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LA FORMULA UNO AI TEMPI DELLA PASQUA

Oggi è la Santa Pasqua. Il Gran Varietà religioso comincerà alle ore 9 e 30. Il Cappellano Charlie vi farà sapere come il mondo libero riuscirà a far fuori il comunismo con l’aiuto di Dio e di alcuni Marines (semi-cit)

La Formula Uno ha corso nel giorno di Pasqua? Domanda retorica, certo che l’ha fatto. E per ben 16 volte. E tutti noi ce lo ricordiamo piuttosto bene già che, come noto, ai tempi eravamo decisamente più avidi di assistervi di quanto lo siamo ora. Andiamo quindi con ordine a rivivere queste gare:

RIO 1985

Nel GP di esordio della stagione vittoria di Prost davanti al compianto Michele. La 156/85 è nata bene e si vede, come andrà a finire purtroppo però ce lo ricordiamo tutti. La foto commemora l’ultimo GP corso da Arnoux per la Ferrari prima del suo appiedamento dovuto ad inesistenti problemi fisici usati come alibi per non far trapelare la vera ragione. Che è tutt’oggi meglio lasciar non trapelata

RIO 1988

Altra Pasqua Carioca 3 anni dopo. Esordisce la Miglior Mclaren della Storia, la Mp4/4. Senna parte dai box col muletto dopo un problema in griglia, è ultimo ma in meno di 30 giri si issa al secondo posto per inseguire Prost quando gli mostrano la bandiera nera per non aver rispettato la procedura del via che impediva di usare la spare car in sostituzione della macchina di gara. Era dai tempi di Kyalami 1983 (Prost/Renault) che non si vedeva una tale dimostrazione di forza in pista. Il resto della stagione mostrerà largamente il perchè

RIO 1989

Altra Pasqua brasileira, stessa spiaggia e stesso mare, per l’edizione dell’anno successivo. Con indimenticabile, epico trionfo del Leone Mansell all’esordio sulla Ferrari di Barnard che, miracolosamente, dopo non esser mai riuscita a far 10 giri di fila dalla presentazione al weekend di gara tenne invece botta tutto il GP regalandoci una meravigliosa Pasqua Rossa. In foto il crash del via tra Berger e Senna, col primo al suo ultimo GP pre-Tamburello e che quindi il piede lo teneva ancora giù

DONINGTON 1993

Forse non fu un caso che il suo miglior GP si corse il giorno di Pasqua

BUENOS AIRES 1996

Pasqua argentina 3 anni dopo su quello che rimaneva del meraviglioso Autodromo utilizzato fino al 1981. Quel mondiale fu un monologo di Hill e della sua Williams, nella gara in questione mi ricordo il Kaiser che remava a ridosso del podio lottando con le Benetton prima del consueto guasto al cambio scatolato di Barnard che perseguitò sia lui che Irvine tutto l’anno

INTERLAGOS 1997

Nel 1997 torniamo a festeggiare la Pasqua in Brasile nel giorno in cui il Kaiser partì in testa per poi affondare mestamente fino al quinto posto finale complici delle Goodyear assolutamente inadeguate. Primo acuto della Bridgestone, a podio con la Ligier di Panis, che dall’anno dopo avrebbero dominato lo Sport fino al 2005 (ottima l’intuizione Ferrari di formare una partnership coi Nipponici che fecero di Maranello il loro centro di ricerca e sviluppo)

BUENOS AIRES 1998

Santa Pasqua 1998 in Argentina con trionfo epocale del Kaiser che reagisce così ad un difficilissimo avvio di stagione tra affidabilità (Australia) e gomme Goodyear di nuovo inadeguate (Brasile). Vittoria scacciacrisi di forza sul duo Mclaren che pareva semplicemente imbattibile

 

SILVERSTONE 2000

 

Trionfo pasquale di DC in casa a Silverstone nel 2000. Il Kaiser corse tutto il weekend col braccino scansando i fantasmi dell’anno prima ed alla fine della fiera fu tutto sommato soddisfatto dell’anonimo terzo posto finale

IMOLA 2001

Prima vittoria di Ralf in F1 nel giorno in cui il Kaiser si ritira nel GP di casa per un problema tecnico. Guardando indietro fu incredibile come Williams e BMW dissiparono un potenziale così grande negli anni a venire. Specie nel 2003 erano di gran lunga il Team migliore in pista

INTERLAGOS 2002

Esordio vincente della F2002 il giorno di Pasqua in Brasile con vittoria del Kaiser in volata sul fratello Ralf. Erano ancora i tempi nei quali alcuni Teams facevano debuttare le monoposto nuove a stagione già iniziata, a ripensarci ora ha un che di romantico mentre allora scancheravamo pesantemente per via di questa prassi. Michael corse sull’unico esemplare disponibile quel weekend

IMOLA 2003

Sul Santerno nel giorno di Pasqua 2003 la vittoria più triste della carriera del Kaiser la cui madre si spense poche ore prima della gara. E’ ancora vivo il ricordo di Todt che presenziò alla conferenza stampa al posto di Michael

SEPANG 2007

Pasqua Malese nel 2007 col primo trionfo di Alonso in Mclaren davanti ad Hamilton. Raikkonen dopo la vittoria all’esordio in Ferrari a Melbourne arranca fino ad un terzo posto finale dovuto alla cautela usata per un V8 eufemisticamente scricchiolante come affidabilità

SEPANG 2008

Vittoria di forza di Raikkonen nel giorno in cui Massa, insabbiandosi, incasella il secondo zero di fila dopo quello di Melbourne sempre dovuto ad un suo errore di guida. Un doppio 0 che pesò ben più di Singapore ed Interlagos

SEPANG 2010

Lo scatto imperioso di Sebestemmio al via lo issa dal terzo al primo posto che, fedele al suo stile, manterrà agevolmente fino alla bandiera a scacchi. Weekend difficile per la Ferrari

SHANGAI 2014 (E NON SAKHIR 2014)

Una gara così frizzante che pareva un film di Robert Wiene (Hamilton primo nel nulla cosmico, Nico secondo in “rimonta” (sic) contro le altre GP2)

SAKHIR 2017

Chiudiamo la carrellata dei GP pasquali sempre in Bahrein con una delle più belle vittorie del nostro Sebestemmio in Rosso. Una combinazione perfetta di piede e testa gli consentì di gestire al meglio le gomme per imporsi di forza sul duo AMG

 

Buona Pasqua 2023 a tutti!

 

LA STORIA DELLA FERRARI 312T: 1977 (QUINTA PARTE)

La stagione europea non conosce soste. Il giovedì seguente al GP di Gran Bretagna le squadre sono a Hockenheim per due giorni di prove libere organizzate dalla Goodyear che porta gomme nuove. Niki Lauda è nettamente il più veloce con 8 decimi di vantaggio su Watson, Laffite e Hunt. Jabouille è invece in grave difficoltà con la Renault, gira 6 secondi più lento e rompe l’ennesima turbina. Il risultato deludente convince i vertici della squadra a non partecipare al GP di Germania della settimana seguente per cercare di risolvere i problemi evidenziatisi.

Come si temeva da tempo, il Nürburgring non ospiterà il GP di Germania. I piloti hanno firmato un documento in cui hanno deciso all’unanimità di non correre sul Nordschleife nel 1977. Le pressioni per migliorare la sicurezza dello storico tracciato, rafforzatesi in seguito all’incidente di Lauda, costringono gli organizzatori ad affrontare una ristrutturazione tale da dover interrompere le corse fino a data da destinarsi per costruire un nuovo circuito. Si passa ancora una volta da un tracciato storico da Gran Premio a una pista piatta e “senz’anima” come Hockenheim che consente all’Automobile Club von Deutschland di organizzare un GP con meno problemi e forse maggior guadagno.

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Questa volta il numero di partecipanti si riduce a 30 per cui non c’è bisogno di sessioni di “scrematura” preventiva. James Hunt ha ritrovato una monoposto competitiva e ora sente di poter difendere il titolo mondiale: in fondo mancano ancora 7 gare al termine. Prima di andare a Hockenheim ha ospitato l’amico Lauda nella sua villa di Marbella, in Spagna.

Mass ha conquistato un buon quarto posto a Silverstone ma ha subìto la velocità di Villeneuve che lo ha tenuto dietro con la vecchia M23.

La McLaren aveva dato la macchina al canadese perché correndo in Inghilterra era più semplice gestire tre monoposto, ma ora si torna alle classiche due vetture ufficiali (più il muletto) e Villeneuve torna in Canada dove, oltre al campionato di F.Atlantic, disputa anche il Can-Am Challenge con la mediocre Wolf Dallara motorizzata Chevrolet, sperando di poter tornare presto sulla M23.

La crisi della Tyrrell sembra irreversibile. Le P34 non stanno in pista e non sono affidabili. Difficile fare peggio.

sl
Gunnar Nilsson and Mario Andretti discuss with gestures in Lotus pits

Colin Chapman deve riorganizzare la squadra dopo la partenza di Southgate. Le difficoltà di assetto patite a Silverstone e la rottura di Andretti hanno lasciato l’amaro in bocca. A questo si aggiungono gli ordini di scuderia che, facendo restare Nilsson dietro al suo capo-squadra che aveva problemi di motore, ha fatto perdere tempo prezioso allo svedese il quale, se avesse avuto via libera qualche giro prima, avrebbe potuto superare Lauda e conquistare il secondo posto.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: John Watson cleans the visor on his helmet during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Le indagini post-gara hanno stabilito che l’ultimo ritiro di Watson è stato causato da un guasto al sistema di pescaggio della benzina che questa volta era presente in abbondanza nei serbatoi della BT45B. Riuscirà lo sfortunato irlandese a ottenere quella vittoria che ormai gli sfugge da fin troppo tempo? Stuck è intenzionato a ben figurare correndo per la prima volta con una monoposto competitiva davanti al proprio pubblico.

Later third placed local hero Hans-Joachim Stuck sits in a Brabham-Alfa Romeo, German GP Hockenheim 1977
Le pilote brésilien Alex Ribeiro pendant le Grand Prix d’Allemagne de Formule 1 sur le circuit d’Hockenheim, en août 1977, Allemagne. (Photo by Paolo KOCH/Gamma-Rapho via Getty Images)

Continua la ricerca di denaro da parte di Max Mosley e Robin Herd. Questa volta la March di Ian Scheckter porta i colori della Sportsman Lager, una birra prodotta in Sudafrica, per aggirare il divieto degli sponsor tabaccai. Ribeiro invece mantiene inspiegabilmente lo sponsor di sigarette Hollywood.

Il secondo posto ottenuto inaspettatamente da Lauda a Silverstone rilancia le aspirazioni iridate della Ferrari. Per cercare di sfruttare al meglio i lunghi rettilinei di Hockenheim, a Maranello hanno costruito dei cunei che, collegati tra loro con un alettoncino, dovrebbero migliorare la resa aerodinamica della T2. La soluzione viene però abbandonata dopo le prove.

Tony Southgate si è già messo al lavoro modificando la Shadow DN8/4A. La monoposto (alla sua terza evoluzione) ha una nuova veste aerodinamica, il radiatore spostato sul muso e fiancate molto basse. Essendo stata completata all’ultimo momento, Jones la prova brevemente per vedere che tutto funzioni ma sia lui che Patrese corrono con le vetture usate finora.

Nessuna novità in casa Surtees con Schuppan ancora a fianco di Brambilla.

