Pensieri sparsi: F1 Gulf Air Bahrain Grand Prix Sakhir

2016 aprile 06

Finalmente si è depositata quella finissima sabbiolina che per quasi tutto il week end motoristico ha accompagnato il Circus itinerante della Formula 1 e possiamo provare a fare il punto su alcuni dei temi posti da questa gara.
Gli spunti principali di discussione paiono essenzialmente tre: la governance della massima serie in generale e la sua più recente trovata sul format delle qualifiche, in particolare; la palese fragilità delle unità motrici di casa Maranello; infine il traballante assetto finanziario di una buona fetta dello schieramento.

Poniamo oggi l’attenzione sul primo, in attesa di sapere se nella riunione di domani tra FIA, FOM, Team e compagnia cantante riusciranno a partorire quell’idea che almeno a parole sembra debba essere quella definitiva per questa stagione. Prende quota l’ipotesi della somma dei due migliori tempi per ogni sessione. Ma aspettiamoci anche qualche idea un po’ balzana, spettacolare ed antisportiva, sperando che non ci comunichino che l’operazione è stata tecnicamente un successo, ma il paziente è morto.

Ma rimane, a prescindere, la questione di come e perché si prendono queste decisioni.

 Music Chair
Partiamo dalla governance e dal formato “music chair” delle qualifiche.
Che il formato appena introdotto sia palesemente fallimentare credo non sia nemmeno tema di discussione; il motivo per cui la Formula 1 sia arrivata a una simile trovata, per contro, è molto più interessante. E come spesso accade per capire il presente occorre provare a dare un’occhiata al passato: recente e meno recente.
Il passato recente è nei survey che ogni tanto raccolgono il polso degli appassionati di Formula 1, nei dati di raccolta sponsor e nell’audience raccolta dai Gran Premi. E questi dati dicono che l’appassionato medio di Formula 1 sta invecchiando, spesso si annoia e vorrebbe una formula più combattuta.
Il passato un po’ più remoto racconta anche esso una storia particolare.
Per quasi un decennio, dal 2005, le stagioni (per motivi spesso molto differenti e che non riteniamo analizzare, visto che non è questo lo scopo del post) sono state combattute.
Le uniche eccezioni sono gli anni 2011 e 2013 intervallati però da mondiali giocati fino all’ultima gara fra team differenti.
Dalla rivoluzione delle PU questo non accade più.
Ancora una volta, il motivo e i dettagli dell’impressionante dominio di Stoccarda non sono il tema centrale.
Il tema è che il “prodotto” Formula 1 ha poco appeal sui giovani, ha un pubblico annoiato e in costante fuga ed è prevedibile.
Ora, siamo tutti più o meno concordi che in un sistema “sportivo” chi lavora meglio è giusto che raccolga i frutti del suo operato.
Ma proviamo a spostare il punto di vista e per un momento metterci nei panni di un ex commerciante di auto di lusso, ex team manager ed oggi manager di una multinazionale che fattura miliardi (1.9) di dollari.
Il quale constata che appena le vetture del team dominante finiscono nelle retrovie, le gare immediatamente raccolgono interesse, e di conseguenza ricaduta a catena sui moltiplicatori di informazione (quelli che amiamo chiamare “social”).
La soluzione per ritrovare l’interesse sopito pare facile: chi vince, parte dietro la gara successiva.
Certo, lo sport va a farsi benedire.
Ma per il manager, il suo prodotto, non è “sport”.
E’ appunto un prodotto.
Ma qua nascono i problemi.
Perché non si può chiedere a un colosso dell’industria automobilistica di investire quasi mezzo miliardo di dollari per diventare il team dominante e poi accomodarsi docilmente nelle retrovie per far contenti gli utenti di Twitter.
La proposta della FOM era appunto un sistema di penalità progressive che colpisse i primi dieci classificati e che li obbligasse a partire dalle retrovie.
I team sono inorriditi e la proposta alternativa prodotta in fretta e furia è appunto stata quella della eliminazione a count-down.
La “music chair” è tutta qua.
E’ l’epifenomeno di un problema di fondo che riguarda la massima divisione motoristica.
E’ la convulsione fra l’interesse di Bernie Ecclestone di avere una competizione “vendibile” e l’interesse di Dieter Zetsche nel suo ROI (return of investment).
E qua si apre il tema vero di questa sezione del post: la Formula 1 è un oggetto in transizione, con un passato che vuole scimmiottare ma che non può ripercorrere per ovvi limiti evolutivi; è un oggetto dannatamente costoso e quindi esclusivo che non può permettersi di giocarsi l’appoggio dei pochissimi eletti che si possono permettere investimenti per accedervi; è un prodotto che vorrebbe essere “sport” ma che ha interessi da “spettacolo” e non ha ancora deciso quale delle sue due anime privilegiare; è, a modo di vedere di questo board, un prodotto che ha nello stesso assetto che ha assunto, i germogli della sua fine.
O della sua mutazione in qualcosa di molto diverso.