L’ultima grande sfida di Chapman: la Lotus 88

Ci sono casi in cui a progetti ingegnosi non viene data la possibilità di manifestarsi in tutta la loro potenza, lasciando ai posteri solo grandi interrogativi su cosa avrebbe potuto essere e non è stato. Questa è la storia della Lotus 88, l’ultima grande sfida di Chapman, un’auto alla quale non è stato permesso di correre ma che, ancora una volta, inglobava tecnologie destinate a diventare lo standard nella progettazione delle monoposto di Formula 1. Un’auto che, nelle intenzioni dei suoi creatori, avrebbe dovuto riportare in alto il team che nel decennio precedente aveva lasciato un segno indelebile non solo nell’albo d’oro ma anche nell’evoluzione tecnica della F1, aprendo definitivamente, con il modello 79, la strada della ricerca aerodinamica esasperata.

Per due anni, dopo il dominante 1978, la Lotus aveva dovuto guardare il posteriore degli avversari. Prima la Ferrari, poi la Williams con la stratosferica FW07 di Patrick Head, a duellare con l’altrettanto stratosferica Brabham BT49 di Gordon Murray. La scena era ora esclusivamente per queste due wing-car sopraffine, macchine semplici, dalle linee pulite, come era la 79. Che però in Lotus non erano stati capaci di fare evolvere. La 80 doveva far sembrare degli autobus tutte le altre monoposto, ma dietro un look ancora una volta rivoluzionario si nascondevano un mare di problemi. Proprio come era successo dopo la 72, la specie non si era evoluta.

Come con le sfortunate eredi della 72, Chapman non si era perso d’animo e stava preparando un altro grande salto. Fatto di aerodinamica ancora più estrema e di una parte telaistica rivoluzionaria. Ma questa volta, che purtroppo sarà l’ultima, non gli verrà consentito di portare a compimento il suo progetto.

Siamo alla fine del 1980, una stagione chiave nella storia della F1. Infuriava la guerra fra le scuderie inglesi e la FISA, l’allora FIA guidata dallo scaltro Balestre. Si stava chiaramente delineando un futuro fatto di motori potentissimi e costosissimi, cosa che preoccupava non poco gli inglesi, abituati a giocarsela con la Ferrari in virtù della loro indubbia superiorità tecnologica in campo di telai e aerodinamica, che permetteva di vincere anche disponendo di relativamente pochi mezzi.

La FISA, nel tentativo di metterli in difficoltà, adducendo peraltro validissimi motivi di sicurezza, impose l’abolizione delle minigonne e l’altezza minima da terra di 6 cm. Niente minigonne significava niente sigillo a terra e drastica diminuzione dell’efficacia dei canali Venturi che caratterizzavano tutte le monoposto di quel periodo, figlie della Lotus 79. Ma agli inglesi non faceva difetto la scaltrezza, e all’alba della stagione 1981 trovarono il modo di aggirare la regola. Correttori d’assetto idraulici stile Citroen Pallas e marchingegni similari consentivano di far viaggiare le monoposto rasoterra durante l’intero GP, per poi risollevarle ridicolmente a fine gara facendole risultare conformi al regolamento. Perfino la Ferrari, di solito ligia alle regole, dovette adeguarsi.

In questo contesto Chapman scelse una via completamente diversa: quella di scomporre il telaio in due, dotando ciascuna parte di un proprio sistema sospensivo indipendente. Il telaio vero e proprio, costituito da scocca, motore e cambio, avrebbe avuto sospensioni tradizionali. Un secondo telaio avrebbe retto la parte aerodinamica, e quindi la carrozzeria, le fiancate e l’alettone posteriore, e sarebbe stato sospeso su molle ancorate alle sospensioni del primo telaio.

In questo modo la parte aerodinamica poteva abbassarsi senza problemi sotto l’effetto del carico aerodinamico, andando a toccare il terreno, mentre il telaio principale poteva mantenere un assetto meno rigido, dando quindi al pilota una macchina nel complesso più guidabile e confortevole. Mentre le altre auto erano costrette ad utilizzare assetti rigidissimi per mantenere costante l’altezza da terra una volta che i martinetti idraulici avevano portato le fiancate a strisciare l’asfalto.

Ma se la 88 viene ricordata soprattutto per il doppio telaio, in realtà il progetto conteneva un’altra novità importantissima, che condivideva con la McLaren MP4/1: il telaio in fibra di carbonio, che nel giro di pochi anni diventerà lo standard in F1 e, poco dopo, in tutte le altre categorie di monoposto.  Anche in questo Chapman fu un precursore, nonostante generalmente si attribuisca a Barnard il merito di avere rivoluzionato la tecnologia dei telai.

Guardando le foto della 88 si ha la stessa impressione di bellezza e pulizia che si prova guardando le quelle della 79: un’auto dalla linea ancora oggi attuale, completamente diversa dalle monoposto coeve. Ma purtroppo, a differenza della 79, non la si può vedere nei libri che narrano la storia della F1, se non in qualche trafiletto a margine delle cronache dei GP. Perchè alla 88 fu negata la possibilità di competere. Se i correttori d’assetto furono tollerati, benchè aggirassero palesemente il regolamento, il doppio telaio non fu ammesso, con la motivazione che, essendo l’intera carrozzeria libera di muoversi indipendentemente dal telaio vero e proprio, essa rappresentava un vietatissimo dispositivo aerodinamico mobile. E va detto che in qualche gara la 88 passò le verifiche tecniche, ma le proteste veementi di alcune squadre avversarie, fra cui la Ferrari, portarono la FISA ad escludere l’auto. Probabilmente a Chapman fu fatto pagare il dominio di qualche anno prima, lui che, quando la Brabham presentò la macchina col ventilatore, si scagliò furentemente contro Ecclestone al punto di costringerlo a ritirare la vettura.

La Lotus nel 1981 già versava già in gravi difficoltà finanziarie, e le vicissitudini regolamentari della 88, che portarono al fallimento del progetto, costituirono l’inizio del declino per Colin Chapman, che potè però lanciare il cappellino in aria ancora una volta, al Gran Premio d’Austria del 1982 quando Elio de Angelis vinse guidando il modello 91 che ereditava molte soluzioni della 88 e che fu decorosamente competitivo.

Chapman se ne andrà alla fine di quell’anno. Con lui si chiuderà non solo l’epoca delle wing-car, da lui introdotte in F1, ma anche quella del costruttore-progettista. Da quel momento in avanti sarà tutto più complicato, e per progettare e costruire un’auto ci vorranno sempre più persone e sempre più soldi. Non basteranno più un proprietario di team competente e appassionato coadiuvato da qualche specialista, come era avvenuto per la 49, la 72 e la 79, per citare i tre modelli più innovativi e vincenti della storia della Lotus. Lotus che senza Chapman vivrà ancora qualche stagione di successi grazie ad un altro mito della F1, Ayrton Senna, per poi chiudere per sempre.

Proprio con il grande Ayrton al volante,  ci sarà la possibilità di vedere ancora un’ultima, grande innovazione su una vettura col marchio Lotus: nel 1987, con grande anticipo rispetto alle rivali, svilupperà e utilizzerà in gara le sospensioni a controllo computerizzato, il cui obbiettivo era proprio quello di mantenere costante l’altezza da terra della monoposto senza dovere usare configurazioni troppo rigide. Forse Chapman prima di morire aveva giá tracciato la via per questa soluzione, che sicuramente avrebbe supportato con grande passione e motivazione a dispetto degli scettici, come era solito fare con tutti i suoi progetti, che fossero vincenti o meno.