Portrait du pilote italien Vittorio Brambilla pendant le Grand Prix d’Allemagne de Formule 1 sur le circuit d’Hockenheim, en août 1977, Allemagne. (Photo by Paolo KOCH/Gamma-Rapho via Getty Images)
Later second placed Jody Scheckter, German GP Hockenheim 1977

La Wolf deve reagire per non compromettere quanto di buono ha fatto vedere nei primi GP. Scheckter è ancora secondo nel Mondiale ma la squadra è stata scavalcata dalla McLaren. Lasciata la WR1 a Reading, il sudafricano torna sulla WR2.

mt
Formel 1, Grand Prix Deutschland 1977, Hockenheimring, 31.07.1977 Boxengasse, Ensign-Box Morris Nunn, Ensign Clay Regazzoni www.hoch-zwei.net , copyright: HOCH ZWEI / Ronco (Photo by Hoch Zwei/Corbis via Getty Images)

Clay Regazzoni ha subìto per la prima volta in carriera l’onta della mancata qualificazione addebitandola a un motore fiacco. Adesso però deve fare i conti anche con l’arrembante compagno di squadra francese.

TGC3
Keegan in his Hesketh with RizLa+ tobacco rolling papers and Penthouse Magazine as striking sponsors

 

La Hesketh torna a schierare due macchine, la 308E/4 per Keegan e la 308E/2 per Rebaque che ha trovato altri soldi per continuare con la monoposto usata da Ertl fino a Digione.

Le pilote français Jacques Laffite pendant le Grand Prix d’Allemagne de Formule 1 sur le circuit d’Hockenheim, en août 1977, Allemagne. (Photo by Paolo KOCH/Gamma-Rapho via Getty Images)

Nuova vettura per Laffite, la JS7/03, la prima costruita da zero (anche perché non c’è una terza JS5 da usare come base).

Le pilote français Jacques Laffite pendant le Grand Prix d’Allemagne de Formule 1 sur le circuit d’Hockenheim, en août 1977, Allemagne. (Photo by Paolo KOCH/Gamma-Rapho via Getty Images)

Patrick Neve continua col casco bianco. La scuderia di Frank Williams è in grande crisi tecnica nonostante i soldi degli arabi.

Bildnummer: 05756199 Datum: 31.07.1977 Copyright: imago/Crash Media Group
Emerson Fittipaldi (Brasilien / Copersucar Ford) in seinem Boliden – PUBLICATIONxNOTxINxUK; Vdia, quer, Rennwagen, Freisteller Großer Preis von Deutschland 1977, Formel 1 WM, F1, F, GP Hockenheim Hockenheimring Motorsport Grand Prix Herren Einzel Einzelbild Aktion Personen Objekte
Image number 05756199 date 31 07 1977 Copyright imago Crash Media Group Emerson Fittipaldi Brazil Copersucar Ford in his Bolide PUBLICATIONxNOTxINxUK Vdia horizontal racing car cut out grand Prize from Germany 1977 Formula 1 World Cup F1 F GP Hockenheim Hockenheim Ring motor aviation Grand Prix men Singles Single Action shot Human Beings Objects

Fittipaldi ha costruito il secondo esemplare della F5 e prova anche un muso con il cuneo centrale più largo.

Sulla M23 di Brett Lunger viene eliminato lo sponsor tabaccaio (in ossequio alla legge tedesca), sostituito dal logo del Liggett Group, proprietario dei marchi Chesterfield, L&M e Lark.

Hans Heyer (D), ATS Racing Team.. 1977 Formula One World Championship.

In mancanza di risultati Günther Schmidt schiera entrambe le sue Penske noleggiando il muletto di Jarier ad Hans Heyer, popolarissimo Campione Europeo Turismo e del DRM con la Ford Escort RS ufficiale preparata dalla Zakspeed. Il 34enne tedesco, sempre col cappello tirolese in testa, porta la sponsorizzazione della Mampe, azienda berlinese produttrice di liquori. Jarier continua con la sua solita monoposto.

Il “banchiere di Madrid” Emilio de Villota ritenta la qualificazione dopo averla mancata a Silverstone.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Arturo Merzario, March 761B Ford during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Anche Arturo Merzario è in cerca di riscatto dopo il ritiro causato dall’ennesima rottura di un semiasse quando si trovava alle spalle di Stuck, poi finito quinto.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Teddy Pilette during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Quarto cambio di pilota alla BRM. Questa volta è il belga Teddy Pilette che tenta di portare la P207 sulla griglia di partenza. Il 35enne figlio di André è stato Campione Europeo di Formula 5000 nel 1973 e nel 1975. La scuderia di Louis Stanley perde anche l’appoggio della Rotary Watches.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Bernie Ecclestone and John Watson during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Il tracciato è lo stesso sul quale si è corso nel 1970, con due lunghi tratti quasi rettilinei spezzati da due varianti veloci  e collegati da un lungo curvone a quasi 180 gradi a cui fa seguito il “Motodrom”, una zona lenta che si snoda all’interno di in un vero e proprio stadio che può accogliere oltre 150mila spettatori. Ecclestone, in quanto rappresentante della FOCA, raggiunge un accordo per correre nel Baden-Württemberg anche l’anno prossimo pagando il noleggio dell’impianto alla proprietà e occupandosi personalmente di tutto il resto, dai biglietti alla pubblicità ai diritti televisivi, scavalcando così qualsiasi autorità sportiva.

James Hunt (GB), Marlboro Team McLaren M26.. 1977 Formula One World Championship.

La prima giornata di prove si disputa sotto un cielo grigio e i migliori tempi vengono ottenuti nei 90 minuti del mattino perché poi comincia a piovere. Hunt continua nel suo momento positivo e stabilisce la migliore prestazione davanti ai 12 cilindri di Laffite, Watson, Lauda e Reutemann.

Jochen Mass’ recovered McLaren-Cosworth

Mass, a differenza del suo compagno di squadra, fatica molto con la M26 e il sabato mattina esce di pista danneggiando il retrotreno, dovendo così concludere le qualifiche con la M23 mentre i meccanici cercano di fare il possibile per riparare la vettura da gara.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Jody Scheckter, Wolf WR1 Ford during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Nell’ora decisiva del sabato tutti attendono l’ennesima grande prestazione di Watson che rimane in testa fino al pochi minuti dallo scadere quando Scheckter sfrutta al meglio la scia del fratello Ian e sorprende i cronometristi mettendo a segno la sua seconda pole position, la prima per la Wolf.

Watson parte in prima fila per la quinta volta negli ultimi 6 GP, con un distacco inferiore ai 3 decimi da Scheckter e regola Lauda (a suo agio con la T2 sul veloce), Hunt che non è riuscito a migliorare il tempo del venerdì, Stuck, Laffite, Andretti e Reutemann. Sorprende in negativo la qualifica della Lotus, peggiore di quella di Silverstone, a dimostrazione delle difficoltà di far viaggiare veloce la 78 che paga oltre 10 kmh sul dritto a Wolf, Brabham e Ferrari.

Chi invece sbalordisce tutti è Tambay il quale, alla sua seconda vera qualifica, ottiene l’11° tempo con la Ensign (davanti all’ottimo Jarier con l’ATS-Penske) e rifila quasi 2 secondi di distacco a Regazzoni. La velocità di punta del francese è identica a quella delle Ferrari (oltre 290 kmh).

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Hector Rebaque, Hesketh 308E Ford during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Rimangono esclusi dai 24 ammessi alla partenza Neve, de Villota, Heyer, Fittipaldi (per la seconda volta in carriera), Merzario alle prese con problemi meccanici e Pilette tristemente ultimo con la BRM. Torna in griglia Ribeiro dopo 6 mancate qualificazioni consecutive e riesce finalmente a debuttare Rebaque, 24° con la Hesketh al suo quarto tentativo.

La domenica mattina un carro attrezzi impegnato a liberare la pista dalle auto incidentate nelle gare di contorno mette fuori uso involontariamente il semaforo di partenza per cui si torna a dare il via con la tradizionale bandiera nazionale.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Jody Scheckter, Wolf WR1 Ford (#20), and John Watson, Brabham BT45B Alfa Romeo (#7), lined up on the grid during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

La partenza di Scheckter è perfetta e giunge alla prima curva con un rassicurante vantaggio su Watson, Hunt, Lauda, Laffite, Stuck, Reutemann e Andretti.

Formel 1, Grand Prix Deutschland 1977, Hockenheimring, 31.07.1977
Start
Jody Scheckter, Wolf-Ford WR2
John Watson, Brabham-Alfa Romeo BT45B
James Hunt, McLaren-Ford M26
Niki Lauda, Ferrari 312T2
Jacques Laffite, Ligier-Matra JS7
Carlos Reutemann, Ferrari 312T2
Hans-Joachim Stuck, Brabham-Alfa Romeo BT45B
www.hoch-zwei.net ,
copyright: HOCH ZWEI / Ronco

A metà schieramento Depailler rimane fermo, Jones cerca di superarlo infilandosi tra lui e Ian Scheckter ma non c’è abbastanza spazio e la ruota posteriore sinistra della Shadow urta la destra della Tyrrell. La sospensione della DN8 si rompe.

Alle loro spalle anche Schuppan si porta a centro pista per evitare di tamponare Depailler ma in quel momento sopraggiunge Regazzoni che colpisce la Surtees e rompe la sospensione della sua Ensign.

In mezzo a questo caos nessuno si accorge (o finge di non vedere) che Hans Heyer, terzo dei non qualificati (quindi senza alcun titolo di eventuale pilota di riserva), è seduto nella sua ATS Penske a bordo pista e quando i commissari entrano in pista per togliere i detriti delle due collisioni innesta la prima e parte all’inseguimento delle 22 monoposto che stanno viaggiando verso la prima variante.

Scheckter chiude il primo giro saldamente al comando davanti a Watson, Lauda, Hunt, Stuck, Laffite, Reutemann, Andretti e Tambay.

Laffite non regge la pressione di Reutemann e Andretti che lo superano nel corso del terzo giro

La sfortuna continua a perseguitare John Watson che all’ottavo giro rientra lentamente ai box col motore fumante e un pistone rotto.

Qualche istante dopo Tambay, che è incollato agli scarichi di Laffite, perde il controllo della sua Ensign alla Sachskurve, riesce a rimanere in pista ma cede la posizione a Mass.

Dopo un’ottima partenza Laffite è in difficoltà con le gomme anteriori, viene superato sia da Mass che da Tambay e scende in nona posizione davanti a Brambilla mentre Heyer rientra ai box col cambio rotto. In ogni caso il tedesco (che era terz’ultimo davanti a Ian Scheckter e a Lunger che si era fermato ai box) era già stato squalificato dalla direzione gara.

Lauda sfrutta al meglio la potenza del 12 cilindri Ferrari sul dritto e si avvicina progressivamente a Scheckter, portandosi dietro Hunt e Stuck che ne sfruttano la scia. Al 13° giro l’austriaco supera il pilota della Wolf alla staccata della seconda variante ed entra per primo al Motodrom.

Dopo un terzo di gara Lauda è in testa davanti a Scheckter, Hunt e Stuck. Reutemann e Andretti, in lotta tra loro dal primo giro, sono un po’ più staccati e precedono Mass e l’ottimo Brambilla che ha superato Tambay il quale ha problemi al cambio.

Laffite e Mass si ritirano (motore e cambio) e permettono a Nilsson di portarsi in ottava posizione dopo aver scavalcato Tambay.

