni come un “gentleman” tutto portafogli, ha costruito la propria storia passo dopo passo, conquistando importanti successi quali la 24 ore di Daytona e la 1000 Km di Monza.

Lola.. per tutto il resto c’è Mastercard

La Lola, costruttore di lunga tradizione, ha tentato in più occasioni di fornire telai a team di Formula 1, con risultati altalenanti. Dopo la disastrosa esperienza del 1993 con la Scuderia Italia e alcuni anni di stop, venne avviato un nuovo progetto per la creazione di un team proprio a partire dal 1998, tuttavia vi furono pressioni del main sponsor Mastercard affinchè le vetture Lola venissero schierate già a partire dal 1997. Il team si presentò a Melbourne con le due T97/30 affidate a Rosset e Sospiri senza che venisse effettuato alcun test prima del campionato e con i motori Ford utilizzati dalla Sauber due anni prima, i risultati furono ovviamente pessimi: Sospiri girò a undici secondi dalla pole, Rosset addirittura a piú di 12, tempi ben oltre il 107% utile per qualificarsi. Le performance poco incoraggianti spinsero la MasterCard a ritirare il proprio appoggio finanziario al team e nonostante le vetture fossero state spedite in Brasile per la seconda gara la scuderia chiuse i battenti prima di questo Gran Premio, ritirandosi dal campionato, tra l’altro i debiti accumulati nei mesi dalla fondazione del team travolsero anche la compagnia principale, che fu acquistata da Martin Birrane.

Arriva la scuderia di Sir Stewart

La Stewart fu fondata nel 1988 da Paul Stewart e sponsorizzata dalla Camel, poi nel 1996 Sir Jackie si assicurò un contratto quinquennale di sviluppo con la Ford, che permise la nascita della Stewart Grand Prix, che debuttò l’anno seguente in F1. La prima stagione non portò grandi soddisfazioni, soprattutto a causa della carente affidabilità, ad eccezione del Gp di Monaco, dove Barrichello fu protagonista di una gara straordinaria, conclusa al secondo posto, unici punti stagionali per il team.

Trulli a un passo dal miracolo

Forte di ottime prestazioni nelle prime gare del 1997 con la Minardi, Jarno Trulli attirò l’attenzione di Alain Prost, che lo scelse per sostituire l’infortunato Panis e già al debutto l’abruzzese centrò la terza fila, mentre poche settimane più tardi ad Hockenheim fu quarto al traguardo. Prima del rientro del “titolare”, Trulli sfiorò il sogno della vittoria: il gran premio d’Austria rientrò in calendario dopo 10 anni (con un layout purtroppo pesantemente deturpato rispetto al tracciato originale) e tra le colline di Zeltweg il pilota italiano partì dalla terza piazza guadagnando la testa della corsa, che guidò con autorevolezza fino al ritiro, avvenuto per la rottura del motore. Guadagnata la conferma alla corte di Alain Prost, non ebbe grandi occasioni in quanto penalizzato da una vettura poco competitiva, riuscì comunque a terminare al secondo posto il rocambolesco Gran Premio d’Europa 1999, prima di passare alla Jordan.

Rivoluzione in casa Minardi

Dal 1997 Giancarlo Minardi cedette oltre l’85% delle sue quote a Flavio Briatore e Gabriele Rumi, pur restando presidente; i nuovi finanziatori garantirono alla Minardi un budget superiore e la nuova M197 poté disporre dei motori Hart. Venne assunto Ukyo Katayama, sponsorizzato dalla Mild Seven, e Briatore piazzò nel team Jarno Trulli, passato poi alla Prost e sostituito da Tarso Marques, che aveva già corso due gare l’anno precedente e, sempre con la Minardi, tornò per un’ultima esperienza in Formula 1 nel 2001, sostituito da Yoong prima della fine della stagione. I nuovi appoggi non portarono purtroppo i risultati sperati, tanto che la scuderia faentina colse un solo punto in quattro stagioni prima di un nuovo cambio societario.

Sauber powered by Ferrari

La Sauber debuttò nel 1993 e nei primi anni della propria storia ottenne prestazioni incoraggianti che dal 1997 valsero un accordo con la Ferrari e con la Petronas i cui termini prevedevano che la casa di Maranello fornisse i motori dell’anno precedente ribattezzati dallo sponsor. La Sauber-Petronas confermò Herbert e ingaggiò Nicola Larini, sostituito dopo 5 gare da Gianni Morbidelli, il quale si infortunò due volte, lasciando il sedile al tester Norberto Fontana, che scese in pista in tre gare, ripresentandosi poi nell’ultimo Gp stagionale, sua ultima presenza in F1, concluso al 14esimo posto.

