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BASTIAN CONTRARIO: COME PONZIO PILATO

Non potrei definire altrimenti l’atteggiamento, in primis, della Ferrari di Vasseur visto domenica scorsa, nel GP d’Italia. Inutile girarci attorno, quindi è bene andare subito al nocciolo del discorso. Sabato, se in pole ci fosse stato il solito Verstappen o il beniamino delle folle, cioè LeClerc, quasi sicuramente non avremmo visto nulla di quanto accorso negli ultimi giri da infarto del GP italiano. Invece il destino ha voluto che un sontuoso Sainz, perennemente bistrattato dai tifosi del monegasco (non capirò mai a fondo come ci si possa concentrare a tal punto su un pilota, quando poi, per un ferrarista vero, conta solo la Ferrari appunto) si è messo in testa di fare suo il GP di casa della Rossa e cosi è stato. Sainz, perennemente avanti a Charles (il quale non ha fatto altro che sperimentare alchemici assetti che gli consentissero chissà quale vantaggio e che poi, per sua stessa ammissione… l’onestà intellettuale di Charles è uno dei suoi pregi migliori, si è ritrovato a copiare quelli del compagno), dal venerdì alla domenica e non ce n’è stato per nessuno, campione olandese compreso… almeno per la pole! Carlito la voleva quella pole, l’agognava più di qualunque altra cosa e, sebbene non sia uno stupido e sapeva benissimo che la vittoria fosse una chimera, di certo aveva deciso che quella di domenica scorsa sarebbe stata la gara della sua vita, per dimostrare a se stesso e, al mondo intero, che, sebbene la Ferrari avesse puntato sul compagno, lui di certo non era da meno. Una difesa stoica su Verstappen, fino a quando ha potuto, poi l’errore (che mastino Max, che intelligenza tattica nell’aspettare e nel contempo mettere pressione giro per giro!) e da lì è iniziato il vero GP dello spagnolo, del compagno e della Ferrari tutta.

Arrivare secondi era impresa impossibile (persino in mano a Perez la RB19 era incontenibile) e così è stato, di certo era ampiamente alla portata il terzo gradino più basso e, naturalmente, Ferrari per non farsi mancare nulla, ha permesso il duello fratricida al quale tutti abbiamo assistito. Vasseur, come Ponzio Pilato, se ne lava le mani facendo dire “no risk” e da lì Carlos ha dovuto fare gli straordinari contro il coriaceo compagno. Sia chiaro che non ho nulla contro i duelli in famiglia e men che meno detesto il monegasco… anzi. Su questa rubrica mi sono sempre speso nel difenderlo ed esaltare il suo talento ed aggiungo che guai se non avesse provato a superare il compagno. Il tuo primo avversario in F1 è quello che veste la tua stessa tuta e considerando che Charles sia stato letteralmente bastonato per tutto il week end, davanti “al suo” pubblico, il minimo che poteva fare era provarci, visto che purtroppo non è mai stato in grado di impensierire Verstappen. Lo stesso Carlos (il quale anche egli non difetta di sincerità) ha detto che “al posto di LeClerc avrebbe fatto lo stesso” e va da sé, sempre citando le sue dichiarazioni, “che nella posizione in cui si trovava, voleva che le posizioni si congelassero”. Fin qui nulla da dire ed infatti il problema nasce al muretto e nello specifico in chi lo comanda. Davvero Ferrari, in un’annata così disastrosa, si può permettere un duello all’arma bianca, così come abbiamo assistito domenica scorsa? Davvero Carlos, dopo tutto quello che aveva fatto per tenere in alto i cuori, come si suol dire, si meritava un “no risk” detto a Charles, il quale se n’è sbattuto (ovvio!) allegramente e, solo perché è dotato di istinto di conservazione, ha alzato vistosamente il piede per ben due volte altrimenti sarebbe successo l’inevitabile? Il Team Principal della Ferrari ha calato definitivamente la maschera e, come Ponzio Pilato, ha preferito scaricare la responsabilità sul “giudizio” dei piloti. Mi spiace signore e signori che mi leggete, non funziona così: quando comandi, ti devi assumere il dolce e l’amaro, oneri ed onori. I team order non sono mai belli certo, eppure la Ferrari in questo momento si può permettere il lusso di far lottare (la guerra dei poveri la chiamo) i suoi piloti tra di loro, con le due Mercedes che erano a pochi secondi più dietro? Cosa sarebbe successo se i due si fossero toccati o peggio ancora si fossero buttati fuori? Davvero si crede alla favoletta del “giudizio” dei piloti, soprattutto quando l’adrenalina sale e senti il traguardo sempre più vicino a trecento all’ora?

Vasseur aveva il dovere di intervenire e fermare quell’inutile infarto che ha fatto venire a mezzo popolo ferrarista. Il Team Principal avrebbe dovuto farsi sentire perché Carlos meritava quel podio e troppo comodo per Charles farsi sotto, solo nelle fasi finali del GP contro il proprio compagno, quando poi non è mai stato all’altezza dello stesso e figuriamoci rispetto agli avversari diretti. Da qui il mio pensiero (corroborato anche da Sainz sr con le sue dichiarazioni “la Ferrari è strana, una volta decide in un modo, una volta nella direzione opposta”): monsieur Vasseur si sarebbe comportato allo stesso modo a parti invertite? So perfettamente che con un contratto da rinnovare al fenomeno monegasco e soprattutto dopo aver dichiarato, anche se non troppo velatamente, che si vuole puntare su di lui, dirgli di abbassare i giri sarebbe stato un duro colpo, vero è che l’azione avanzata dal responsabile Ferrari, se possibile, è anche peggiore. Vasseur ha rivelato il suo vero volto dunque e, quindi, ogni volta che potrà, si defilerà proprio come Ponzio Pilato, lavandosene le mani e delegando terzi nel risolvere questioni spinose come quelle viste domenica scorsa? Non oso immaginare cosa sarebbe successo se al muretto ci fosse stato “l’altro”, eppure “l’ex”, la responsabilità se l’assunse in Inghilterra e sebbene i tifosi proprio non ne vogliono sapere di accettare la scelta ed il risultato ottenuto, il buon Mattia preservò lo status di Sainz, lo stesso Sainz che ha lottato con il cuore dall’inizio alla fine per tutto il week end. Si cosparga il capo di cenere monsieur Vasseur (mentre Charles si faccia un esame di coscienza, non sul fatto che abbia lottato contro il compagno ci mancherebbe, bensì sul fatto che gli è stato dietro per tutto il fine settimana) e rifletta bene su quale direzione voglia dirigersi, perché ad essere franchi, la politica pilatesca attuata al GP italiano non lo so se lo porterà per strade confortevoli. Prima o poi egli si troverà nella condizione di doverlo dare quell’ordine ed allora troverà me (non credo sarò solo) “sulla riva del fiume ad attendere il suo cadavere che passa”. Al GP italiano, Vasseur non è stato l’unico (della Ferrari naturalmente) a comportarsi come Ponzio Pilato, infatti lo stesso Presidente (sempre più mega presidente di fantozziana memoria… “figura mistica che nessuno ha mai visto”) si è lavato le mani, facendo essere presente solamente l’a.d. Vigna, il quale a sua volta si è guardato bene dall’essere “appariscente”… lo chiamano nuovo corso (sigh!).

Infine rimanendo in tema di politica pilatesca, lasciate che vi riporti in maniera pedissequa il pensiero di Pier Alberto, un appassionato del nostro sport che scrive sul Blog Del Ring e, che mi ha colpito particolarmente: la Fia, come Ponzio Pilato, ha pensato bene di far passare la violazione della Red Bull sul Budget Cap con una semplice ammenda… il risultato è sotto gli occhi di tutti:

Dieci vittorie consecutive di un pilota, quindici di una macchina. Chi ha permesso tutto questo deve riflettere a lungo, perché se è vero che è giusto che a vincere siano i migliori, in uno sport così complesso come la F1 non è normale né ammissibile che si arrivi a questo. Dominare va bene, ma monopolizzare no e se in quattordici stagioni si passa, senza soluzione di continuità (a parte il 2021), da un dominio (Red Bull) ad un dominio (Mercedes) e, infine, ad un monopolio (di nuovo Red Bull), la cosa è ancora più inaccettabile”.