Bildnummer: 03605382 Datum: 31.07.1977 Copyright: imago/Kicker/Liedel
James Hunt (England / McLaren) in seinem Boliden; Mfdia, quer, Rennwagen, Freisteller, Sponsor, Werbepartner, Werbung, Wirtschaft, Goldener Oktober Großer Preis von Deutschland 1977, Formel 1 Weltmeisterschaft, F1, F, GP, WM, Hockenheim Hockenheimring Motorsport Grand Prix Herren Einzel Einzelbild Aktion Personen Objekte

Hunt ha uno scarico rotto e perde il contatto con la coppia di testa per poi ritirarsi al 33° giro per la rottura della pompa della benzina.

Ancora due giri e si rompe il DFV di Andretti, così come quello di Nilsson. Brutta botta per Chapman.

HOCKENHEIMRING, GERMANY – JULY 31: Ferrari mechanics hold out pitboards for Niki Lauda during the German GP at Hockenheimring on July 31, 1977 in Hockenheimring, Germany. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Lauda procede spedito verso la vittoria, anche perché Scheckter e Stuck sono al limite con la benzina e rallentano per paura di non completare il GP. Reutemann, senza più l’ombra di Andretti, gestisce comodamente la quarta posizione davanti a Brambilla.

La gara di Peterson, risalito fino alla sesta posizione grazie ai ritiri altrui, si conclude a 5 giri dal termine per la rottura del motore.

Cinque mesi dopo il Sudafrica e un anno dopo il Nürburgring, Niki Lauda vince il suo 14° GP, supera Alberto Ascari e diventa il pilota più vittorioso della Ferrari in F1.

Italian race car driver and businessman Enzo Ferrari (1898 – 1988) meets up with champion racing driver Alberto Ascari (1918 – 1955) at a hotel in Salsomaggiore Terme, Italy, 28th August 1954. They are discussing Ascari’s potential participation in the upcoming Italian Grand Prix at Monza. Ferrari is on the left, and Ascari is second from the right. (Photo by Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
Hans Stuck, Niki Lauda, Jody Scheckter, Grand Prix of Germany, Hockenheimring, 31 July 1977. (Photo by Paul-Henri Cahier/Getty Images)

Scheckter torna a raccogliere punti dopo 5 GP e Stuck conquista il suo primo podio tagliando il traguardo a motore spento per aver finito la benzina. La Goodyear festeggia il 100° successo in F1. Ora Lauda ha 48 punti, Scheckter 38, Andretti 32 e Reutemann 31.

Quarto posto per Reutemann, staccato di un minuto, davanti a Brambilla che conquista due punti importantissimi per la Surtees e a Tambay che conquista il un punto iridato alla sua seconda partecipazione nonostante abbia corso quasi tutta la gara senza la quarta marcia.

Il 12 cilindri di Maranello è stato determinante per la vittoria e consente alla Ferrari di allungare ulteriormente nella Coppa Costruttori con 65 punti davanti alla Lotus ferma a 47, Wolf 38 e McLaren 34.

Dopo il GP alcune squadre vanno a provare a Zandvoort ma non la Ferrari che si sposta subito a Zeltweg dove si terrà il GP d’Austria, meta ferragostana di tantissimi italiani. Il tracciato ha subìto una modifica conseguente all’incidente nel quale è rimasto ucciso Mark Donohue nel 1975. Il curvone Vöest-Hügel che si faceva quasi in pieno viene ora rallentato drasticamente con una variante da seconda marcia, la Hella-Licht “S”.

Niki Lauda handing over James Hunt’s steering wheel.

Il ritiro di Hockenheim non ha intaccato le speranze di rimonta di Hunt. La M26 è competitiva e se la può giocare con tutti.

James hunt undergoes a joke of Niki Lauda in McLaren pits, Austrian GP 1977

Ronnie Peterson abbandona la P34/5 in favore della P34/6 che ha le stesse modifiche della P34/7 di Depailler, con la carreggiata ancora più larga e i radiatori sul muso.

sl

I circuiti veloci stanno presentando il conto alla Lotus. Il vantaggio garantito in curva dai profili alari diventa controproducente sui lunghi rettilinei delle piste veloci e mette alla frusta il DFV, sia speciale che non. E di piste veloci ce ne sono ancora diverse prima della fine del Mondiale.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: John Watson sits in his Brabham BT45B Alfa Romeo in the pits with Bernie Ecclestone, Gordon Murray, and two of the mechanics during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

La Brabham Alfa arriva in Austria dopo un weekend in agrodolce con l’ennesimo ritiro per Watson e il primo podio di Stuck. L’irlandese spera di avere più fortuna sulla pista che lo ha visto vincere il suo primo GP (e radere la barba) un anno fa.

L’unica novità in casa March è il ritorno della livrea Rothmans sulla macchina di Ian Scheckter.

Ian Scheckter retires with the March-Cosworth in an accident after two laps

I dati rilevati nelle prove della settimana precedente hanno convinto Forghieri a far correre le T2 con gli sfoghi dei radiatori sopra alle fiancate. Allo stesso tempo il tecnico modenese cerca di risollevare il morale di Reutemann, ormai rassegnato a subire la superiorità di Lauda.

(L to R): Mauro Forghieri (ITA) Ferrari Designer talks with fourth placed Carlos Reutemann (ARG) Ferrari.
Austrian Grand Prix, Rd 12, Osterreichring, Austria, 14 August 1977.

Piccola rivoluzione alla Shadow. Franco Ambrosio ha tagliato i ponti con la squadra dopo aver saltato alcuni pagamenti così Don Nichols ha chiesto a Heinrich Villiger di coprire interamente i costi. Patrese, su ordine di Ambrosio, non si presenta in autodromo e la Shadow si trova a correre con il solo Alan Jones. Ecclestone interviene prontamente con una mossa prettamente politica (“pro domo sua”, ovviamente). Arturo Merzario ha minacciato un’azione legale nei confronti della FOCA nel caso che si fosse ripetuta la sessione preliminare già vista a Silverstone in quanto discriminante nei confronti delle squadre non iscritte alla FOCA stessa, per cui Ecclestone intercede presso Nichols per far correre Merzario (presente all’Österreichring con la sua squadra) al posto di Patrese. I meccanici del comasco ripongono la 761B nel camion e l’Arturio prende confidenza con la DN8, ora priva delle decals Ambrosio.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Arturo Merzario during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Alan Jones decide di correre con la DN8/4A modificata da Southgate.

Non ci sono modifiche sulle TS16 di Schuppan e Brambilla.

 

 

mt

Continua la rotazione dei telai alla Wolf. Questa volta Scheckter usa la WR3 mentre la WR2 che si è classificata seconda a Hockenheim viene lasciata a Reading.

Left to right: Peter Warr (Wolf team manager), driver Jody Scheckter and designer Harvey Postlethwaite.

La Ensign è tornata rinfrancata dalla Germania grazie al punto iridato conquistato da Tambay. Regazzoni invece è in cerca di riscatto.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Rupert Keegan during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Il team Hesketh torna a schierare tre monoposto. Keegan e Rebaque vengono affiancati dal rientrante Ian Ashley (sponsorizzato da Godfrey Bilton con la sua nuova compagnia petrolifera Obex Oil) che fa il suo ritorno in F1 dopo la triste esperienza con la BRM a Interlagos ’76

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Hector Rebaque during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

sl

Questa volta Laffite usa la nuova JS7/3 che in Germania era tenuta come muletto.

RED BULL RING, AUSTRIA – AUGUST 14: Frank Williams and Patrick Neve during the Austrian GP at Red Bull Ring on August 14, 1977 in Red Bull Ring, Austria. (Photo by LAT Images)

Continua la difficile stagione di Patrick Neve dopo la mancata qualifica di Hockenheim con la March di Frank Williams.

La situazione alla Fittipaldi non è migliore, con la Copersucar che sembra intenzionata a non rinnovare il contratto di sponsorizzazione in seguito alle pessime prestazioni di questi 3 anni.

RED BULL RING, AUSTRIA – AUGUST 14: Brett Lunger, McLaren M23 Ford during the Austrian GP at Red Bull Ring on August 14, 1977 in Red Bull Ring, Austria. (Photo by LAT Images)

La BS Fabrications è sempre fra i migliori team privati grazie alle buone prestazioni di Brett Lunger.

Formel 1, Grand Prix Oesterreich 1977, Oesterreichring, 14.08.1977 Boxengasse, ATS-Box Hans Binder, ATS Penske-Ford PC4 www.hoch-zwei.net , copyright: HOCH ZWEI / Ronco (Photo by Hoch Zwei/Corbis via Getty Images)

Archiviata la pittoresca comparsata di Hans Heyer, Günther Schmidt affitta la seconda ATS-Penske al rientrante Hans Binder che affianca il primo pilota Jarier grazie agli sponsor austriaci Kästle (sci) e Alpquell (acqua minerale). L’austriaco ha firmato un contratto per correre le ultime tre gare europee (Austria, Olanda e Italia).

Emilio de Villota cerca di qualificarsi dopo 4 tentativi falliti.

Ci riprova anche Brian Henton con la sua March privata, questa volta con una nuova livrea.

A Routemaster bus is converted to become a cafe at the circuit for race fans.
Austrian Grand Prix, Rd 12, Osterreichring, Austria, 14 August 1977.

Non partecipano alla trasferta austriaca la BRM e la Renault che sta provando nuove turbine. Con 30 vetture presenti e 26 posti sullo schieramento non c’è bisogno di prequalifiche così il venerdì mattina tutti gli iscritti scendono in pista per le prove ufficiali.

Il pubblico torna ad affollare l’Österreichring dopo aver disertato il tracciato nel 1976 per l’assenza di Lauda e della Ferrari. La nuova Hella-Licht “S”, il cui terrapieno diventa una vera tribuna naturale, viene presa d’assalto dagli appassionati che si “ritagliano” la miglior visuale possibile nel rispetto delle misure di sicurezza (basta fare attenzione a non tagliarsi le dita con le tronchesi).

Continua il momento magico di Lauda che è nettamente il più veloce al termine della prima giornata di prove con 2 decimi di vantaggio su Hunt, come ai tempi dei duelli del 1976. Il ferrarista gira in 1’39”32, oltre quattro secondi più lento della pole di Hunt dell’anno prima (1’35”020) per via della nuova variante.

Durante la notte una forte pioggia allaga il circuito ma soprattutto i campeggi. I piloti scendono in pista per la sessione non cronometrata del sabato con la pista ancora umida e ne fa le spese Brambilla che esce di pista danneggiando pesantemente il retrotreno della TS19/06. Il monzese torna ai box di corsa col sedile personale e prende la TS19/07 di Schuppan, lasciando al compagno di squadra la vecchia TS19/02 muletto.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Vittorio Brambilla runs holding his race seat during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Il sole torna a splendere per l’ora decisiva del pomeriggio ma la pista, lavata dalla pioggia della notte, non è altrettanto veloce come il giorno precedente. Watson, in grave difficoltà con la messa a punto della sua BT45B, non è andato oltre il dodicesimo tempo nella prima giornata con un distacco di un secondo dal proprio compagno di squadra Stuck. Nel tentativo di recuperare posizioni esce di pista danneggiando la vettura e perdendo la possibilità di migliorare il suo tempo.