Addio alla Tyrrell, arriva la Bar

La Tyrrell si è sempre contraddistinta per la scoperta di giovani talenti e la costante ricerca tecnica, caratteristica che non mancò nemmeno nei capitoli finali della sua storia. Nel 1997 sul modello 025 il team del “boscaiolo” portò al debutto i cosiddetti candelabri, vistosi supporti aereodinamici rialzati posti sul cofano motore, poi copiati da altre scuderie e messi al bando dalla Fia l’anno seguente. Il talentuoso Salo, al terzo anno in Tyrrell, ancora una volta fu l’unico a portare risultati: a Monaco riuscì a non effettuare soste e fu ripagato nella gestione del mezzo da un ottimo quinto posto, ultimo piazzamento a punti per il team, che ha fine anno passò nelle mani della British American Tobacco e dal 1999 lascio definitivamente posto alla Bar. I problemi economici della Tyrrell portarono il team a vendere il titolo sportivo alla British American Tobacco, che dalla stagione successiva avrebbe schierato una nuova squadra denominata BAR. Per il campionato 1998 la Tyrrell continuò a correre con il proprio nome anche se di fatto era già controllata dai nuovi acquirenti, affrontando un anno di transizione in vista del debutto della nuova scuderia. La 026, ultima monoposto dello storico team del boscaiolo, progettata da Harvey Postlethwaite, fu affidata a Rosset e al debuttante Takagi, che a Melbourne centrò la settima fila ma fu costretto al ritiro; a differenza del compagno di squadra il giapponese riuscì sempre a qualificarsi risultando più veloce, anche se non fu mai in grado di cogliere punti.

La BAR è stata creata dalla multinazionale del tabacco BAT in base ad un progetto di Jacques Villeneuve con il supporto del suo manager Craig Pollock. Siccome uno degli obiettivi della British American Tobacco era quello di pubblicizzare i propri marchi 555 e Lucky Strike, la vettura (equipaggiata da un motore Supertec, in sintesi un Renault “ri-marchiato”) aveva una particolare livrea divisa in due parti ben distinte. All’esperto pilota canadese venne affiancato il debuttante Zonta, che nella gara inaugurale fu costretto al ritiro, mentre nel successivo Gp del Brasile fu vittima di un grave incidente causato da un cedimento meccanico e costretto a saltare alcune gare; nessuno dei piloti riuscì a conquistare punti nel primo campionato.

Spettacolo pirotecnico in casa Arrows

Nel 1996 Tom Walkinshaw acquistò una quota rilevante della Arrows e dopo un anno con i motori Yamaha (costruiti dalla Judd) fu rilevata la Brian Hart Ltd, che realizzò nel 1998 i propulsori targati Arrows. Curiosamente in Spagna nel corso del 22esimo giro i motori delle due Arrows esplosero contemporaneamente: i piloti della scuderia inglese, che proseguivano in fila, parcheggiano le loro vetture alla fine della corsia dei box fra fumo e scintille. Il team ebbe modo di consolarsi nel successivo appuntamento di Montecarlo, con Salo quarto e Diniz sesto, ultima gara con due Arrows contemporaneamente a punti.

Minardi e Tyrrell sul ring

Al termine della stagione la Minardi riuscì a centrare il decimo posto tra i costruttori, ultimo piazzamento utile per accedere alla spartizione dei proventi derivanti dai diritti televisivi, obiettivo di vitale importanza per le piccole scuderie. La scuderia italiana non colse punti ma potè contare su due ottavi posti di Nakano e da uno di Tuero, che a Suzuka chiuse la piccola sfida con la Tyrrell in modo singolare, tamponando involontariamente Takagi e ponendo fine alla gara di entrambi. L’argentino nell’incidente riportò una frattura cervicale, motivo per cui probabilmente rifiutò il rinnovo contrattuale della Minardi, preferendo spostarsi alle competizioni turismo in patria.