 

Vito Quaranta

MOTOGP 2023 – ROUND 10 GP DI SPAGNA

Francesco Bagnaia arriva in Spagna con ampio vantaggio in classifica mondiale per un classico sulla pista del Montmelò.

Tracciato spagnolo che è storicamente indigesto alle ultime Desmosedici e con un risultato finale meno scontato che su altre piste.

 

QUALIFICHE

Il campione del mondo in carica mette tutti in fila con un giro dei suoi in Q2 dove spiccano anche le Aprilia che su piste come questa sono più performanti del solito.

La prima fila è completata da Espargaro e dalla Aprilia MY 2022 che fa fare bella figura anche al coriaceo Miguel Oliveira. Vinales quarto e poi in fila ben 4 Ducati Pramac e Gresini prima di arrivare alla prima delle KTM con in sella il solito Binder.

Il “ De profundis giapponese” comincia con un  Marquez che ormai ha deciso di non rischiare più di rompersi ossa gratis e dagli altri che vivacchiano sino all’inizio della gara. Gli altri WC in attività classificati undicesimo, Marquez, diciassettesimo Quartararo, ventesimo Mir. Non si possono fare commenti.

 

SPRINT RACE SABATO

Bagnaia era conscio sin dalla partenza che non sarebbe stata una giornata semplice. Dopo l’ottima partenza e qualche giro al comando cede la posizione ad Aleix Espargaro che va a vincere la seconda gara della stagione seppur in versione dimezzata. Sul podio l’altra Aprilia di Vinales e poi la KTM di Binder.

Bagnaia aumenta il vantaggio in classifica grazie al secondo posto ed al fatto che tutti i suoi diretti concorrenti gli finiscono dietro.

 

GARA

Partenza da incubo come spesso è successo in Spagna. Al via Bagnaia si invola lasciando tutti sui blocchi. Ma all’ingresso della prima curva Bastianini esagera perdendo la sua desmosedici che falcia Zarco, Alex Marquez, Diggiannantonio e pure il solito Bezzecchi che se c’è qualcuno che scivola lui c’è sempre. Neanche il tempo di capire che le immagini inquadrano Pecco autore di un highside in curva due. Scena terribile con lui che vola per aria ed atterra con tutte le altre 15 moto rimaste sulle ruote che gli vanno incontro. Binder lo prende in pieno sulle gambe cadendo a sua volta ed esce la bandiera rossa.

Attimi terribili in cui si è temuto davvero il peggio vista la dinamica dell’incidente. Al momento in cui queste parole vengono scritte le notizie parlano addirittura di assenza di fratture ma solo di diverse contusioni. Per assurdo è andata peggio a Bastianini che si è infilato sotto una Ducati di Gresini rimediando una frattura ad un dito ed al malleolo entrambi da operare.

Domenica prossima ci sarà il Gp di casa a Misano e la Ducati ufficiale rischia di non aver nessune dei suoi due piloti titolari.

Alla ripartenza non c’è storia e la gara è abbastanza noiosa. Vinales prende il comando e lo tiene per due terzi di gara quando il suo compagno di box decide di rompere gli indugi e regalarsi la prima “doppietta” della sua vita e di quella dell’Aprilia. Doppietta con rinforzo di Maverick che gli finisce in scia per il trionfo della casa di Noale che finalmente vede reallizzati in uno strepitoso risultato tutti gli sforzi di questi anni.

A completare il podio troviamo Jorge Martin sulla prima Ducati che precede il compagno Zarco ed un Miguel Oliveira calato dopo la prima parte di gara molto brillante.

Che dire degli altri? Il team VR46 ha deluso le aspettative che negli ultimi tempi aveva creato. Bezzecchi e Marini non sono mai stati protagonisti ed hanno costantemente viaggiato nel gruppo. Gara coriacea di Quartararo che questa volta riesce a mettersi dietro due KTM e tre Ducati. Marquez solo tredicesimo avrebbe una voglia matta di cambiare aria..

 

Considerazioni generali.

Dissi ad inizio stagione che questa storia delle Sprint race non mi piaceva. Dissi ad inizio stagione che sarebbero state il doppio delle partenze, il doppio delle prime curve, il doppio dei primi giri.

Ieri si è rischiato molto. Ok, Motorsport is dangerous, ma aumentare le possibilità che accada qualcosa di grave raddoppiando i momenti più rischiosi del weekend non mi pareva una buon idea mesi fa ed oggi ancora meno.

 

Domenica prossima si andrà in scena a Misano

 

Salvatore Valerioti

 

1985.09.01 – THE FASTEST MAN ON EARTH

Intro
Non è facile far scorrere lieve e agile una macchina larga quasi due metri e lunga quasi cinque come se fosse una Monoposto di Formula 2 ma lui pare riuscirci benissimo. Nella doppia piega della “Fermata del Bus” la lotta per il secondo posto è diventata quasi fisica con le due Porsche, la sua e quella del suo avversario, del suo nemico, che si affiancano e ballano sui cordoli. Ancora un giro; ancora una infinita discesa verso una piega velenosa dal nome sensuale, che si contorce, contro le leggi della fisica, fino ad arrampicarsi nei boschi delle colline delle Ardenne. Poi un lunghissimo rettilineo dal nome intimidatorio: “Kemmel”.
Ma lì al Kemmel non si passa; il suo avversario ha anche lui una Porsche ma la sua è del team ufficiale, una “Works”, termine tecnico per chi si appassiona al Motorsport. Oltretutto un modello evoluto rispetto a quella in mano al Campione del Mondo Endurance in carica.
No. Lì non si passerà mai; oltretutto la Porsche Works non è guidata da uno sprovveduto. Alla guida c’è Jacky Ickx; il Signore assoluto di questa striscia di asfalto nelle meravigliose colline belghe; l’idolo del pubblico e un pilota fenomenale, dannatamente ostile e duro da battere.
No. Bisogna inventarsi qualcosa che lui non si aspetti, che lo sorprenda, che lo lasci fermo sulle gambe e permetta di scappare via. Per poi difendersi al Kemmel con la cattiveria che ormai da troppo tempo a questa parte sembra aver preso piede nella Serie.

Bisogne fare qualcosa di incredibile.

Bisogna fare qualcosa di folle.

E il Campione del Mondo Endurance, l’uomo più veloce al mondo, è l’unico che lo possa fare. 

 Fight gone way beyond

“Patrese blocked me four times dangerously…he’s an animal…”
Klaus Ludwig – Joest Racing Porsche 956B Driver

Il mondo endurance sta vivendo una fase traumatica. Dopo un periodo lungo quasi due anni di assenza, nelle competizioni internazionali, di incidenti mortali, questi hanno ricominciato a falcidiare le gare. A Mosport, in Canada, approcciando in pieno la Curva 2, la Kremer Porsche di Manfred Winkelhock vira di colpo verso il muretto di contenimento. L’impatto, devastante, è praticamente frontale e la compressone non lascia scampo al pilota tedesco. Vengono analizzati i resti della 962C ormai ridotti ad una montagna di rottami ma non vengono trovati indizi di un cedimento della vettura. Si ipotizza un malore del pilota o una improvvisa foratura; non si spiega altrimenti un errore simile da parte di un pilota tanto esperto.
A Spa c’è in programma la 1000km per il Campionato Endurance e il venerdì di prove non cronometrate, Jonathan Palmer con la sua 956B Richard Lloyd Racing non ufficiale, impatta tanto violentemente da portare alla frattura delle gambe del pilota britannico. Si dirà che la Canon Racing Porsche 956 GTi utilizzata da Palmer, con la sua struttura a nido d’ape rielaborata a Silverstone, abbia attutito l’impatto tanto da salvare la vita al conducente.
I segni di un pericoloso ritorno delle tragedie nel mondo delle competizioni a motore ci sono tutti ma questo non pare essere l’unico problema che affiora nella serie. L’aggressività in pista sta raggiungendo picchi inconsueti e non passa gara che i cronisti accreditati ad assistere alle competizioni non raccolgano su taccuino le lamentele dei piloti per lo stile di guida dei loro avversari.
Domenica primo settembre, però, gli incidenti e le polemiche sono un ricordo lontano e, nonostante il campionato sia saldamente nelle mani del Works Team Rothmans Porsche di Derek Bell e Hans-Joachim Stuck, la gara è tutt’altro che scontata.
La lotta è febbrile già dalla partenza. Martin Brundle al sabato aveva azzardato che sarebbe riuscito a tenere la sua Jaguar XJR-6 al ritmo impressionante di 2min14sec; un secondo pieno sotto il record stabilito l’anno prima da Bellof di 2min15.57sec su Porsche 956. A parecchi addetti ai lavori e colleghi era sembrata una boutade del pilota inglese e invece la gara quasi subito dice che quel ritmo non basta nemmeno a mantenere la quinta posizione: davanti al pilota TWR Jaguar, Patrese, Bell, Mass, Boutsen e Ludwig scompaiono dalla vista con giri di media due secondi netti più veloci.
Thierry Boutsen aggancia la seconda piazza con la sua 956 Brun Motorsport Team ai danni di Riccardo Patrese su LC2; pochi giri dopo anche Klaus Ludwig arriva in prossimità dell’italiano ma una cosa è raggiungere la LC2 e una cosa ben diversa è riuscire a passarla. Ludwig, normalmente amabile e compassato, nel frenetico dopo gara muoverà non poche critiche allo stile di guida dell’alfiere della Martini Racing Team.
Al giro 75, in testa, Paolo Barilla sta conducendo la sua 956B del team Joest Porsche con trenta e passa secondi di vantaggio sul belga Jacky Ickx e sul tedesco Stefan Bellof che stanno furiosamente lottando per la seconda piazza. Secondo i calcoli ai box il Joest Team sta pagando la sua fuga solitaria con consumi che lo obbligheranno ad un numero di soste superiore e questo rende la seconda posizione in lotta fra Bellof e Ickx, molto più appetibile di quanto già non lo possa essere di suo.
Come se tutto questo non bastasse, ognuno di loro ha un ottimo motivo per volere quella piazza d’onore.
Jacky è il Signore delle Ardenne.
Bellof è il Campione del Mondo Endurance in carica.