Gli unici piloti che migliorano il tempo del venerdì sono Hunt e Andretti che però non riescono a battere “Super Rat” il quale ottiene la 23ma pole position, l’ultima con la Ferrari, davanti a Hunt, Andretti e Stuck, gli unici a scendere sotto l’1’40”.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Niki Lauda during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Reutemann è quinto davanti a Laffite, al sempre più sorprendente Tambay e a Jody Scheckter. Watson è desolatamente dodicesimo, dietro a Regazzoni. Non si qualificano Henton (March), Ashley (Hesketh) Rebaque (Hesketh) e Ribeiro (March).

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Patrick Tambay during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

La domenica mattina ricomincia a piovere a dirotto (per la “gioia” dei 90mila spettatori presenti) tanto da dover interrompere il programma delle gare di contorno e rinviare il warm-up della F1.

La pioggia smette quando manca circa un’ora alla partenza prevista per le 14. I saliscendi del tracciato austriaco consentono all’acqua di defluire velocemente, tanto che al termine del giro di formazione 22 piloti su 26 decidono di cambiare le gomme intagliate con quelle lisce, anche perché il cielo si sta aprendo lasciando passare qualche timido raggio di sole. I soli a tenere le gomme da pioggia sono Jarier, Schuppan, Nilsson e Merzario. Questi ultimi per una scelta strategica di Lotus e Shadow volta ad avere una vettura già attrezzata nel caso in cui dovesse ricominciare a piovere.

Formel 1, Grand Prix Oesterreich 1977, Oesterreichring, 14.08.1977 Start Niki Lauda, Ferrari 312T2 Carlos Reutemann, Ferrari 312T2 James Hunt, McLaren-Ford M26 Mario Andretti, Lotus-Ford 78 Hans-Joachim Stuck, Brabham-Alfa Romeo BT45B Patrick Tambay, Ensign-Ford N177 Jody Scheckter, Wolf-Ford WR1 www.hoch-zwei.net , copyright: HOCH ZWEI / Ronco (Photo by Hoch Zwei/Corbis via Getty Images)

Lauda e Hunt scattano sull’asfalto bagnato e giungono appaiati all’ingresso della Hella Licht ‘S’ dove l’austriaco ha il favore della traiettoria e mantiene la prima posizione.

The start field in the first chicane, Austrian GP 1977

I piloti affrontano la nuova variante con la dovuta cautela e riescono a passare senza incidenti. Lauda precede Hunt, Andretti, Reutemann, Stuck, Scheckter, Tambay e Laffite.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Clay Regazzoni’s Ensign N177 Ford is parked in a field following his retirement during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Per la seconda volta consecutiva Regazzoni non completa il primo giro. Questa volta il ticinese fa tutto da solo perdendo il controllo della Ensign e finendo in mezzo all’erba alta.

Viene coinvolto anche Brambilla che esce di pista per evitare la macchina del collega. Il monzese scende dalla Surtees, la rimette in pista a spinta con l’aiuto dei commissari e riparte con le cinture slacciate. Dopo un paio di giri, richiamato da John Surtees, Brambilla si ferma ai box per farsi riallacciare le cinture.

Sempre nel corso del primo giro Lauda procede con molta attenzione mentre alle sue spalle Hunt e Andretti spingono per superarlo. Alla Boschkurve Hunt tenta il sorpasso all’interno ma è costretto ad alzare il piede mentre Andretti sfrutta la traiettoria esterna, esce più veloce e infila entrambi portandosi al comando prima della curva successiva.

La Lotus 78 torna a volare e al termine del primo giro Andretti ha già un cospicuo vantaggio su Hunt che ha scavalcato Lauda in staccata alla Rindtkurve. Scheckter è quarto e precede Tambay, Stuck e Nilsson il quale è risalito dal sedicesimo al settimo posto sfruttando al meglio le gomme da bagnato che gli consentono di osare più degli altri.

Anche Scheckter supera Lauda nel corso del secondo giro. Il ferrarista è attentissimo a non commettere errori con la pista ancora umida e viene raggiunto anche dall’arrembante Nilsson che ha già passato Stuck e Tambay e si libera dell’austriaco prima della conclusione del giro.

La rimonta di Nilsson è veemente, al terzo giro supera Scheckter e al quarto sorpassa anche Hunt portandosi al secondo posto. Due Lotus 78 sono in testa al GP d’Austria nonostante montino gomme completamente diverse.

Parallelamente alla rimonta dello svedese il pubblico si gode quella di Merzario, anch’egli partito con le gomme da pioggia. Il comasco, qualificatosi col ventunesimo tempo, recupera altrettanto velocemente e al sesto passaggio si trova in sesta posizione davanti a Tambay.

Al contrario le Ferrari sono in difficoltà con le gomme che non vanno in temperatura e continuano a perdere posizioni, tanto che al nono giro Lauda è addirittura decimo, superato anche da Jones e Mass. L’australiano della Shadow, partito 14°, ha già superato Depailler, Peterson, Reutemann e Mass e si sta avvicinando a Tambay.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Gunnar Nilsson, Lotus 78 Ford during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

La pista si asciuga velocemente, al 10° giro Nilsson si ferma per montare le gomme slick e riparte in tredicesima posizione.

Il primo colpo di scena arriva due giri più tardi quando il DFV con testate al magnesio di Andretti esplode e costringe Piedone all’ennesimo ritiro.

Hunt passa quindi al comando davanti a Scheckter, Stuck, Jones, Mass, Lauda, Tambay e Reutemann mentre Merzario, che aveva fatto segnare il giro più veloce fino a quel momento, si ferma per cambiare le gomme ormai distrutte e riparte in quindicesima posizione.

Con la pista praticamente asciutta Jones è scatenato e al 15° giro supera Stuck all’interno alla  Boschkurve, ripetendo la manovra in fotocopia al giro seguente ai danni di Scheckter e salendo così al secondo posto, a 12 secondi da Hunt.

RED BULL RING, AUSTRIA – AUGUST 14: James Hunt, McLaren M26 Ford during the Austrian GP at Red Bull Ring on August 14, 1977 in Red Bull Ring, Austria. (Photo by LAT Images)

Il Campione del Mondo è saldamente al comando e aumenta il suo vantaggio su Jones che controlla senza problemi Scheckter, Stuck e Lauda che, con le gomme finalmente in temperatura, ricomincia a pilotare come sa e supera Tambay. Mass si è fermato ai box per un problema a uno scarico permettendo a Reutemann di portarsi al settimo posto.

Nilsson è il più veloce in pista e sta recuperando posizioni su posizioni dopo il cambio gomme, mettendosi alle spalle Peterson, Depailler, Tambay e Reutemann tornando in zona punti e mettendo nel mirino lo stesso Lauda.

L’austriaco reagisce, spinge al massimo e al 30° giro supera Stuck alla staccata della Hella-Licht “S” e sale al quarto posto mentre Merzario si ritira col cambio rotto.

Alla Boschkurve Stuck deve cedere il passo anche a Nilsson che in breve raggiunge Lauda. Tre giri più tardi i due raggiungono Scheckter, con lo svedese che sullo slancio supera entrambi ed è terzo.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Gunnar Nilsson during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

La rimonta di Nilsson si conclude al 38° giro quando il suo DFV esplode fragorosamente davanti ai box, dimostrando una volta di più i limiti di motore che affliggono la Lotus.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Patrick Tambay, Ensign N177 Ford retires from the race after suffering an engine problem during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

A 13 giri dalla bandiera a scacchi Hunt è sempre in testa con 20 secondi di vantaggio su Jones e 30 su Lauda che ha superato Scheckter. Seguono Stuck, Reutemann e Tambay ma anche il DFV della Ensign si rompe, permettendo a Peterson di subentrare al settimo posto davanti a Keegan.

 

sl

L’ecatombe dei V8 non è ancora finita e questa volta sono le valvole del Cosworth al magnesio di Hunt che si piegano a 10 giri dalla fine, sfilando dalle tasche dell’inglese una vittoria ormai acquisita.

Alan Jones si trova per la prima volta in testa a un GP di F1 con un rassicurante vantaggio di 15 secondi nei confronti di Lauda.

OSTERREICHRING, AUSTRIA – AUGUST 14: Jody Scheckter during the Austrian GP at Osterreichring on August 14, 1977 in Osterreichring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

L’ultimo colpo di scena arriva due giri più tardi quando Scheckter si appresta a doppiare la March di Patrick Neve alla staccata della Rindtkurve ma commette un errore di valutazione, perde il controllo della Wolf e “parcheggia” contro il guardrail esterno.

Gli ultimi giri non riservano ulteriori sorprese e Alan Jones vince il primo GP di F1 per sé stesso e per la Shadow, con grandissima soddisfazione del “figliol prodigo” Tony Southgate. L’australiano è l’ottavo vincitore diverso su 8 GP disputati sull’Österreichring dopo Ickx, Siffert, Fittipaldi, Peterson, Reutemann, Brambilla e Watson. Inoltre per il terzo anno consecutivo il GP d’Austria celebra la prima vittoria per una squadra.

Lauda, con una corsa molto attenta ad evitare errori e guasti, conquista un preziosissimo secondo posto nel giorno in cui tutti i diretti avversari nella corsa al titolo iridato sono costretti al ritiro.

Stuck sale per la seconda volta consecutiva sul podio regolando Reutemann in volata. Il ferrarista lo ha raggiunto nel finale ma il gioco di squadra attuato dal deludente Watson, frappostosi da doppiato tra i due, non gli ha consentito di attaccare il tedesco della Brabham. Peterson e Mass completano la zona punti.

RED BULL RING, AUSTRIA – AUGUST 14: Carlos Reutemann during the Austrian GP at Red Bull Ring on August 14, 1977 in Red Bull Ring, Austria. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Lauda ha ora 16 punti di vantaggio su Scheckter e 20 sul sempre più abbacchiato Reutemann che ha comunque scavalcato Andretti in classifica.

Osterreichring, Zeltweg, Austria.12th -14th August 1977. Niki Lauda (Ferrari 312T2), 2nd position, in the pits, portrait. World Copyright: LAT Photographic. Ref: B/W Print.

Questo risultato rafforza anche la posizione della Ferrari tra i Costruttori. Ora la Scuderia ha 71 punti contro i 47 della Lotus, 38 della Wolf e 35 della McLaren.

Mercoledì 17 agosto la Ferrari torna in pista a Monza per tre giorni di prove private in preparazione del GP dell’11 settembre. La delegazione è capitanata da Antonio Tomaini ed Ermanno Cuoghi che coordinano il lavoro di Carlos Reutemann. L’unico altro pilota in pista è Vittorio Brambilla ma con una monoposto ecologica.

RED BULL RING, AUSTRIA – AUGUST 14: Niki Lauda talks to John Watson who is sat in his Brabham BT45B Alfa Romeo during the Austrian GP at Red Bull Ring on August 14, 1977 in Red Bull Ring, Austria. (Photo by David Phipps / Sutton Images)

Niki Lauda è assente, ufficialmente per un’infezione intestinale che lo costringe a letto. In realtà l’austriaco, i cui rapporti con Enzo Ferrari sono ormai irreversibilmente degradati, sta trattando il suo passaggio alla Brabham ed è volato a Londra dove si è incontrato con Bernie Ecclestone e Calisto Tanzi, fondatore della Parmalat. Le sue richieste economiche sono infatti tali da non potere essere coperte unicamente dalla Martini & Rossi (si parla di 700 milioni di lire pari a 3 milioni di euro) per cui c’è bisogno di ulteriori entrate per poter avere uno sviluppo adeguato delle monoposto. D’altra parte Lauda si è intrattenuto parecchio a parlare con Watson anche a Zeltweg per cui il trasferimento da Maranello a Chessington sembra ormai scontato.