Buona prova per la meteora Sarrazin

Nonostante l’arrivo di Fiorio e Brunner il 1998 della Minardi fu difficile e per il terzo anno consecutivo il team non andò a punti nel mondiale. L’anno seguente iniziò invece con ottime premesse, grazie all’ingresso dello sponsor Telefonica e un’aerodinamica rinnovata, anche se la M01 sarà poi penalizzata dalla scarsa potenza dei propulsori Cosworth. In una sessione di test Badoer si infortunò e la Minardi ad Interlagos lo sostituì con il collaudatore della Prost, Sarrazin, che sorprese tutti girando in prova più veloce di Genè e ottenendo il 17esimo tempo, che fu poi la seconda miglior prestazione in campionato del team. Costretto al ritiro per un incidente, il francese restò in F1 come tester, passando poi a corse di durata, rally e infine Formula E.

Corsa folle al Nurburgring

Nei tre anni di storia del team Stewart arrivò un’unica vittoria, ottenuta da Johnny Herbert al Nurburgring nel 1999, quando il britannico partì 14esimo e fu molto abile a gestire il meteo pazzo di quella giornata, chiudendo la gara al primo posto, salendo sul podio con il compagno di squadra Barrichello, terzo. In quel rocambolesco gran premio d’Europa la Minardi si trovò in quarta posizione nelle battute finali, ma i sogni di Badoer si infransero a otto giri dal termine a causa della rottura del cambio.  Il pilota italiano dalla stagione seguente passò al ruolo di tester per la Ferrari tornando in gara dopo 10 anni sostituendo a Valencia e Spa l’infortunato Massa, arrivando rispettivamente 17esimo e 14esimo, prima di lasciare il posto a Fisichella, che non ebbe migliore fortuna. A fine 2010, dopo 12 anni e 132.000 Km percorsi a bordo delle vetture del cavallino, il rapporto di collaborazione tra la Ferrari e Badoer si è interrotto, con addio ufficiale l’8 dicembre al Motor Show.

Il sogno iridato della Jordan

Nel corso della propria storia la Jordan ha spesso portato in pista vetture competitive e ottimi piloti, ma in un solo caso è riuscita ad inserirsi nella lotta al titolo: correva l’anno 1999 con Heinz-Harald Frentzen al volante. Dopo il primo successo in Francia, il tedesco infilò una serie di risultati utili, vincendo nuovamente a Monza (ultimo successo in carriera) e trovandosi a soli 10 punti dalla coppia di testa Hakkinen – Irvine. Nel successivo Gran Premio d’Europa colse la pole position, ma un ritiro per noie elettriche mandò in fumo i suoi sogni di gloria, mentre i due piazzamenti a punti nelle ultime due gare confermarono l’ottimo terzo posto in classifica generale.

Stiamo vivendo la fase finale della trasformazione dal “classico” al “moderno” con l’ultimo duello epico della categoria (Schumacher vs. Hakkinen) e i saluti di alcuni team che hanno segnato la storia dei precedenti lustri (Tyrrell, Arrows, Ligier e Minardi). L’imminente strapotere della coppia Schumacher/Ferrari porterà inoltre ad un’impennata delle variabili da pseudo show che la Federazione inserirà per accontentare i polemici vari sempre pronti a gridare alla noia, con conseguente stravolgimento del Dna della Regina delle competizioni, ma questo ve lo raccontiamo nel prossimo episodio.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (1)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (2)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (3)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (1)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (2)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991
Pillole di F1 cap. 10 – F1 nel caos (1)
Pillole di F1 cap. 11 – F1 nel caos (2)

THE CLINICAL REVIEW – GP AUSTRALIA 2018

Ciao a tutti e benvenuti alla Clinical Review post Gran Premio d’Australia 2018!

Prima gara della stagione, prima review, primi commenti (seri) e primi dibattiti. Quando ricomincia la F1 in primavera, rifiorisce anche la voglia dei tifosi (e non solo…) di discutere e, in questo articolo, cercherò di spiegare i notevoli spunti che sono emersi dall’atipica, ma non inutile, tappa australiana.

Nonostante i test di Barcellona e successivamente le qualifiche ci avessero delineato un quadro piuttosto chiaro delle forze in campo,  il GP, in realtà, ha sorpreso tutti: vince Sebastian Vettel su Ferrari, seguito da Lewis Hamilton e Kimi Raikkonen, attraverso una mossa abilissima degli strateghi di Maranello, quasi dettata dalla “disperazione” in quanto impossibile superare in pista, che però ci ha regalato un finale a sorpresa complice l’entrata della VSC a causa del ritiro dello sfortunato Romain Grosjean su Haas.