 Bellof hatte keine Chance

“Ich bin unendlich traurig…”
Jacky Ickx – Rothman Porsche 962C Driver

“Die Kurve ist eine der gefährlichsten der Welt…”
Thierry Boutsen – Brun Porsche 956B Driver, Stefan Bellof team mate

Al giro 75, dopo quasi tre ore di gara, Stefan Bellof decide di rompere gli indugi e attaccare Jacky Ickx. Ora non fanno più parte dello stesso team Works e al muretto non c’è Norbert Singer, direttore sportivo della Porsche, che più di una volta aveva fatto in modo di non far incrociare in terra belga le traiettorie del velocissimo e insubordinato Stefan e del pilota che considerava Spa la sua personale terra di conquista.
Le due Porsche arrivano al Bus Stop quasi appaiate e ancora una volta la lotta diventa fisica con le monoposto che saltano sui cordoli e quasi si scontrano; affrontano il corto rettilineo di partenza ad una manciata scarsa di metri l’una dall’altra e alla Source, un tornante stretto e in leggera discesa, Bellof è a pochi centimetri dalla 962C di Ickx. Lungo la discesa che porta alla curva del Raidillon c’è una macchina più lenta e Ickx si sposta per doppiarla. Non rientra subito in traiettoria ma lascia uno spiraglio aperto, poco prima che la discesa si trasformi di colpo nella violentissima salita che porta al rettilineo del Kemmel. E’ proprio quello che Bellof sta aspettando; una disattenzione, una incertezza da parte del Signore di Spa. Senza pensarci un momento infila la sua monoposto affianco alla Porsche del Campione belga.
Ma Ickx non è un pilota che possa cadere vittima di disattenzioni o incertezze e la sua traiettoria non è un invito per chi lo insegue; Jacky probabilmente sta solo impostando l’ingresso al Raidillon ancora più veloce per cercare di scrollarsi di dosso lungo l’infinito rettilineo del Kemmel la presenza ingombrante dell’esuberante Campione in carica.
Appena Ickx ritorna in traiettoria per affrontare la salita, l’impatto.
Il muso della 956B di Bellof colpisce la coda della 962C di Ickx; la macchina di Jacky ruota in testacoda e finisce la sua corsa sbattendo violentemente contro i guard rail di protezione ma con un angolo di impatto innocuo. La macchina di Stefan parte dritta verso il muretto di protezione con una traiettoria malvagiamente simile a quella seguita dalla Porsche di Winkelhock tre settimane prima in Canada. L’impatto, devastante, viene chiaramente percepito persino ai box e riduce la 956B del pilota tedesco una massa informe di metallo. Scoppia un incendio sotto quello che resta della macchina di Bellof ma viene facilmente domato dai commissari di percorso e da Ickx che, dopo essere uscito dalla sua vettura, è corso in soccorso del pilota tedesco in direzione dei resti della Porsche Brun. Per Bellof non c’è nulla da fare. Verrà dichiarato morto venti minuti dopo il suo arrivo in ospedale.
Gli organizzatori fanno una rapida riunione con i team manager per decidere cosa fare. Peter Falk per la Porsche (che sostituisce l’infortunato Norbert Singer), Cesare Fiorio per la Lancia, Tom Walkinshaw per la Jaguar e Reinhold Joest per il Joest Team e decidono di comune accordo che non abbia più senso proseguire.
La corsa viene conclusa prima del suo limite di 1000 km. La statistica annovera il Team Martini Racing con la LC2 come vincitore ma nessuno né in Belgio e né in Italia ha voglia di festeggiare.
L’incidente è di quelli che lasciano un segno profondo nell’immaginario di una generazione intera di appassionati di Motorsport. L’idea di poter passare con un mastodonte come una Porsche 956B all’esterno di una delle curve più difficili e pericolose del mondo, non un rookie qualsiasi, ma un pilota come Jacky Ickx, è qualcosa che ancora a distanza di decenni lascia a bocca aperta.
Una follia, si disse allora.
Una follia, si continua a ripetere anche oggi.
Ma chi lo ripete, probabilmente, non ha seguito la carriera di Stefan Bellof che, sulle ali della follia, ha volato veloce sin dai suoi esordi.

 Quando le statistiche non dicono nulla

“He was the fastest driver since Gilles Villeneuve”
Martin Brundle – Tyrrell 012 driver, Stefan Bellof team mate

“In a racing car, Bellof was very similar to Villeneuve; incredibly fast and with freakish reaction. Like Gilles, too, he was also apparently without a sense of fear”
Nigel Roebuck – Motorsport Magazine columnist

“…all the drivers I had through my team, the two best were Jackie Stewart and Stefan Bellof….”
Ken Tyrrell – Tyrrell F1 Team