Proprio a Chessington nel fine settimana la Brabham presenta la nuova BT46, una monoposto decisamente futuristica e ambiziosa. La linea aerodinamica della creatura di Murray è un cuneo affilato con fiancate a sezione trapezoidale simili a quelle della BT44, abbandonate per ospitare gli accessori del 12 cilindri Alfa Romeo. Il motore realizzato a Settimo Milanese è tanto potente quanto pesante e soprattutto è bisognoso di più benzina e radiatori rispetto al Cosworth, così il tecnico sudafricano ha concentrato i suoi sforzi creativi sulla riduzione del peso, eliminando i poco aerodinamici radiatori tradizionali e ricoprendo le fiancate con dei pannelli a sfioramento realizzati dalla Marston-Excelsior. Questo sistema è di derivazione aeronautica, già utilizzato sull’idrovolante Macchi-Castoldi MC-72 che conquistò il record di velocità di 709 kmh nel 1934. In quel caso però la superficie radiante a disposizione era molto maggiore e aveva a disposizione aria fresca e pulita, situazione poco frequente in F1.

La monoposto monta dischi freno ricoperti con fibra di carbonio e sviluppati dalla Dunlop per il Concorde. Al centro del volante c’è un piccolo visualizzatore a LED che permette al pilota di leggere i parametri principali mentre il notevole risparmio di peso permette di montare tre martinetti pneumatici per sollevare la monoposto ai box tramite un innesto rapido di aria compressa. L’intento, poco credibile per una vettura così innovativa, è di fare debuttare la BT46 al GP d’Olanda che si corre la settimana seguente.

Contemporaneamente alla presentazione della nuova Brabham si disputa la 6 Ore di Mosport, sesta prova del Campionato Mondiale Marche alla quale partecipa Gilles Villeneuve che divide una BMW 320i col 19enne italoamericano Eddie Cheever jr, pilota ufficiale della Casa bavarese. A Mosport è presente anche il team principal della McLaren, Teddy Mayer, che gestisce un’altra BMW 320i iscritta dalla McLaren North America per David Hobbs e Ronnie Peterson. Mayer approfitta dell’occasione per comunicare a Villeneuve di ritenersi libero da impegni con la scuderia di Colnbrook perché l’avvocato statunitense ha già messo sotto contratto la rivelazione Patrick Tambay per il 1978 (anche se non ufficialmente). Per la cronaca, Cheever e Villeneuve chiudono la gara al secondo posto mentre Hobbs e Peterson sono solo ottavi.

Ironia della sorte, Villeneuve e Tambay sono grandi amici anche perché il parigino sta dominando il campionato Can-Am con la Lola di Carl Haas, campionato al quale partecipa anche Villeneuve con la pessima Dallara Wolf e i due francòfoni passano il tempo libero divertendosi insieme.

A Fiorano, dopo aver deliberato le vetture per Zandvoort, Reutemann sperimenta alcune modifiche aerodinamiche in prospettiva futura con una carrozzeria provvisoria. Le prese d’aria anteriori sono molto più grandi e vengono spostate ai lati dell’abitacolo e anche i radiatori laterali verticali sono ora posizionati in orizzontale davanti alle ruote posteriori. L’argentino prova anche un nuovo differenziale autobloccante (simile a quello della Lotus) modulabile direttamente dall’abitacolo con un servocomando idraulico.

Il Circus raggiunge la ventilata spiaggia del Mare del Nord per il tredicesimo GP del campionato. Hunt appare sfiduciato dopo i due ritiri consecutivi per rottura del Cosworth speciale che gli hanno fatto perdere un probabile secondo posto in Germania e la vittoria in Austria. La M26 è molto veloce e l’obiettivo è di vincere ogni gara. L’inglese ha sempre la M26/2 e anche Mass può finalmente disporre di una vettura completamente nuova, la M26/3, finita di assemblare proprio nei box di Zandvoort. La M26/1 che esordì su questo circuito esattamente un anno fa funge da muletto.

Niente di nuovo alla Tyrrell. Il quinto posto di Peterson in Austria, a oltre un minuto dal vincitore, è il classico “brodino caldo” per una squadra che cerca di terminare la stagione alla meno peggio.

Patrick Depailler, Tyrrell-Ford P34, Grand Prix of the Netherlands, Circuit Park Zandvoort, Netherlands, August 28, 1977. Patrick Depailler in the unusual Tyrrell P34 six wheeler. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)
ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Colin Chapman and Mario Andretti during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

La Lotus è sicuramente la squadra più depressa del paddock. Andretti non ne vuole più sapere dei DFV al magnesio e Nilsson ha visto sfumare la gara più bella della carriera per la rottura di un V8 “normale”. Chapman non sa più che pesci pigliare.

Bildnummer: 05674500 Datum: 28.08.1977 Copyright: imago/Crash Media Group
Gunnar Nilsson (Schweden / Lotus Ford) im Cockpit seines Boliden – PUBLICATIONxNOTxINxUK; Vdia, hoch, Mechaniker, Techniker, Crew Großer Preis der Niederlande 1977, Formel 1 WM, F1, F, GP Zandvoort Motorsport Grand Prix Herren Einzel Gruppenbild Randmotiv Personen Objekte
Image number 05674500 date 28 08 1977 Copyright imago Crash Media Group Gunnar Nilsson Sweden Lotus Ford in Cockpit its Bolide PUBLICATIONxNOTxINxUK Vdia vertical Mechanic Technicians Crew grand Prize the Netherlands 1977 Formula 1 World Cup F1 F GP Zandvoort motor aviation Grand Prix men Singles Group photo Rand motive Human Beings Objects
ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Hans-Joachim Stuck and John Watson during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Watson vuole assolutamente riprendersi il ruolo di caposquadra dopo la batosta di Zeltweg che lo ha visto incapace di trovare un assetto decente per tutto il weekend, salvo far segnare il giro più veloce al terz’ultimo giro. Il suo compagno di squadra invece sta attraversando il momento migliore della carriera. Come ci si aspettava, la nuovissima BT46 non è a Zandvoort. La monoposto ha fatto qualche giro a Balocco, sul circuito di prova dell’Alfa Romeo, ma ha bisogno di molto lavoro per la messa a punto.

La March ha costruito la seconda 771, sempre per Ian Scheckter, che mantiene il nuovo telaio progettato da Robin Herd, più rigido e leggero del precedente, ma ripropone la linea aerodinamica della 761B, senza il radiatore posizionato sul muso. Nessun cambiamento per Ribeiro.

Austrian Formula One driver Niki Lauda at the Dutch Grand Prix, Circuit Park Zandvoort, Netherlands, 1st September 1977. (Photo by McCarthy/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images)

Tutto tranquillo alla Ferrari, con Lauda rilassato e sempre più lanciato verso il secondo titolo iridato e Reutemann remissivo, con la testa già al 1978. Le T2 sono le stesse viste in Austria.

Jean-Pierre Jabouille, Renault RS01, Grand Prix of the Netherlands, Circuit Park Zandvoort, 28 August 1977. The RS01 Renault, here driven by Jean-Pierre Jabouille, was a revolution when it appeared during the 1977 Formula One season because of its unique 1.5L V6 Turbo engine. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)

Torna in pista la Renault dopo due gare di assenza. A Viry-Châtillon si è lavorato molto per cercare di risolvere i problemi che mandano in crisi il compressore. Le prese d’aria dello scambiatore di calore sono state maggiorate e soprattutto il V6 monta ora una turbina speciale Garrett realizzata in Inconel, una lega a base di nichel e cromo particolarmente resistente alle alte temperature, in sostituzione di quelle normalmente utilizzate sui camion prodotti dalla stessa Renault. Jabouille può scegliere tra due vesti aerodinamiche diverse, riutilizzando il muso avvolgente visto durante il positivo test di Digione.

ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Riccardo Patrese during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Si ricompone la situazione in casa Shadow. Franco Ambrosio ha fatto perdere le tracce (sue e dei soldi) ma Patrese ha un regolare contratto con Don Nichols e torna in squadra dopo aver disgraziatamente obbedito all’imposizione del finanziere napoletano di non correre in Austria. Artefice della mediazione tra le parti è il conte Zanon di Valgiurata che salda anche i mancati versamenti di Ambrosio. Durante le prove del sabato tornano anche la scritta Ambrosio sulle vetture perché il contratto prevede che debba comparire fino a fine anno. Ora anche Patrese dispone della nuova vettura modificata da Southgate, identica a quella con cui Jones ha vinto due settimane fa.

La Surtees non cambia nulla sulle sue TS19 e conferma sempre Schuppan come secondo pilota a fianco di Brambilla.

Jody Scheckter (ZA), Walter Wolf Racing WR2.. Dutch Grand Prix, Zandvoort, Holland, 28/08/1977.

Nonostante il grave errore di Zeltweg, Jody Scheckter è ancora l’avversario più vicino a Lauda in classifica ma ora non può più sbagliare niente se vuole sperare di contendere il Mondiale all’austriaco.

Zandvoort, Holland. 26-28 August 1977.
Clay Regazzoni (Ensign N177-Ford), retired, portrait.
World Copyright: LAT Photographic.
Ref: B/W Print.

Regazzoni è sempre più pensieroso dopo aver concluso due gare consecutive senza percorrere nemmeno un giro, senza dimenticare che il suo compagno di squadra sembra andare molto forte (e sembra anche disporre un DFV molto spinto).

Rupert Keegan (GB), Penthouse Rizla Racing Hesketh 308E.. 1977 Formula One World Championship.

La Hesketh continua con tre monoposto ufficiali per Keegan, Rebaque e Ashley.

ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Ian Ashley during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Jacques Laffite sceglie ancora la JS7/3 a passo lungo e tiene la vecchia JS7/1 come vettura di scorta.

Patrick Neve sembra essere finalmente sulla strada giusta dopo aver ottenuto il suo miglior risultato con il nono posto finale di Zeltweg.

ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Wlison and Emerson Fittipaldi during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

I fratelli Fittipaldi devono decidere se continuare o meno con la loro attività. Pare che Emerson si sia offerto alla Ferrari tramite la Parmalat che sta investendo pesantemente in Brasile ma avrebbe ricevuto il diniego da parte del Drake, offeso per il suo rifiuto di sostituire Lauda 12 mesi fa.

Ritenta la qualificazione Pilette con la BRM. Le uniche novità sulla P207 sono la presa d’aria dinamica sopra al motore e l’ennesimo numero di gara, il quarto della stagione dopo il 14, il 35 e il 40.

ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Brett Lunger during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Brett Lunger continua con grande regolarità grazie all’affidabilità garantita dal lavoro degli uomini di Bob Sparshott.

Dopo due gare di assenza torna la RAM Racing/F&S Properties che ha fatto modificare le due March 761 dalla Tiga Race Cars, la casa costruttrice creata da Tim Schenken e Howden Ganley. I due ex piloti (Ganley ha cominciato come meccanico ed è stato il primo dipendente della McLaren nel 1966) hanno allargato la carreggiata anteriore, allungato il passo e creato un nuovo musetto in stile Wolf che ingloba il radiatore dell’olio. I piloti sono due olandesi: il 27enne debuttante Michael Bleekemolen, campione nazionale di F.Ford 1600 e il solito Hayje.