Cominciamo l’analisi parlando della Mercedes W09 EQ Power+, mostratasi, come da aspettative, la monoposto più completa di questo inizio di stagione 2018, confermando, di fatto, ciò che di buono aveva mostrato ai Test di Barcellona. Il team anglo-tedesco ha perfezionato quasi tutti i punti deboli della stagione 2017, sfruttando l’annata “di studio” precedente e risolvendo i problemi sulla nuova monoposto che si è mostrata da subito competitiva. Certamente non è passato inosservato il gap rifilato in qualifica da Lewis Hamilton ai competitors: ben 6 decimi abbondanti al primo inseguitore, Kimi Raikkonen, e poco di più a Vettel e Verstappen, che hanno fatto storcere il naso a tanti tifosi che si aspettavano una sessione al cardiopalma e invece si sono dovuti accontentare dell’ennesimo Record Lap dell’inglese, permesso (a detta di molti, compreso Helmut Marko) da una Power Unit molto superiore alla concorrenza, quasi disarmante. Ebbene, le cose non stanno proprio così: un errore importante (circa 2 decimi) in curva 13 di Sebastian Vettel e uno altrettanto “pesante” in termini di tempo di Max Verstappen hanno ampliato e reso fittizio il gap tra le monoposto. Dalle informazioni raccolte, infatti, il gap tra la PU Ferrari e Mercedes in Q3 (a Melbourne, da vedere se sarà così anche nei prossimi GP) sembrerebbe quasi inesistente (rispetto ai 25-30cv dell’ultima parte della stagione 2017) e considerando che su un circuito come l’Albert Park 10 cv sono circa 3 decimi al giro e che la Ferrari è ben lontana da aver espresso il suo vero potenziale (confermato dallo scarso feeling di Vettel e dai dati GPS) è facile intuire come quel gap sia costruito da telaio + fattore umano (ne va dato atto al Re Nero) e meno dalla potenza del motore (escludendo Renault ovviamente).

Situazione non diversa in gara, in cui LH ha mostrato un passo mediamente migliore di Ferrari di circa 3 decimi (praticamente lo stesso della qualifica) confrontando i tempi in cui sia Ferrari, sia Mercedes stavano spingendo (6 giri prima della sosta) e quelli di LH dietro a Vettel, capace di tenersi sempre a distanza (gap mai sceso sotto i 5 decimi in una pista in cui per sorpassare serviva almeno 1.5 secondi di gap tra le vetture o un errore del pilota). Ma dove fa la differenza questa W09 rispetto agli avversari? In curva, specialmente in ingresso, in cui addirittura riesce ad essere più veloce di Ferrari di circa 10-15km/h. Meno “buona” la trazione in uscita, in cui pecca ancora di un sovrasterzo che, seppur non eccessivo, non è il massimo per i compound più morbidi, che hanno una finestra di funzionamento molto bassa (e ridotta dal 2017 al contrario delle aspettative). Direzionalità eccellente grazie alla nuova sospensione anteriore, sempre completamente idraulica ma rivista nei cinematismi: terzo elemento di dimensioni voluminose e gruppo bilancieri-barre di torsione sostituito da due grossi bilancieri (collegati tra loro da una bielletta) che in sostanza eliminano la barra antirollio (la rigidezza viene mantenuta dal cinematismo stesso), semplificano e riducono il peso della sospensione, permettendo alla W09 di essere agile e “morbida” sui cordoli.

Parliamo ora di Ferrari che, in realtà, ha ben impressionato a Melbourne nonostante abbia mostrato, su una pista da medio-alto carico tutte le debolezze figlie di un progetto ancora molto acerbo e con grande possibilità di sviluppo (riportato da Seb e anche da fonti interne al team). La SF71H ha confermato le sensazioni che ho riportato nell’analisi finale dei test a Barcellona (ecco perché è sbagliato dire che le analisi dei test sono inutili…) che citerò qui di seguito:

“sarà interessante capire se sarà migliorato il grado di comprensione della vettura sul fronte bilanciamento aerodinamico: la scelta di una filosofia piuttosto estrema (alta efficienza, passo lungo e alto rake, anzi altissimo) è sicuramente una scelta valida in teoria, ma piuttosto complicata in pratica; a mio parere, infatti, la SF71H non ha generato nei test abbastanza carico al posteriore, probabilmente perché ancora non si è riusciti a sigillare il fondo al meglio (ricordate le scimitarre 2017 bandite dalla FIA?), e ciò ha comportato un leggero compromesso “al ribasso” all’anteriore, rendendo la vettura più bilanciata ma sicuramente più lenta in curva (nonostante ciò ottima sugli pneumatici).”