E’ il 1984 ed è una stagione seminale nel mondo delle competizioni su ruote, in particolare per quanto concerne la Formula 1. Nel 1984 si mostra per la prima volta la stella luminosa di un talento unico nel mondo delle competizioni. Il suo nome è Ayrton Senna e calamita l’attenzione di tutti con una prestazione straordinaria sulla pista di Montecarlo, nel Principato di Monaco, il 3 giugno 1984. La pista è resa un acquitrino scivoloso dalla pioggia insistente e Ayrton Senna piega il mondo al suo passaggio conquistando una seconda piazza che vale almeno quanto una vittoria. I cronisti che affollano le sale stampa scrivono del nuovo talento brasiliano. Alle sue spalle, come un’ombra c’è un ragazzo tedesco dall’aria mite e dal piede pesantissimo. Si chiama Stefan Bellof, guida una Tyrrell 012 e sta marcando a uomo il fenomeno brasiliano già da qualche tempo.
Alla gara di apertura del mondiale, a Rio de Janeiro, sotto la dicitura “First race in F1” compaiono quattro nomi: Philippe Alliot, Martin Brundle, Stefan Bellof e Ayrton Senna. Bellof riesce a malapena a qualificare la sua Tyrrell numero 4, motorizzata con un Cosworth DFY da 510 cavalli, in ventiduesima piazza. Il brasiliano con la Toleman Hart-Turbo da 600 cavalli è sedicesimo. Alla fine di un primo giro al fulmicotone, Senna ha già raggiunto la tredicesima piazza; Bellof è ad una incollatura dietro di lui, quattordicesimo. Alla fine del secondo giro il Tedesco lo infila senza apparente difficoltà. Nessuno dei due riesce a finire la gara ma se Ayrton Senna sarà giustamente in lizza per essere incoronato come fenomeno nascente della Formula 1, qualche conto con quel ragazzo biondo dai modi affabili e gentili, bisognerà pur farlo.
Torniamo a Montecarlo e ad una gara che con tutti i suoi incroci di traiettoria sia in pista che nelle vite dei protagonisti, pare scritta da uno sceneggiatore hollywoodiano. Durante le qualifiche la Tyrrell 012 riesce a malapena a garantire a Bellof una piazza sulla griglia di partenza. Ma domenica piove, e quando piove i cavalli del tuo propulsore contano molto meno di quanto il tuo piede riesca a scaricarne a terra. E il piede di Bellof è qualcosa che appare nel mondo delle competizioni raramente. Ken Tyrrell in persona sa bene come i motori turbo siano in difficoltà sull’asfalto bagnato e viscido del tracciato e si raccomanda con Stefan di non forzare la mano; in fondo è ultimo e gli basta solo aspettare che qualcuno là davanti faccia qualche errore. Bellof come sempre in tutta la sua carriera, sorride gentile, annuisce e poi una volta indossato il casco fa esattamente il contrario di quanto gli viene consigliato. Ingaggia battaglie epiche con chiunque gli si pari davanti infilando Rosberg con un sorpasso di cattiveria e precisione e Arnoux, alla curva del Mirabeau, con una manovra che ha dell’impossibile. La Storia, quella che viene tramandata e che riempie le pagine dei libri racconta, a proposito degli incroci di traiettorie fra le vite dei protagonisti, che Jacky Ickx, direttore di gara in quella piovosa domenica di giugno, fermerà la competizione poco prima che Alain Prost, in testa, subisca l’onta di vedersi sorpassare in pista da un fenomenale Ayrton Senna in rimonta forsennata. Non rimane nulla, sui libri, del fatto che, mentre Senna rimontava incessantemente su Prost, Bellof stava recuperando furiosamente su entrambi.
Bellof avrebbe avuto abbastanza margine per superarlo?
Senna lo avrebbe ostacolato fino al punto di finire entrambi fuori?
La storia personale dei due alfieri lascia pensare che entrambe le risposte sarebbero state “sì”.
Ma oggi sui libri la stagione fenomenale di Bellof del 1984 non appare.
Ken Tyrrel era rimasto l’unico fiero oppositore a norme che liberalizzassero i consumi a favore dei motori turbo di cui l’intero schieramento stava ormai facendo incetta. Il Boscaiolo si opponeva per questione di costi; non voleva cedere all’emendamento che ritardava di una stagione l’introduzione del limite posto a 195 Litri.
Non aveva capito o forse solo non aveva accettato quello che la FISA, l’ente della gestione della Formula 1 aveva deciso doveva essere il radioso futuro della motorizzazioni della Serie Maestra. Temeva che i Turbo avrebbero messo alla sentina le scalcinate finanze del suo team e sperava di poter continuare con l’eterno, e soprattutto economico, Cosworth V8 DFY.
E la FISA nel 1984 fece quello che ha sempre fatto con tutti quelli che in un dato momento considerava “nemici” o che semplicemente si frapponevano fra lei ed i suoi piani: trovò un sistema per piegarne la volontà a colpi di indagini, sospetti e squalifiche.
Due gare dopo la fenomenale prestazione monegasca, a Montreal, in un serbatoio secondario della Tyrrell vengono trovate tracce di idrocarburi che la FISA subito etichetta come additivi non permessi per la combustione. Inoltre vengono rinvenuti pallini di piombo nei serbatoi del refrigerante che subito vengono accusati essere zavorra mobile.
Ken Tyrrel nelle pieghe regolamentari aveva spesso trovato rifugio e quella manciata di competitività che sempre più spesso faticava a trovare altrove ma sto giro FISA calca la mano: sancisce squalifica e annullamento di tutti i risultati ottenuti. Anche quelli, come a Montecarlo, in cui la 012 aveva pienamente passato le verifiche regolamentari post gara.
Tyrrell annuncia ricorso e il risultato è la messa sotto indagine dei fori di accesso alle paratie sotto la vettura accusati di essere fori di estrazione illegali.
Tyrrel si deve piegare e della stagione 1984 di Bellof non rimane nulla.
Nulla della gara a Zolder, dove fatica a qualificare la sua 012 in ventunesima piazza e inanella sorpassi fino a concludere in sesta posizione.
Nulla di Imola dove si qualifica ancora ventunesimo e stavolta si issa con le unghie e con i denti in quinta piazza.
E nulla nemmeno di Digione quando, a furia di anticipare le cambiate e sforzare il suo Cosworth per non perdere contatto con i motorizzati turbo, finisce per far saltare sia il propulsore che i nervi di Ken Tyrrell.
Per fortuna nel mondo dell’Endurance sotto l’egida IMSA Bellof sta riscuotendo quel successo che il suo talento merita.
Nel Team Rothmans Porsche ufficiale vince il mondiale Endurance con prestazioni strabilianti, mettendo in fila Pole Positions, giri veloci e gare dal ritmo insostenibile per chiunque. Lo stile con cui Stefan affronta le gare ricalca quasi sempre lo stesso copione: parte dalla Pole e inanella giri ad un ritmo inarrivabile e alla fine del primo stint ha già un vantaggio siderale sul resto dello schieramento.
Giungono in questo modo le vittorie a Monza, in team con Derek Bell, al Nurburgring, a Spa-Francorchamps e a Sandown Park.
La Germania a quasi cinquanta anni di distanza pare avere trovato il degno erede di Bernd Rosemeyer.

 What if…

“I think it would be difficult as I am a Rothmans sponsored driver, and they are backed by Marlboro”
Stefan Bellof – Quoted by Autosport, 1983

Alla fine della stagione ’83 i tre talenti più interessanti del panorama motoristico sono Ayrton Senna, Martin Brundle e Stefan Bellof. Tutti e tre partecipano ad una sessione di prove cronometrate a Silverstone organizzata dalla McLaren.
John Watson scende in pista per primo e segna un tempo che dovrà fare da riferimento per le tre promesse durante le loro sessioni di prove; tutti e tre lo batteranno senza troppi problemi.
Senna, addirittura, marcherà la sessione con un tempo fenomenale ma ancora una volta i dannati numeri raccontano una storia solo a metà.
Le due MP4-1C preparate per i test sono equipaggiate entrambe con un Cosworth aspirato; una con un DFY e l’altra col meno potente DFV. Ayrton Senna alla conclusione delle prove, poco prima che una valvola ceda di colpo e mandi letteralmente in fumo la sessione, stacca un tempo di 1min13.9sec. Ma fino all’ultimo tentativo fatto da Senna, con gomme da gara nuove, le gomme per tutti i tester erano compound da gara usate. E fino a quel momento Senna girava sul piede di 1min14.3sec con il DFY. Bellof, con il DFV, che a detta di Dennis, pagava al gemello evoluto circa 3 decimi, girava in 1min14.6sec.
Se, come a detta di Derek Warwick, che osservava i test dal complesso Maggots, Becketts e Chapel, “Senna doveva avere quattro mani e quattro piedi”, Stefan Bellof non doveva averne molti di meno.
L’epilogo di questi test sarà il veto posto dalla Rothmans sulla Porsche, che aveva in contratto il giovane talento tedesco, per un eventuale passaggio alla McLaren sponsorizzata dalla Marlboro, un loro concorrente.
La disponibilità, poi, di Alain Prost per formare il lineup della McLaren per il 1984 sarà la pietra tombale delle chances di Bellof a Woking.
Certo, immaginare una coppia Lauda/Bellof per il 1984 rimane uno dei sogni irrealizzati più affascinanti del mondo del Motorsport, di sempre.
E ci lascia immaginare se l’approccio pragmatico, essenziale e votato all’economia in ottica della massimizzazione del risultato dell’Austriaco avrebbe potuto domare l’esuberanza folle del tedesco.
E, nel caso, che razza di Campione sarebbe potuto venirne fuori.