Bildnummer: 05674396 Datum: 28.08.1977 Copyright: imago/Crash Media Group
Jean Pierre Jarier (Frankreich / Penske Ford) in seinem Boliden – PUBLICATIONxNOTxINxUK; Vdia, quer, Großer Preis der Niederlande 1977, Formel 1 WM, F1, F, GP Zandvoort Motorsport Grand Prix Herren Einzel Einzelbild Aktion Personen Objekte
Image number 05674396 date 28 08 1977 Copyright imago Crash Media Group Jean Pierre Jarier France Penske Ford in his Bolide PUBLICATIONxNOTxINxUK Vdia horizontal grand Prize the Netherlands 1977 Formula 1 World Cup F1 F GP Zandvoort motor aviation Grand Prix men Singles Single Action shot Human Beings Objects

Il rientro delle March “olandesi” costringe la ATS a cambiare il numero di gara di Binder che lascia il 33 per il 35. Jarier continua col 34.

Emilio de Villota ci riprova dopo aver centrato la qualificazione all’Österreichring.

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Il rientro di Patrese alla Shadow obbliga Merzario a riportare in pista la sua March privata sulla quale viene fatta solo una normale manutenzione perché la squadra è impegnata a costruire la macchina nuova. Sul camion della squadra è affisso il poster che pubblicizza il Trofeo Europa di F1, gara priva di validità mondiale voluta da Enzo Ferrari e programmata per il 25 settembre sul circuito Dino Ferrari di Imola. L’intenzione è di creare una sorta di campionato di serie B, riservato a squadre non-FOCA con l’inserimento di qualche giovane per fargli fare esperienza. Per la gara di Imola si fanno i nomi di Eddie Cheever al volante della 312T2 e di Bruno Giacomelli con la Brabham-Alfa. L’elenco degli iscritti dovrebbe essere completato dai vari team privati che partecipano ai GP e da quelli del campionato britannico ShellSport Gruppo 8 (ex F5000).

Dopo quasi un anno di assenza si rivede la Boro (Ensign N175) dei fratelli Hoogenboom (HB Bewaking Alarm System). Le uniche differenze rispetto al 1976 sono il colore nero e il pilota Brian Henton. Le divise della squadra sono quelle vecchie.

I partecipanti sono 35, come a Silverstone, e anche questa volta l’organizzazione decide di ridurne il numero con due sessioni di pre-qualifica da disputarsi il martedì prima del GP. I piloti ammessi alle prove ufficiali saranno i migliori 4 tra Pilette, Lunger, Bleekemolen, Binder, De Villota, Henton, Ashley e Merzario ma quest’ultimo rifiuta di partecipare e minaccia un’azione legale nei confronti dell’organizzazione. Lunger è il più veloce davanti a Binder, Henton e Pilette. Restano fuori Ashley, De Villota, Bleekemolen e Merzario ma il suo DS Gianfranco Palazzoli, regolamento alla mano, ottiene l’annullamento delle due sessioni e l’ammissione di tutti gli iscritti alle prove ufficiali del venerdì. De Villota si ritira, carica la sua M23 sul camion e parte per Brands Hatch dove lo stesso weekend vincerà l’undicesima gara del campionato ShellSport Gruppo 8.

Le prove del venerdì vedono il netto dominio di Andretti e della Lotus che staccano Hunt e Reutemann di quasi 9 decimi. Nilsson, Laffite, Jones, Lauda e Watson hanno distacchi superiori al secondo mentre Scheckter è solo dodicesimo a oltre 2 secondi.

La giornata del sabato comincia con la polizia locale come protagonista. Un anno fa, dopo il sequestro giudiziario di tutto il materiale della RAM Racing conseguente alla denuncia di Loris Kessel, i meccanici del team britannico avevano fatto sparire il camion della scuderia britannica con tutto il materiale, dopodiché il proprietario John Macdonald aveva fondato una nuova società unendosi agli olandesi della F&S Properties ed eludendo le sentenze a suo carico. I legali di Kessel non hanno mollato l’osso e a distanza di un anno esibiscono alle autorità olandesi il mandato di cattura internazionale per truffa a carico di Macdonald che viene identificato e tratto in arresto nel paddock.

Portato via Macdonald, le prove continuano con la conferma di Andretti che migliora ulteriormente il suo tempo e ottiene la settima pole position. La pista è più veloce rispetto al giorno prima e Laffite sfrutta al meglio il V12 Matra insediandosi in prima fila con “appena” 6 decimi di distacco dalla Lotus.

Jean-Pierre Jabouille (FRA) qualified an excellent tenth for the second appearance from the turbocharged Renault RS01 and ran strongly in the race before retiring on lap 40 with a broken rear suspension.
Dutch Grand Prix, Rd 13, Zandvoort, 28 August 1977.
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La seconda fila è composta da Hunt e Lauda davanti a Nilsson, Reutemann, Peterson, Watson, Regazzoni e Jabouille che si qualifica con l’eccellente decimo tempo alla seconda apparizione.

Alan Jones non riesce a migliorarsi e retrocede in tredicesima posizione con lo stesso tempo di Mass e Scheckter con il pilota della Wolf che, avendo ottenuto il tempo più tardi degli altri, è solo quindicesimo. Gli otto non qualificati sono Neve (March-Williams), Merzario (March), Schuppan (Surtees), Ashley (Hesketh), Hayje (March-F&S), Rebaque (Hesketh), Pilette (BRM) e Bleekemolen (March-F&S).

Come sempre la domenica mattina a Zandvoort non si può fare rumore prima di mezzogiorno per cui il warm-up si svolge dopo le 13. Il V12 Matra di Laffite ha un problema che costringe il francese a fermarsi lungo il circuito ma non c’è tempo per sostituire il motore (la partenza è fissata alle 15) e così Jacquot deve abbandonare l’ottima JS7/3 e salire sulla vecchia JS7/1 a passo corto con la quale ha girato pochissimo nei due giorni di prove.

Le vetture si schierano in una giornata calda ma ventosa. Tutti gli occhi sono puntati sulla Lotus numero 5.

Al momento del via Andretti parte bene ma alle sue spalle Hunt ha lo spunto migliore, si incunea tra la Lotus e il guardrail dei box e affronta la Tarzanbocht al comando.

All’uscita del tornante Hunt sfrutta la larghezza della pista costringendo Andretti ad alzare il piede e a perdere la seconda posizione in favore di Laffite. Allo stesso modo, alle loro spalle, Lauda porta Watson sul cordolo esterno dove la coppa dell’olio del 12 cilindri Alfa prende un colpo fatale.

Pochi secondi dopo, alla Gerlachbocht, Jones colpisce la McLaren di Mass buttandola nelle reti. Gara finita per il tedesco.

Hunt chiude il primo giro nettamente in testa mentre Andretti prende la scia a Laffite e lo supera in frenata alla Tarzanbocht. Seguono le Ferrari di Lauda e Reutemann davanti a Watson, Regazzoni e Peterson.

Il motore di Watson perde potenza in seguito alla perdita dalla coppa d’olio crepata ma l’irlandese riesce a tenere alle spalle gli inseguitori fino al termine del secondo giro quando rientra ai box e si ritira. La sua ostruzione causa un “buco” di 4 secondi tra il quinto classificato Reutemann e Peterson.

Bildnummer: 00713996 Datum: 28.08.1977 Copyright: imago/Thomas Zimmermann
Gunnar Nilsson (vorn, Schweden / Lotus-Cosworth) in seinem Boliden; Rennwagen, Bolide, Boliden, quer Großer Preis von Holland 1977, Formel 1 Weltmeisterschaft, F1, F, GP, WM, Vdia Zandvoort Motorsport Grand Prix Herren Einzel Holland Gruppenbild Aktion Personen Objekte

Nilsson è autore di una brutta partenza che lo fa scendere dal quinto al nono posto.

Andretti è nettamente il più veloce in pista, raggiunge Hunt e all’inizio del quinto giro comincia a “puntarlo” da vicino.

James Hunt (GB), Marlboro Team McLaren M26.. Dutch Grand Prix, 28/08/1977, Zandvoort, Holland.

Al giro seguente Andretti prende la scia della McLaren sul rettilineo dei box, Hunt si difende tenendo l’interno e il pilota della Lotus è costretto a rimanere all’esterno della Tarzanbocht. Questa volta però Piedone non si accoda come alla partenza e percorre il tornante ruota a ruota con il suo avversario.

La traiettoria favorevole consente a Hunt di guadagnare un mezzo metro in uscita dal tornante ma a quel punto Andretti non ha più spazio, finisce sul cordolo esterno e le ruote delle monoposto si incastrano tra loro.

La Lotus finisce con le ruote esterne sull’erba e inevitabilmente rallenta mentre Hunt sta accelerando e a quel punto succede l’inevitabile. La ruota posteriore sinistra della McLaren sale sopra l’anteriore destra dell’altra macchina che finisce in testacoda.

Hunt continua per qualche centinaio di metri con la pompa dell’acqua e la sospensione posteriore sinistra rotte e si ferma definitivamente all’Hugenholtzbocht proprio mentre Laffite lo supera.

Jacques Laffite, Ligier-Matra JS7, Grand Prix of the Netherlands, Circuit Park Zandvoort, 28 August 1977. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)

La Ligier passa a condurre il GP con Laffite che è tallonato da Lauda, Reutemann e Andretti, il quale non ha riportato danni nella collisione e ha raggiunto le Ferrari.

Hunt è furioso, rientra ai box e va a protestare con Chapman per il comportamento del suo pilota che lo ha costretto al ritiro.

Al 10° giro Andretti prende la scia a Reutemann che, al contrario di Hunt, non oppone resistenza e permette all’italoamericano di superarlo comodamente all’interno alla staccata della Tarzanbocht.

Lauda non è altrettanto arrendevole e difende la sua posizione obbligando l’avversario all’esterno. Andretti non si fa intimidire e ritenta la manovra fatta con Hunt, rischiando di nuovo il contatto. Questa volta alza il piede e si accoda al ferrarista.

Al 14° giro Andretti prende di nuovo la scia a Lauda sul rettilineo ma il suo DFV esplode per la quarta gara consecutiva in una nuvola di vapore acqueo. Al rientro ai box Hunt affronta il pilota della Lotus che gli risponde da par suo.

Bildnummer: 05756581 Datum: 28.08.1977 Copyright: imago/Crash Media Group
Gunnar Nilsson (Schweden / Lotus Ford) in seinem Boliden vor Ronnie Peterson (Schweden / March Ford) – PUBLICATIONxNOTxINxUK; Vdia, quer, Rennwagen Großer Preis der Niederlande 1977, Formel 1 WM, F1, F, GP Zandvoort Motorsport Grand Prix Herren Einzel Gruppenbild Aktion Personen Objekte
Image number 05756581 date 28 08 1977 Copyright imago Crash Media Group Gunnar Nilsson Sweden Lotus Ford in his Bolide before Ronnie Peterson Sweden March Ford PUBLICATIONxNOTxINxUK Vdia horizontal racing car grand Prize the Netherlands 1977 Formula 1 World Cup F1 F GP Zandvoort motor aviation Grand Prix men Singles Group photo Action shot Human Beings Objects

La gara è comandata da tre monoposto a 12 cilindri che hanno un cospicuo vantaggio su Nilsson, Peterson, Regazzoni, Tambay, Depailler e Scheckter.

Ronnie Peterson (SWE) Tyrrell P34B Cosworth.
Dutch Grand Prix, Zandvoort, Netherlands, 28 August 1977.