Ferrari è intervenuta a Melbourne abbassando il posteriore e quindi “forzando” il diffusore a lavorare, con ovvia perdita di carico derivante dalla riduzione dell’angolo di rake; ha portato un nuovo diffusore (con piccoli accorgimenti) e ha provato di conseguenza un’ala anteriore più carica, che poi non è stata confermata dai piloti dopo le FP. Tutto ciò si riassume in una vettura caratterizzata dall’elevata velocità di punta (grazie al grande lavoro sull’efficienza aerodinamica e da un anteriore “scarico” per bilanciare il posteriore) e un evidente sottosterzo in ingresso. Nonostante tutto Ferrari ha mostrato comunque un’ottima trazione in uscita dalle curve e un ottimo lavoro sugli pneumatici, utilizzando un’ala posteriore carica e dimostrando che, dal punto di vista sospensivo, la SF71H è a posto. Ragguardevole salto di qualità sul fronte Power Unit: il nuovo motore Ferrari sembra molto migliorato sul fronte potenza massima, grazie ad una diminuzione della compressione (tramite un aumento delle tolleranze) e ad un aumento, di rimando, della pressione turbo (tramite un meccanismo di sfiato della wastegate in fase di affondo in accelerazione). Promettente, al momento, anche l’affidabilità, al contrario di Mercedes che ha sofferto parecchio “l’aria calda” sia con Bottas, sia con Hamilton (Pu in protezione negli ultimi giri), sia con Stroll. Lavoro ancora non eccelso, però, sul fronte consumi (per il quale si attendono sviluppi di Shell) che non permette a Ferrari di aumentare l’incidenza delle ali (punto forte di Mercedes) e risolvere in modo più rapido le perdite di carico aerodinamico, in attesa di upgrades previsti per la Cina e GP successivi (in Ferrari contano di avere una vettura già più veloce di Mercedes per il GP di Baku).

Terminiamo l’analisi con l’ultimo team della Top 3 dei costruttori, la Red Bull. Tanto osannata nei test a Barcellona e tanto temuta in Australia (a causa del layout della pista che avrebbe dovuto esaltarne i punti di forza), dopo un’ottima qualifica, si è abbastanza “spenta” in gara, complice un danneggiamento del fondo di Verstappen e una gara nel traffico di Ricciardo che, comunque, si è tolto lo sfizio di siglare il giro più veloce in gara. La nuova RB14, chiaramente ispirata alla RB13 di fine stagione, è una vettura che ha mantenuto la filosofia “passo corto” (ormai unica dei top ad averlo) e quindi risulta essere naturalmente agile e scattante nei cambi di direzione, complice anche un elevato carico derivato da ali e corpo vettura. A mio parere sembra che abbia raggiunto già il top della forma al primo GP e non vedo, al momento, grandi margini di miglioramento, motivo per cui il diretto competitor, Ferrari, ha optato per un progetto con un più ampio grado di sviluppo, sfruttando, certamente, la maggior cavalleria che permette loro di essere davanti ai bibitari nonostante per questi primi GP “teoricamente” non lo possano essere. Detto questo però, quantificando il gap motoristico intorno ai 25 cv in qualifica (7 decimi e mezzo in teoria all’Albert Park), è evidente come RB abbia davvero un telaio migliore della concorrenza. Ma sarà possibile sfruttarlo partendo dietro in qualifica e non potendo superare (a causa della scarsa velocità di punta) in gara? Le difficoltà di Verstappen nel cercare di superare Magnussen credo dicano molto…

COSA VEDREMO IN BAHRAIN?

Quello di Sakhir è un circuito a medio-alto carico che richiede molta trazione “meccanica” e un perfetto utilizzo dei pneumatici in trazione che, a cause delle temperature e degli stress longitudinali, sono notevolmente sotto sforzo. Nel 2017 abbiamo assistito a una grande vittoria di Sebastian Vettel sfruttando il punto di forza della SF70H, il consumo gomme, e a una “debacle” Mercedes da quel punto di vista. Si potrà ripetere anche nel 2018? Sinceramente no, dato che la Mercedes sembra migliorata sul fronte pneumatici, ma Ferrari potrà essere più forte che in Australia grazie al basso carico e all’ottima gestione delle coperture, anche se non abbastanza, salvo sorprese, per impensierire Mercedes.

16.04.2017 – Race, Start

Alla prossima!

Chris Ammirabile