 6min11.13sec

“…I crept past the wreckage, a full 160mph shunt, expecting Bellof to be dead, but instead he was standing on the other side of the barrier, waving at me…”
Jochen Mass – Rothmans Porsche 956 driver

L’ingresso di Bellof nel mondiale Endurance nel 1983 è qualcosa di devastante da ogni punto di vista. Ovunque scenda in pista miete successi e demolisce in maniera spesso imbarazzante i record di velocità. Ma proprio in questa fase incomincia a ad apparire l’aspetto germinale di una delle caratteristiche più disarmanti dell’immenso talento tedesco. Bellof è inarrestabile sotto ogni punto di vista; sia quando infila la sua monoposto a velocità indicibili lungo le effimere strisce d’asfalto che all’epoca sono i circuiti mondiali e sia soprattutto quando mostra di non avere nessuna percezione del pericolo, né tantomeno della disciplina.
Norbert Singer il direttore sportivo della Porsche arriva a pianificare i turni di guida fra Bell e Bellof di modo che il tedesco non si trovi a battagliare con il team gemello quando questo è condotto dall’ostico Jacky Ickx, preferendo eventuali battaglie in pista con Jochen Mass.
La summa dell’esuberanza, dell’immenso talento e dei limiti di Bellof sta tutta nella 1000 km del Nurburgring che si svolge il 29 maggio 1983.
Le qualifiche iniziano con la pista ancora umida dalla pioggia del giorno prima con i tempi intorno ai 6min30sec di Bell e Ickx con le Porsche Works equipaggiate con le gomme da gara. Viene poi il turno di Mass e di Bellof a cui Singer ha garantito il set di gomme da qualifica. La Dunlop alla vigilia della gara aveva espresso dubbi sulla reale necessità di portare set da qualifica vista la lunghezza del tracciato e il rischio che il compound sia efficace solo per metà giro ma Singer confida nel fatto che gli ultimi 3 km del tracciato sono in pratica un infinito rettilineo e calcola che l’azzardo possa essere corso. Mass ferma il cronometro a 6min16.85sec; la risposta di Bellof è devastante; rifila 5 secondi al pilota del Rothmans Team numero 1 fermando il cronometro della sua Porsche numero 2 a 6min11.13sec. Percorre i quasi 23 chilometri e le 160 curve del tracciato ad oltre 200 kmph di media. Un crono che non verrà mai più battuto.
Norbert Singer prima della gara si raccomanda con i suoi alfieri Mass e soprattutto l’indisciplinato Bellof di mantenere la testa della gara e preservare i consumi e la meccanica del mezzo girando intorno ai 6min45sec di media. Bellof annuisce, sorride e appena finito di allacciare, il casco ingaggia con il cronometro la sua personale guerra di trincea. Mass fatica a mantenere il ritmo forsennato del tedesco che dopo due giri ha rifilato 11 secondi alla Porsche numero 1 della coppia Mass/Ickx e un minuto alla terza 956 numero 11 guidata da Fitzpatrick del John Fitzpatrick Racing Team. Al sesto giro il vantaggio di Bellof sul secondo è di 36 secondi. Terzo Keke Rosberg su una 956 del Canon Racing GTi Engineering a 2 minuti e 30 secondi. Arriva il turno di Ickx e Bell, che, al momento del cambio, sembrano molto più allineati alle richieste di Singer e il vantaggio accumulato dalla Porsche 2 di Bellof, svanisce nel turno di guida di Derek Bell.
Bellof riprende in mano la 956 e non accenna a rallentare nemmeno quando ha ricostruito il gap su Jochen Mass e conduce la gara con 30 secondi di vantaggio sul secondo.
Ferma il cronometro a 6min25.91sec.
Poi, cercando ancora una volta di migliorare il suo tempo, perde il controllo della Porsche a oltre 250 kmph nel pressi di Pflanzgarten disintegrandola contro lo barriere. Mass in contatto radio con il team li avverte dell’incidente e del fatto che Bellof è seduto sul guarda rail, sorride e si sbraccia per salutarlo.
Nell’epilogo di questa gara, nel nome scritto eternamente sui libri dei record con tempi inavvicinabili per chiunque, e sulla gara letteralmente disintegrata contro le barriere nell’effimero tentativo di migliorare un tempo già siderale, stanno, a mio modo di vedere, tutta la grandezza e tutti i limiti di Stefan Bellof.

 “Stibbich”

Stefan “Stibbich” Bellof sale sui kart a 16 anni; a 23 anni partecipa alla German National Formula Ford 1600 Championship vincendo al primo colpo. Vince la versione Internazionale della Formula Ford nel 1982. Viene iscritto alle ultime 7 gare della Formula 3 e desta scalpore mettendo in fila tre vittorie. Nello stesso anno viene iscritto alla Formula 2 con il Team Maurer equipaggiato con un potente ma delicato BMW. In F2 attira gli occhi su di sé vincendo la prima gara in assoluto a cui partecipa a Silverstone sotto il diluvio; partito nono, rifila quasi mezzo minuto al secondo classificato. Vince anche la gara successiva a Hockenheim con lo stile che caratterizzerà la sua breve carriera: mettendo in fila Pole e giro veloce. La striscia di due vittorie nelle prime due gare di un debuttante in F2 finisce diretta nei libri degli annali. L’azzardo di Willi Maurer che ha preferito all’esperto Mick Thackwell la giovane promessa tedesca sembra essere ampiamente ripagato.
Nel 1983 viene confermato con il Team Maurer ma il delicato propulsore bavarese lascia troppo spesso a piedi quel tedesco dallo stile troppo esuberante per la delicata meccanica della MM83.
Inoltre la Rothmans ha messo gli occhi su un tedesco da appaiare all’esperto Derek Bell su una Porsche 956 ufficiale; la strada per poter finalmente mostrare alla platea internazionale le doti velocistiche di Bellof sembra finalmente spianata.

 Outro

Spesso, troppo spesso nel raccontare le vicende degli eroi del Motorsport, ci tocca raccontare di eventi tragici; di vite troncate troppo presto; di storie che lasciano l’amaro in bocca per quello che è stato e per tutto quello che sarebbe potuto essere.

Volevo che questa storia fosse diversa.

Volevo che, per una volta, avesse un lieto fine.

Per questo è raccontata a ritroso, partendo dalla sua fine.

Per questo si conclude con l’inizio; con il mio personalissimo lieto fine.

 The fastest man on earth

Stefan Bellof nasce il 20 novembre 1957 a Giessen in Germania.

E’ un bimbo biondo con un sorriso gentile che gli rimarrà per tutta la vita e che sedurrà tutti coloro che lo incontreranno.

E un giorno diventerà l’uomo più veloce del pianeta.

Marco Fumagalli a.k.a. Marloc

MIT’S CORNER: LE NON PAGELLE DI ZANDVOORT

Nella ridente cittadina di Zandv…

Nella “Rimini d’Olanda” si è svolt…

Al culmine dell’estate oland…

Non riesco a cominciare geograficamente questo articolo senza mettermi a ridere all’idea che questo angolo di mondo sia considerato un luogo di vacanza. L’unica cosa che Zandvoort può testimoniare è l’infinita capacità di adattamento che l’homo sapiens è in grado di porre in essere nei meandri evolutivi della sua storia. O forse no? Non è forse più logico pensare che Zandvoort, preteso luogo di vacanza, rappresenti piuttosto la spiegazione del perché ogni anno migliaia e migliaia di olandesi si mettano in auto per percorrere i 1500 km che li separano dalle spiagge italiche dell’adriatico settentrionale?

Va poi considerato che la cittadina che contende a Zandvoort il titolo di “rimini olandese” (non c’è bisogno che chiediate il permesso di ridere) è Wijk-an-Zee, un 30 km più a nord lungo la costa, effettivamente la supera di gran lunga… in bruttezza! grazie alla sua spiaggia (spiaggia?!) circondata dai monocromatici panorami di acciaierie ed altoforni della Tata Steel e che cionondimeno risulta essere ogni anno la sede di uno dei tornei di scacchi più ricchi di storia del mondo degli spingilegna. Torneo che si tiene rigorosamente al chiuso per evitare che i suddetti spingilegna si deprimano guardando il panorama e diano il meglio di sé sulla scacchiera. Che poi “panorama” non mi pare neanche parola granché adatta…

Panorama che viene risparmiato anche ai piloti di Formula 1 grazie alle piccole ma ben piazzate dune che separano il circuito dall’ambiente circostante e consente ai piloti di concentrarsi al meglio tra le sue curve tortuose senza intristirsi. La stessa cosa, cioè evitare di intristirsi, è stata pensata per gli spettatori, sapientemente piazzati in tribune rigorosamente spalle al mare, annaffiati da fiumi di birra e intrattenuti per tutto il tempo dagli instancabili unz-unz-unz di qualche DJ ambulante e passato lì per caso giacché i migliori (può applicarsi il comparativo migliore al sostantivo DJ?)  sono probabilmente impegnati a storpiare le orecchie degli olandesi più furbi, piazzatisi su coste ispaniche o italiche per le loro holidays.