Al 18° e 19° giro il gruppo degli inseguitori perde prima Regazzoni per la rottura del filo dell’acceleratore e poi Peterson per un problema elettrico.

(L to R): race winner Niki Lauda (AUT) Ferrari 312T2 takes the lead from second placed Jacques Laffite (FRA) Ligier JS7, into Tarzan on lap 20.
Dutch Grand Prix, Rd 13, Zandvoort, Netherlands, 28 August 1977.

Lauda è più veloce di Laffite e all’inizio del 21° giro lo affianca e lo supera in fondo al rettilineo ma il francese allunga la frenata anche se all’esterno e mantiene la prima posizione.

Al giro successivo Lauda anticipa la manovra e prende il comando della corsa.

Bildnummer: 05675243 Datum: 28.08.1977 Copyright: imago/Crash Media Group
Alan Jones (Australien / Shadow Ford), Jean Pierre Jabouille (Frankreich / Renault) und Emerson Fittipaldi (Brasilien / Copersucar) – PUBLICATIONxNOTxINxUK; Vdia, quer, Rennwagen Großer Preis der Niederlande 1977, Formel 1 WM, F1, F, GP Zandvoort Motorsport Grand Prix Herren Einzel Totale Aktion Personen Objekte
Image number 05675243 date 28 08 1977 Copyright imago Crash Media Group Alan Jones Australia Shadow Ford Jean Pierre Jabouille France Renault and Emerson Fittipaldi Brazil Copersucar PUBLICATIONxNOTxINxUK Vdia horizontal racing car grand Prize the Netherlands 1977 Formula 1 World Cup F1 F GP Zandvoort motor aviation Grand Prix men Singles long shot Action shot Human Beings Objects

Depailler si ferma ai box per una foratura così Scheckter sale al sesto posto davanti a Jones e a Jabouille che sta facendo un’ottima gara con la Renault.

Il francese sta addirittura attaccando il fresco vincitore del GP d’Austria quando al 33° giro il motore della Shadow si rompe facendo salire Jabouille al settimo posto.

ZANDVOORT, NETHERLANDS – AUGUST 28: Alan Jones walks away from his smoking Shadow DN8 Ford after pulling off the track during the Dutch GP at Zandvoort on August 28, 1977 in Zandvoort, Netherlands. (Photo by Ercole Colombo / Studio Colombo)

Contemporaneamente si rompe anche il DFV di Depailler. Ancora un doppio ritiro per la Tyrrell.

In questa fase di gara si mettono in luce Fittipaldi che supera Jabouille e Nilsson che azzera il distacco accumulato da Reutemann nei primi giri.

L’impressione è che lo svedese possa scavalcare facilmente sia Reutemann che Laffite e tentare poi di andare a prendere anche Lauda ma la Ferrari è molto veloce sul dritto e Nilsson non riesce a portare l’attacco come Andretti. Il pilota della Lotus intravvede l’occasione giusta quando i due raggiungono un gruppetto di doppiati ma sbaglia completamente la frenata alla Panoramabocht, perde il controllo della vettura che si intraversa e finisce addosso all’incolpevole ferrarista. Nilsson rimane bloccato nella sabbia mentre Reutemann riesce a raggiungere i box dove gli viene sostituito l’alettone posteriore. L’argentino riparte tredicesimo, doppiato.

A metà gara Lauda ha 7 secondi di vantaggio su Laffite. I ritiri hanno consentito al regolare Tambay di salire in terza posizione davanti a Scheckter, Fittipaldi, Jabouille che entra in zona punti, Brambilla e il sorprendente Henton con la Boro-Ensign del 1975.

Il sogno di Jabouille di conquistare il primo punto iridato svanisce al 39° giro quando finisce in testacoda all’uscita della Tarzanbocht. Il parigino raggiunge i box dove scopre che il testacoda è stato causato dalla rottura della sospensione posteriore.

Al 52° giro Henton, che si trova in un’insperata settima posizione, commette un errore e finisce nella sabbia. I commissari spingono in pista la monoposto della squadra locale che riparte dalla terz’ultima posizione per poi ritirarsi davanti ai box col motore rotto. A fine gara sarà comunque tolto dalla classifica per l’aiuto non regolamentare ricevuto da parte dei commissari.

Laffite riduce il distacco da Lauda che però sembra gestire agevolmente il ritorno della Ligier. Nel frattempo Brambilla supera Fittipaldi portandosi al quinto posto, poi si fa doppiare dalla coppia di testa e gli si accoda per cercare di raggiungere Scheckter che li precede di poco ma alla fine del 68° giro il monzese mette le ruote sull’erba nel velocissimo curvone che immette sul rettilineo dei box, perde il controllo della Surtees e si schianta contro il guardrail interno senza riportare danni fisici.

28 Aug 1977, Zandvoort, Netherlands — Patrick Tambay (FRA) climbs out of his Theodore Racing Ensign N177 after retiring from third position on the penultimate lap of the race. He was classified in fifth position. Dutch Grand Prix, Rd 13, Zandvoort, Netherlands, 28 August 1977. — Image by © Phipps/Sutton Images/Corbis

L’ultimo colpo di scena arriva all’ultimo giro quando Tambay resta senza benzina e perde il primo podio della carriera.

Patrick Tambay (FRA) walks from his Theodore Racing Ensign N177 after retiring from third position on the penultimate lap of the race. He was classified in fifth position.
Dutch Grand Prix, Rd 13, Zandvoort, Netherlands, 28 August 1977.
Race winner Niki Lauda (AUT) Ferrari 312T2, leads second placed Jacques Laffite (FRA) Ligier JS7 in the closing laps of the race.
Dutch Grand Prix, Rd 13, Zandvoort, Netherlands, 28 August 1977.

Niki Lauda rintuzza senza patemi gli ultimi attacchi di Laffite e vince per la seconda volta il GP d’Olanda. Scheckter è terzo seguito da Fittipaldi, entrambi doppiati. Tambay viene classificato quinto a due giri, davanti a Reutemann che ha fatto un bel recupero nel finale superando Ian Scheckter, Lunger, Binder e Stuck.

Niki Lauda, Grand Prix of Netherlands, Zandvoort, 28 August 1977. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)

Niki Lauda rintuzza senza patemi gli ultimi attacchi di Laffite e vince per la seconda volta il GP d’Olanda. Scheckter è terzo seguito da Fittipaldi, entrambi doppiati. Tambay viene classificato quinto a due giri, davanti a Reutemann che ha fatto un bel recupero nel finale superando Ian Scheckter, Lunger, Binder e Stuck.

La terza vittoria stagionale porta Lauda a 63 punti nella Classifica Piloti, 21 più di Scheckter che è riuscito a limitare i danni. Reutemann è terzo con 35 punti davanti ad Andretti con 32. A 4 gare dal termine James Hunt, fermo a quota 22, abdica matematicamente. Nella Coppa Costruttori la Ferrari sale a 80 punti e l’aritmetica consente solo alla Lotus, ferma a 47, di contendere ipoteticamente il trofeo alla Scuderia.

L’indomani Lauda è a Maranello per parlare con Enzo Ferrari e nel pomeriggio viene ufficializzato il divorzio tra il quasi due volte Campione del Mondo e la Scuderia.

Con chi correrà Lauda nel 1978 è chiaro a tutti. L’interrogativo è: chi lo sostituirà sulla Rossa?

 

Giovanni Talli

MIT’S CORNER: MEMORABILIA ED IL RITIRO DI SEB

Personalmente ho sempre ritenuto Sebastian Vettel un grandissimo pilota.

E potrei concludere qui l’articolo.

Poi, ça va sans dire, capisco che forse è il caso di argomentare un po’ di più ma per farlo mi devo prima convincere che l’aneddotica personale può essere utile a spiegare il perché di certe opinioni. Dopo aver riflettuto per 1’43″665 (il tempo di una pole a Spa) decido che sì, vale la pena anche ricorrere all’aneddotica personale dal momento che, trattandosi di opinioni che lasciano il tempo che trovano, allora vale un po’ tutto.

Sappiate che seguo la F1 da quando ero un microbo. Nel 1977 imparai addirittura a leggere grazie all’almanacco della F1 e il ricordo va alla simpatica nonnina che mi correggeva se leggevo male i nomi dei piloti… il che non è che fosse l’optimum perché Jabouille, Depailler e Laffitte per lei erano letteralmente GIABUILLE’,  DEPAILLE’ e LAFFITTE’ con italianismi che scimmiottavano il francese senza conoscerne le regole di pronuncia, ma tant’è. Quando il babbo si rese conto che sapevo leggere s’impettì tutto contento e mi rifilò l’intera bibliografia di Jules Verne ed Emilio Salgari, il che dovrebbe spiegare il perché ancora oggi mi piace divagare svolazzando di fantasia a dritta e a manca.

Seguivo già la F1, per quel che vale a quell’età nel senso che stavo sul divano col babbo a vederlo tirar giù santi o esultare in funzione dei risultati della Ferrari. E se Niki Lauda era il nome che pronunciavo più spesso divenne però inevitabile (tipico dei bambini piccoli) il “tifo” per il mio omonimo Mario Andretti il quale, manco a farlo apposta, l’anno dopo trionfava sulla monoposto tra le più esteticamente meravigliose (oltre che tecnicamente rivoluzionarie) della storia del motorsport.
Poi ho imparato soprattutto ad apprezzare i piloti, le loro capacità, le loro imprese, le vittorie e le sconfitte. Quando accadeva che un’impresa fosse particolarmente straordinaria mi capitava il seguente fenomeno: quasi senza rendermene conto mi inginocchiavo davanti alla TV sfoggiando l’inevitabile mascella abbassata a raccogliere mosche durante la stupefazione. Non mi è accaduto molto spesso quindi l’elenco di tali occasioni me lo ricordo benissimo.
Villeneuve è quello che me ne ha fatte fare di più ma ero un bambino e probabilmente non contano ma sicuramente quella della foto è quella che spicca di più (sì, la vidi in diretta!)

Montecarlo 1984: poteva essere diversamente? (mi compiaccio del fatto che la mascella era abbassata per la prima e unica volta grazie alle imprese non di uno bensì di due (compianti) protagonisti: Ayrton e Stefan). Fu una roba mistica, che mi sentivo tipo un mercante di oli indiani ai piedi del Golgota nel 33 d.C o un modesto frequentatore delle singing chapel nella Chicago del 1980 mentre vedeva quel tizio vestito come un becchino illuminarsi d’immenso (“La banda! Elwood! La banda!”).


Montecarlo 1988: sempre Ayrton – non mi vengono in mente prestazioni più alte nella storia della F1 (che ho visto io almeno: vecchi appassionati mi dicono che Jim Clark, Ascari e Fangio erano su quel pianeta lì e a loro volta avevano sentito delle mirabolanti imprese del mantovano volante che, forse, era pure di un altro universo). Il che, se vogliamo, è piuttosto curioso dal momento che quella gara non la vinse perché si stampò da solo al Portier. Ma quel che fece prima… uuuuuuuh!