Uno strano circo, insomma, messo in piedi per dissacrare il rito motoristico manco si fosse a Miami o a Las Vegas. C’è da chiedersi cosa sia peggio: pagliacciate come queste o le desertiche rappresentazioni motoristiche della penisola arabica?

Fortunatamente il circuito in quanto tale, pur diverso da quello che ha gloriosamente attraversato diverse ere della Formula 1, mantiene notevoli livelli di interesse dal punto di vista tecnico e se si riesce a evitare di guardare gli spettatori ballare come zombie ci si può concentrare nel vedere i piloti e l’impegno che devono mettere nelle complicate curve del toboga (bella definizione che prendo in prestito da Marc Genè) olandese, quest’anno reso ancora più difficile dal ballerino meteo che il Mare del Nord ha riservato ai nostri eroi.

Ma bando alle ciance e veniamo alle non-pagelle!

VERSTAPPEN

Poteva il nostro eroe esimersi dal dominare, anzi stra-dominare, il Gran Premio di casa? Considerata la festa sugli spalti messa in piedi apposta per lui allora la risposta è: certamente no! Max comincia lo show già il sabato in cui, tra uno scroscio di pioggia e l’altro, decide di dare ai suoi colleghi delle lezioni di guida gratuite su come si conduce una vettura di Formula 1. Ma che dico “lezioni di guida”? un vero e proprio Master! Anzi no, mi spingo fino alla topica formulazione di Doctoral Lecture che Harvard, Oxford e Cambridge scansate! I 6 decimi dati al secondo (un a dir il vero “falloso” Norris) e soprattutto gli 1.3 secondi dati a Perez sono lì a dimostrarlo. E’ stato un vero e proprio piacere vedere la mirabile precisione con cui Max ha affrontato tutte le difficili curve della sua Zandvoort. L’attenzione al dettaglio, che ho spasmodicamente cercato tra le inquadrature di Sky, spiccava ad ogni curva, ad ogni giro e cambiava con implacabile giustapposizione ad ogni configurazione climatica. Semplicemente straordinaria la sua capacità di scovare le microvariazioni di traiettoria necessarie per gestire il mezzo sul bagnato. In questo ambito il confronto con i grandi del passato che sul bagnato (parlo di quelli che ho potuto analizzare io, quindi da Senna in avanti) hanno fatto sfracelli è d’obbligo. Senna era… magico perché del bagnato sembrava infischiarsene. Affrontava il circuito secondo le traiettorie migliori come se fosse sull’asciutto ma con una sensibilità e un controllo talmente alti da spiazzare ogni tentativo di capire come ci riuscisse. Guidava “sulle uova”, sì, ma come nessun altro. Schumacher forse era più “fortunato” di Senna nel senso che sul bagnato il suo peculiare stile di “raddrizzamento” delle curve ne beneficiava parecchio. Non aveva altro da fare che assecondarlo: facile a dirsi… Ad ogni modo, grazie al suo stile, aveva meno da preoccuparsi rispetto alla possibilità di girarsi in ogni dove e poteva concentrarsi sull’efficienza generale del suo giro. Raikkonen è stato il più intuitivo e probabilmente quello che più ha anticipato lo stile di Verstappen giacché “quando aveva voglia” (gli esperti sanno che questa locuzione va anteposta ad ogni valutazione tecnica sul Kimi pilota) intuiva le modifiche da apportare alle traiettorie ideali in favore di quelle che più consentono alla vettura di sviluppare velocità nonostante il poco grip. Vettel aveva in Schumacher non solo il modello sportivo ma anche quello tecnico e sul bagnato cercava di raddrizzare le curve più strette esattamente come il suo idolo (a cominciare dalla straordinaria Monza 2008). Alonso è stato forse il più camaleontico di questa cinquina e, pur non avendo mai amato il bagnato, sapeva certamente come destreggiarsi alternando all’inizio della carriera uno stile a là Schumacher e poi, forse influenzato dalla convivenza con Hamilton, uno più fluido. Hamilton, quantomeno prima di approdare in Mercedes, è quello che più si è avvicinato a Senna come stile cioè cercando sempre le traiettorie migliori (quelle da asciutto per intenderci) contando sulla sua straordinaria sensibilità per stare in pista. E venendo infine a Max troviamo lo stile più “scientifico”, ossia quello di cercare le traiettorie più utili, se così si può dire, per tenere alta la velocità in curva: disegnare traiettorie più larghe nelle curve con leggera pendenza sull’interno o al contrario, studiando il drenaggio sull’interno per anticipare o posticipare a seconda dei casi l’entrata. Stile che deve aver sviluppato sin da ragazzino perché lo ha messo in mostra magistralmente sin dalla straordinaria Brasile 2016 e che da allora mostra ogni volta che Giove Pluvio decide di farsi bello di fronte alle telecamere di Sky (e ammesso e non concesso che la direzione gara glie lo consenta visto che sul bagnato si è via via corso sempre meno). Ad ogni modo anche Zandvoort non ha fatto eccezione. Lo scroscio subito dopo la partenza non l’ha minimamente scalfito e dopo il pit non ha dovuto dannarsi l’anima per rientrare su Perez, girando due secondi (!!!) al giro più veloce: l’aiutino ricevuto nel pit anticipato rispetto a Checo non era davvero necessario. Poi conduce alla grande e in gran controllo girando mediamente tra i 7 e i 9 decimi più veloce degli inseguitori (quorum Perez): supponendo che fosse in controllo è stato semplicemente strepitoso. L’impetuoso scroscio d’acqua nel finale avrebbe dovuto rendere la vita più difficile a Max (anche se sono pronto a scommettere che sulle rain avrebbe girato sui 2.5/3 sec più veloce di chiunque) ma il botto di Zhou ci ha privato, se non del batticuore quantomeno dell’incertezza del risultato finale. Incassa l’ennesima vittoria ostentando, sul podio, uno sguardo un po’ imbarazzato: forse la pensava un po’ come me sull’esagerazione della esaltazione fatta dai suoi connazionali che, con tanto di re, regine, torri e alfieri, gli tributava un inno nazionale cantato in diretta da una tizia in evidente stato di trance idolatra. Si dice che per lui ormai non ci siano più parole però dobbiamo sforzarci di trovarle perché se le merita tutte. E comunque poco male: la matematica sta per dargli il terzo.

ALONSO

Alonso torna ad essere Fernando il magnifico, complice una vettura particolarmente a suo agio nei tortuosi meandri di Zandvoort. Non ho ben capito se Aston abbia portato degli aggiornamenti o sia stato solo un caso, lascio a chi ha più notizie di me dare le opportune valutazioni, ma il fatto che Stroll in Q2 si sia preso 7 decimi e non abbia fatto Q3 (anche al netto del mio personalissimo e opinabilissimo pallino che il suo infortunio ai polsi, in particolare quello sinistro, rimediato a inizio stagione lo stia ancora condizionando) e che in gara non sia stato neanche lontanamente al livello del nostro la dice lunga sulla prestazione di Fernando. E tutto questo con un muretto che non si è mostrato all’altezza in occasione dello scroscio iniziale (ha ritardato non poco il primo pit) sia in occasione di quello prima dello scroscio finale ove un pasticcio con la pistola gli ha fatto perdere secondi preziosi. Bellissimo sia il doppio sorpasso fatto nel primo giro a Russell ed Albon in curva 3 (nonché al giro dopo su Norris sotto il diluvio) e il suo duello finale con Max: per un paio di giri c’è stata l’impressione che Fernando potesse provare a infastidire davvero Max e stavolta credo ci abbia provato ma non appena Max ha deciso di spingere non c’è stato niente da fare. Comunque il titolo di migliore degli altri è strameritato.

GASLY

Il buon Pierre, dopo un inizio di stagione un po’ incerto, sembra che finalmente stia ritrovando la forma che gli conoscevamo. Ieri è stato MVP di giornata non tanto e non soltanto per il podio, comunque risultato eccezionale, quanto per il modo in cui l’ha conquistato. Ha cominciato il sabato mettendo a distanza siderale lo smarrito compagno di squadra e poi domenica, complice una buona partenza e l’azzeccata scelta di pittare subito che l’ha issato ai piani alti. E poi, in questi piani alti, ci è rimasto sfoderando un ritmo eccezionale, perché totalmente inatteso da una Alpine, e una grinta altrettanto notevole in occasione dei duelli con Sainz. Splendido infine negli ultimi giri quando, consapevole della penalità di 5 sec inflitta a Perez appena davanti a lui, l’ha tenuto tranquillamente sui due secondi beneficiando infine del terzo posto sul podio. Ribadisco il ritmo notevole espresso in gara che è stato del tutto simile a quello di Perez e Alonso: in una fase girava con tempi secondi solo a Max (tipo: Max in 15.2 e lui in 15.8 tutti gli altri sopra il 16).

PEREZ

Dopo il semi-incoraggiante GP di Spa Checo torna a sprofondare nell’anonimato. 1.3 sec presi in qualifica, peraltro in un circuito da 1.11, sono un’infinità e non penso che le mutevoli condizioni del clima durante le qualifiche siano sufficienti a giustificarlo. Con una RBR non puoi finire 7° in qualifica, suvvia! A inizio gara si è dimostrato il più sagace là davanti pittando immediatamente e potendo così beneficiare di un bel regalo da parte del clima. Ma non si è meritato nulla perché dopo girava praticamente con lo stesso ritmo di Zhou (che in quel momento era secondo) cioè quasi 2 secondi più lento di Verstappen. Si è già detto che il regalo a Max con il pit anticipato non era necessario: Checo sarebbe stato mangiato senza problemi. Il ritmo successivo è stato di 6/7 decimi, e oltre, più lento di quello di Max il che, sempre considerando la pista così corta, è veramente scadente. Ciononostante, aveva il secondo posto alla portata ma quando è arrivato lo scroscio nell’ultima parte di gara prima si è girato alla 1, manco fosse un rookie alle prime armi, e poi si è stampato sul muretto di entrata ai box che non l’ha fatto frenare abbastanza per rientrare nello speed limit della corsia box e incorrendo così nella fatale penalità di 5 secondi che lo ha privato del podio. E a questo proposito se è giusto riconoscere i grandi meriti di Gasly nel tenerlo nella finestra e altrettanto giusto riconoscere i demeriti di Checo che negli ultimi giri avrebbe potuto tenersi alle caviglie di Alonso ma non l’ha fatto (o non c’è riuscito…). Per sua fortuna, ammesso che si possa parlare di fortuna, Ricciardo si è infortunato e il rischio di sostituzione in corso di stagione si allontana. Tuttavia, gare così insipide continueranno a far starnutire il vecchio Helmut…

SAINZ

Bravo Carlos! Con la SF-23 vista a Zandvoort non c’era da scherzare (citofonare Leclerc) e lui ha saputo domarla quanto basta per portarsi a casa un risultato che per come si erano messe le cose nel week end non sembrava affatto alla sua portata. Va detto che le due Mercedes, le due McLaren e Albon hanno fatto di tutto per aiutarlo, con strategie ridicole che lo hanno avvantaggiato. Ma va anche detto che Sainz è rimasto attaccato alla gara con i denti anche a dispetto di una vettura ben poco performante. Bello il duello con Gasly, alla fine perso ma non senza combattere, e bravissimo anche alla fine a resistere ad un Hamilton che ne aveva decisamente di più. Se non altro un buon auspicio in vista di Monza: non si sa come andrà la Ferrari in quel circuito (ormai è un lancio di dadi ogni volta) ma almeno sappiamo che Carlos non si tirerà indietro. Solido!

E ora raggruppiamo tutti i delusi.

HAMILTON-NORRIS-ALBON-PIASTRI (e RUSSELL)

Perché li raggruppo? Perché i loro muretti ne hanno combinata una più di Bertoldo vanificando tutte le loro ambizioni, che pure c’erano, per questo GP. Cominciamo da Albon che è stato incredibilmente lasciato fuori durante il primo scroscio a prendersi della gran acqua oltre che 5 secondi e più al giro da quelli che avevano messo le Intermedie. Ma che senso ha avuto? Vero che la pista aveva dimostrato di asciugarsi in fretta già nei giorni precedenti ma onestamente, in un circuito così corto, la scommessa non aveva alcun senso. Stesso identico discorso per Piastri. Entrambi, per quanto poi si siano dannati per cercare di raddrizzare la gara non hanno potuto far altro che accontentarsi delle posizioni di rincalzo. Le comiche si sono viste ai box Mercedes che prima non capiscono di dover pittare subito, mettendo entrambi i piloti nelle ultime posizioni, e poi mettono le bianche al povero Russell costringendolo a correre come un nonnetto in gita domenicale. Di solito si dice “eh ma sai, col senno di poi…” e no! Qui era ovvio anche per un divanista come il sottoscritto che le bianche, con quel clima, non avevano alcun senso! Hamilton ha fatto comunque una buona gara mostrando però una certa reticenza in fase di sorpasso: non si è preso mai nessun rischio in quella lunga fase di gara dietro a Norris – vero che questi aveva DRS da Tsunoda ma l’Hamilton del 2012 (per citare un’annata a caso pre-Mercedes) qualcosa in più l’avrebbe tentato di sicuro. Basta solo dire che con il ritmo che aveva se avesse evitato di passare tutto il tempo che ha passato dietro al duo Tsunoda-Norris il podio era certamente alla sua portata (anche al netto dell’eccellente Gasly di oggi). Discorso solo leggermente a parte merita Norris il quale, dopo la buona qualifica, aveva giustamente ambizioni da podio ma tra una partenza non ottimale, il pit iniziale ritardato, e il non essere stato capace di superare Tsunoda per un sacco di giri gli fa meritare un votaccio. Mah!

NOTE DI MERITO

Il già citato Tsunoda, pur lento, le ha provate tutte per provare a finire a punti e per un bel po’ c’era riuscito contenendo Norris e Hamilton per quasi metà gara. Scommette sulla durata delle rosse un po’ troppo.

Liam Lawson debutta in tutta fretta a causa dell’infortunio di Ricciardo. Usa la qualifica per prendere le misure alla vettura e finisce, non inaspettatamente, ultimo. Tuttavia, la gara non solo la porta a termine ma riesce a stare nel gruppone là dietro con una certa facilità, finisce davanti a Tsunoda (grazie alla penalità di quest’ultimo a onor del vero ma intanto è davanti) e, soprattutto, in una gara così complicata non commette nessun errore. Bravo!

NOTE DI DEMERITO

Sargeant e Zhou per i botti. Vero che la gara è stata molto complicata ma non è bello per il proprio futuro far vedere che non si riesce a gestirla. Ma se il botto di Zhou è in qualche modo giustificabile dalle condizioni proibitive (è uscito dov’è uscito Perez) molto meno lo è quello di Sargeant, parso un po’ gratuito, che potrebbe rappresentare l’ultimo chiodo sulla sua bara sportiva. Peccato per lui perché a Spa non era andato poi così male e in qualifica aveva colto un’inaspettata Q3 che poteva far ben sperare.

Leclerc si è ritrovato una Ferrari impazzita in quel di Zandvoort e forse non meriterebbe di stare nelle note di demerito ma prima il botto in qualifica e poi i pasticci in gara che hanno portato al danneggiamento della vettura sono comunque figli della sua frustrazione. A parziale giustificazione va detto che il comportamento erratico dell’anteriore della sua vettura era così intenso da essere visibile ad occhio nudo (quantomeno al mio) ben più di quello del suo compagno di squadra: di chi sarà la responsabilità? Sua che ha chiesto un certo tipo di assetto? Del suo ingegnere che non ha saputo gestire e capire i dati? Sta di fatto che Monza non si presenta certo sotto i migliori auspici.

NOTE DI ANONIMATO

Ocon, nonostante il punto raggranellato, fa un week end distante anni luce dal compagno di squadra e considerato il garone che aveva fatto a Spa è tutto dire. Qui non si è mai visto e conferma che la costanza non è certo il suo miglior pregio.

Stroll dovrebbe stare nelle note di demerito, visto il risultato del suo teammate ma siccome non si è mai visto (magari stava pensando al Roland Garros!) gli do il beneficio d’inventario dell’anonimato. Anonimato in cui sprofondano sempre più le Haas con Magnussen che nonostante la perfetta chiamata del primo giro che lo issa in 7° posizione passa i successivi giri a farsi sorpassare da chiunque.

Infine: qualcuno ha visto Bottas? Corre ancora?

 

Ci vediamo a Monza!

 

Metrodoro il Teorematico

BASTIAN CONTRARIO: LA PROVA DEL NOVE

Singolare che il mio ultimo “Bastian contrario” si intitolasse “Piove sul bagnato”, considerando quanto abbiamo visto domenica scorsa in Olanda. Ora, sebbene ogni GP è scontato, sia per come finisce per Red Bull e sia per come finisce per Ferrari, mi tocca comunque diversificare, altrimenti mi mandate a quel paese ed il direttore non mi fa passare nemmeno una riga.

Ad ogni modo ci pensa il buon Max a titillare la mia fantasia, con quelle nove dita protese verso il cielo. Godi fin che puoi fanciullo, perché questo è il tuo momento e, indipendentemente a come la Red Bull sia arrivata ad avere questa macchina da guerra chiamata RB19, è anche vero che l’olandese si fa trovare, al ritorno dalle vacanze e davanti al pubblico di casa sua, preparato ed in uno stato di forma eccezionale. Per lui la prova del nove è superata a pieni voti. Il campione dei bibitari, raggiunge le sue nove vittorie di fila, eguagliando così il record di Vettel che, guarda caso, anche il tedesco le ha ottenute proprio con Red Bull Racing. Resta solo da capire cosa capiterà al buon Max, quando e se lascerà la sua attuale squadra e soprattutto se vorrà continuare ancora a correre. Farà la fine di Vettel oppure scriverà nuovamente pagine di storia? Inutile starci a pensare ora, il presente è qui ed ora e questo ci dice che la maturità e la fiducia acquisita da Verstappen è impressionante. Anche in quelle difficili condizioni e soprattutto quando il compagno gli ha fregato la prima posizione, fermandosi prima di tutti, non ha battuto ciglio facendo la sua gara recuperando giri su giri… anche perché, nel frattempo, c’ha pensato anche la sua squadra a far capire a Perez chi è che decide le strategie. Posso tranquillamente sorvolare sulla sterile polemica “della macchina diversa” tra i due alfieri bibitari eppure (c’è sempre il trucco!), non mi si venga a dire che c’è equità di comportamento da parte della squadra nei riguardi dei due piloti, perché la Red Bull è dei Verstappen’s.  Mi si conceda almeno l’ingenuità di chiedere che motivo c’era di comportarsi in questo modo così eclatante, considerando il passo di Max e, soprattutto, il suo vantaggio in classifica? Beh certo, non volevano rovinare la festa del campione davanti al suo pubblico, eppure dubito che Verstappen non sarebbe riuscito comunque a raggiungerlo e superarlo… e meno male che “i nostri piloti sono liberi di gareggiare tra loro” sigh!

Chi ha dato prova di non temere nessun esame è stato l’immenso Alonso, il quale, combattendo contro le avversità meteorologiche, i casini che sono successi in pista, contro la sua stessa squadra e contro l’irraggiungibile campione olandese, ha dato prova per l’ennesima volta di cosa è capace. Aston poco prima della pausa estiva, sembrava aver perso la bussola tecnica, passando dall’andare sempre a podio a scenderci definitivamente. Evidentemente la scuderia di Stroll sr, non ha né il budget né il reparto tecnico di Red Bull e questo è chiaro. Evidentemente Dan Fallows prima dell’estate avrà fatto il punto della situazione e per fortuna gli aggiornamenti portati hanno funzionato a dovere. Date una macchina buona allo spagnolo e lui ne farà un’arma affilatissima. La verità è che Aston Martin, prendendo Alonso, ha fatto tredici come si suol dire, perché ci possiamo girare attorno quanto volete eppure se volete capire dove si troverebbe la squadra inglese realmente basta guardare il compagno. Paragone impietoso direte voi, chi se ne frega dico io! Lance ha deciso di correre e confrontarsi con i migliori al mondo, quindi si assuma le sue responsabilità e si rimbocchi le maniche se ancora gliene sono rimaste, anche perché fino all’anno scorso, che aveva dall’altra parte del box il campione tedesco, tutta questa differenza così marcata tra i due non c’era. Non so Vettel cosa sarebbe riuscito a fare con questa AMR23, dubito fortemente che avrebbe espresso quello che sta facendo vedere Fernando e, soprattutto, rimettete nel cassetto la malsana idea che se l’attuale monoposto va forte è anche grazie al suo apporto, perché queste sono favole per tifosi tossici. Fernando Alonso, a quarantadue anni suonati, che emerge da quelle nuvole d’acqua e da lezioni di guida a tre quarti di griglia, “first the man than machine” si dice e così è stato. Un pilota, che fino a quando gli batterà il cuore in petto, lotterà fino alla fine senza mai arrendersi… si dia a Cesare quel che è di Cesare e fatemi celebrare una leggenda vivente, che ha raccolto molto meno (anche e soprattutto per colpa delle sue scelte), rispetto al talento che il Padreterno gli ha regalato! L’unico limite di Nando è l’età, allora godiamocelo finché avremo la fortuna di poterlo vedere in pista.

Chi la prova del nove non l’ha superata ed anzi, dovrebbe ritornare a calcoli più elementari, è la Ferrari. Domanda: cosa sarebbe successo, cosa si sarebbe scritto, cosa diavolo si sarebbe detto, se al muretto domenica scorsa, mentre i meccanici avevano le ruote invisibili accanto a sé, ci fosse stato Binotto? Chiedo. No perché ho letto che queste cose non le avremmo più viste e che monsieur Vasseur, al comando del timone, avrebbe dato la sferzata necessaria per cambiare la situazione. Ciò che trovo aberrante, e comico nel contempo, è che fino all’anno scorso quando succedeva un problema di qualunque sorta, la colpa era di Binotto, mentre ieri la colpa era della squadra. Ci sarebbe da ridere se non fosse che la situazione è davvero tragica. Non mi si venga a dire che Frederic è in squadra da poco, perché sebbene per sfornare una macchina nuova ci vuole un anno intero (per non parlare di creare una squadra vincente!), è anche vero che certe problematiche si possono e si devono risolvere al momento. LeClerc pare abbia chiamato in ritardo il suo rientro (il monegasco, non ha fatto altro che fare quello che ha fatto Perez, anticipando tutti e se fosse riuscito nell’intento si sarebbe trovato in testa o quantomeno nelle prime posizioni) e posso anche ingollare questa scusa, solo, mi chiedo al muretto e quindi ai box, dove vivevano nel momento che si abbatteva Giove pluvio sul circuito… nelle assolate Maldive?! Possibile che non abbiano saputo leggere la realtà e che quindi sarebbe stato inevitabile che i piloti sarebbero rientrati per mettere gomme da bagnato? Non ci sono scuse che reggano, non ci sono giustificazioni, è un dato di fatto che l’attuale corso, voluto dal duo Elkann Vigna, è completamente fallace; è un dato di fatto che con la dipartita di Binotto e dei tecnici che l’hanno seguito (volontariamente… un motivo ci sarà!) le cose sono palesemente peggiorate. Come poteva essere altrimenti? Una squadra completamente allo sbando, schiacciata dalla pressione mediatica sempre più crescente e che durante le prove libere ha palesato tutto il suo marasma e ci siamo dovuti sorbire anche la panzana che se avevano difficoltà era perché stavano provando degli assetti per Monza… a Zandvoort! Non mi bastano tre Bastian Contrario per esprimere tutto il disappunto che ho nei riguardi di quello che stanno facendo alla mia scuderia del cuore e, credo, servirebbe comunque a poco, perché tanto chi comanda se ne frega altamente del disappunto degli appassionati, altrimenti avrebbe agito diversamente. Intanto si va a Monza con il potenziale annuncio del rinnovo di Charles il quale, al netto degli errori che commette (se sei costretto a spingere, le probabilità di sbagliare aumentano), non gli rimane che spillare più soldi possibili, come hanno fatto tutti prima di lui… Ferrari non sarà in grado di superare la prova del nove, almeno quella di contare i soldi da dare ai campioni che trita lo sa fare eccome

 

Vito Quaranta