Le qualifiche di Spa 1991: me le ricordo come fosse ieri. Sul divano con papà e uno dei fratelli a ridere come matti mentre il Poltro o chi per lui raccontava della “disavventura” di Bertrand Gachot che costrinse Jordan alla sua momentanea sostituzione. Poi a ridere ulteriormente mentre traducevamo sarcasticamente il cognome del debuttante come “scarpazzone” (ai tempi abitavo a Modena e questo era il simpatico aggettivo da affibbiare al più scarso giocatore di qualsiasi sport). E poi, però, sono finito con le ginocchia a terra e con mascella aperta d’ordinanza, quando le telecamere si soffermarono, con tempi di qualifica in sovrimpressione, sull’allora totalmente sconosciuto Michael Schumacher (sempre-sia-lodato). E abbiamo tutti smesso di ridere


Magny-Cours 2004 – l’irreale prestazione di Schumy in quell’occasione fu qualcosa di indescrivibile con praticamente tutti fastest lap dal primo all’ultimo giro. Barcellona 96 e Francia 2004 sono l’Alfa e l’Omega della sua carriera.

Turchia o Monza 2006 Gp2 (la memoria fa cilecca) – ai tempi la rai le trasmetteva credo di Sabato. Non è F1 ma la riguarda indirettamente, quindi chissenefrega. Lewis parte ultimo, non ricordo se per una partenza stupida o una qualifica peggiore, e li passa tutti come birilli. Fu una cosa epica, fenomenale, galattica!, considerando che le auto erano sostanzialmente tutte uguali. Ebbene sì: inginocchiamento, mascella abbassata d’ordinanza e mano al cellulare per chiamare il fratello e dirgli di accendere immediatamente la TV che c’era uno che non si vedeva dai tempi di Senna

Monza 2008. Sì, di Seb se ne parlava, ma no, fino a lì non sembrava. Eppure quell’impresa di SV fu (quasi) l’ultima a farmi inginocchiare e smascellare. Semplicemente superbo. Ci furono condizioni particolari, è vero, ma diversamente non sarebbe stato possibile per Seb vincere una gara con una macchina tra le peggiori del gruppo – non si può forse dire lo stesso di Montecarlo 1984? E la vinse, anzi la dominò!, per davvero, non è stata una prestazione tipo Gasly/Ocon/Ricciardo di questi ultimi due anni in cui tutti i forti si sono suicidati in gara. Sbaragliò tutti sin da sabato e in gara fu, semplicemente, il più veloce in assoluto contro ogni pronostico!

 

Abu Dhabi 2012. Poteva mancare l’ineffabile Kimi? Di tante prestazioni eccezionali fatte dal 2003 al 2009 che pure avrebbero meritato l’inginocchiamento di prammatica fu quella di Abu Dhabi 2012 che me lo fece fare davvero. E ci fu anche quel team radio epocale a suggellare il coronamento di una carriera straordinaria con la vittoria inaspettata su una vettura decisamente inferiore a quelle dei team che si giocavano il mondiale.


E… no, con Max e Charles non mi è capitato di spellarmi le ginocchia: forse sono ormai “troppo vecchio per queste stronzate” (cit.) e, chissà?, l’elenco di cui sopra rimarrà invariato fino a che avrò ancora la capacità di divertirmi a guardare un GP.

Ora, per quel che mi riguarda, il solo fatto che Vettel faccia parte di questo mio, personalissimo, elenco me lo pone tra i grandissimi a prescindere. Vettel ERA un fenomeno. Strepitoso, secondo me, nelle annate 2009, 2012, 2015, 2017 e nel 2018 fino a Hockenheim, che fu spartiacque.

Se il 2009 avesse avuto il numero di gare odierne Button il mondiale se lo scordava a favore del nostro che fece un’annata epocale cui in pochi guardano con il dovuto occhio analitico, accecato dalla netta superiorità di Brawn GP mostrata fino a metà stagione e poi gestita (indubbiamente in modo magistrale da Button) fino alla fine. Ma Vettel fu meraviglioso.

Nel 2010, onestamente, non fu impeccabile così che il mondiale se lo ritrovò un po’ regalato dalla scellerata decisione Ferrari di marcare a uomo Webber in quell’ultima ferale gara di campionato. Tuttavia il merito di essersi trovato lì e di aver saputo condurre quella gara con calma olimpica non glie lo leva nessuno.

Nel 2011 e nel 2013 la superiorità del mezzo era netta ma su quel mezzo c’erano in due e Seb annichilì il pur ottimo teammate in modo impietoso.

Il 2012 fu altra annata strepitosa. Vero che anche allora il mezzo era superiore ma non così tanto e il cagnaccio Alonso stavolta non gli avrebbe fatto sconti. Tuttavia Seb fu semplicemente eccezionale, ancora una volta, proprio nell’ultima e decisiva gara in cui un incidente in partenza lo relegò nelle ultime posizioni. Non si perse d’animo e guidò da par suo per tutta la gara fino a raggiungere la posizione che gli avrebbe consentito la matematica vittoria.

Il 2014 fu annata di transizione: scoprì una vettura non competitiva (o almeno non tanto quanto sarebbe servito per lottare per il massimo titolo) e si perse d’animo facendosi mettere in ombra dal sorrisone di Daniel. Campanello d’allarme per i suoi tifosi e per gli appassionati: forse il carattere del nostro non rende giustizia ai suoi natali teutonici che lo stereotipo vorrebbe esser sempre dotato di immarcescibile freddezza esecutiva.

Il 2015 fu meraviglioso. Sembrava un bambino che giocava con il giocattolo da sempre desiderato.

2016 di nuovo transizione.

Nel 2017 si ritrovò a lottare per il massimo titolo ma gli sviluppi Ferrari di metà stagione furono troppo deludenti per potergli consentire di continuare a lottare.

Nel 2018 ancora a lottare per il mondiale, personalmente ritengo con qualche possibilità in più rispetto all’anno prima. Poi arrivò Hockenheim e qualcosa si ruppe.

Gli errori commessi poi furono dovuti, sempre secondo me, molto semplicemente al tentativo di andare oltre ai limiti della macchina per tentare il disperato recupero ma sono stati comunque l’inesorabile segno del suo spegnimento improvviso. Certo, ci furono i cerchioni bucati, gli sviluppi da gambero della Ferrari e un Lewis ad un livello stellare, apice della sua carriera in quanto a guida, quindi molto probabilmente Seb non sarebbe mai riuscito a vincere quel mondiale. Però la sensazione che l’interruttore sia andato su off l’hanno percepita tutti.

L’anno dopo, choccato da Leclerc (ma era già “spento”), avrebbe dovuto essere l’ultimo.

A carriera finita si possono tirare un po’ le fila.
Pilota velocissimo, sia in qualifica che in gara, grande affinità col muretto per avere una  gestione gara ottimale, con stile di guida mutuato (per quanto possibile) dal suo idolo Schumy che gli consentiva di dire la sua su qualsiasi tipo di pista, come tutti i grandissimi era estremamente efficace sul bagnato e spesso autore di grandi partenze. Quello stesso stile simile a MS gli faceva mangiare le gomme a più non posso ma era assecondato con straordinaria efficacia negli anni degli scarichi soffiati e lo faceva zoppicare un po’ nei cruciali 2017 e (soprattutto) 2018. Alcuni difetti non ne consentono la collocazione, secondo me, nell’olimpo. La mancanza di sensibilità in bagarre testimoniata, plasticamente e per converso, dalle poche eccezioni (end-of-2012) e una erratica quanto alle volte persino incomprensibile lunaticità (multi-21! e le boiate sparse qui e là di cui la più assurda è Baku) hanno rappresentato una zavorra di cui non si è mai liberato. A quest’ultimo punto si aggancia il suo difetto maggiore.
SV come è entrato in F1 così ne è uscito.
Cioè: dal 2008 al cruciale Hockenheim 2018 Seb è sempre stato identico a se stesso senza praticamente mai migliorarsi. Monza 08 a Hockenheim 18 (dopo non lo conto), dieci anni giusti giusti, la sua carriera non è stata una parabola, come si usa metaforicamente dire in questi casi, bensì una linea retta, piatta come la pianura padana da cui scrivo, sicuramente collocata molto in alto (inevitabile che sia così) ma pur sempre piatta. Ed in questo è stato radicalmente diverso sia dal suo idolo e mentore (il sempre-sia-lodato Schumy) che da altri dell’olimpo, che là stanno anche perché hanno saputo evolversi nel tempo della loro carriera migliorando i difetti, limando le intemperanze, trovando i necessari adattamenti e così via, per cercare di raggiungere quell’impossibile perfezione che noi tutti appassionati vorremmo vedere ad ogni giro di pista e che, a dirla tutta, è uno dei principali sottotesti allegorici di questo sport.
Curiosamente, sempre secondo me, condivide questo suo “grosso” (aggettivo moooolto relativo: stiamo pur sempre parlando di fenomeni) difetto con il suo acerrimo rivale Fernandino nostro il quale corre oggi esattamente nello stesso identico modo in cui correva ai tempi del suo debutto in Minardi (il che, a 41 anni suonati, sia beninteso, gli vale il più fragoroso dei plausi).
Ma non si rimane con l’amaro in bocca perché da quel che i media ci hanno trasmesso e per il poco che è trapelato delle sue vicende extra-paddock ne hanno fatto (e ne fanno! è ancora giovane!) una figura interessantissima, di rara intelligenza e squisita simpatia, capace di gesti significativi e affatto banali (diversamente dal suo amico-rivale LH che pur animato da condivisibilissimi e nobilissimi intenti appare assai confuso e sconclusionato nelle sue mosse da “influencer”) e, in definitiva, di una persona di quelle che ti piacerebbe conoscere anche se facesse l’idraulico a Codigoro.

Dunque niente amaro in bocca, come dicevo poc’anzi, ma una bel dessert, anzi, una torta piena di strati colorati e appetitosi, forse non perfettamente rotonda ma gustosissima.
Un caro saluto, Seb, e ad maiora.

 

Metrodoro il Teorematico

MIT INCONTRA MAURO FORGHIERI

Mors optima rapit

Virgilio

“La morte si porta via i migliori”

 

Pronunciare il suo nome oggi, che se n’è andato, mi provoca pensieri ed emozioni contrastanti.

Ma di una cosa sono sicuro. Mauro Forghieri è (stato?) una persona, un uomo, una figura importante e non solo per il mondo della Formula 1.

Solitamente si dice che quando viene a mancare una persona meritevole di grande stima siamo tutti più poveri.

Invece credo che quando si tratta di Mauro Forghieri sia più opportuno dire che siamo tutti più ricchi.

E in qualche modo sono felice, pur nella tristezza della perdita, che abbia vissuto una vita così lunga e intensa, per la passione e la genialità che ha profuso a piene mani a chiunque l’abbia conosciuto.

 

Non sono qui per fare cronistorie o agiografie. Di quelle ce n’è in abbondanza (si trovano svariati libri su Forghieri e di Forghieri) e so che le figure importanti non ne hanno bisogno.

Le figure importanti sono tali anche e soprattutto perché grazie a loro i fili dei nostri ricordi si annodano tra loro in modi impensabili e contribuiscono a creare la nostra personalità in modi che ci sorprendono.

Per questo sono importanti, no?

 

Della biografia professionale mi interessa, in questa sede, soltanto l’inizio: a soli 27 anni Ferrari lo nomina direttore tecnico del reparto corse, sia F1 che prototipi.

Basta questo per dire di Mauro Forghieri che nasce già padre, padre delle vetture che progetta e della squadra che dirige.

Un padre giovane e come tutti i padri giovani deve imparare sulla sua pelle tante cose in poco tempo, magari tra qualche buon viso a cattivo gioco e, why not?, cattivo viso a buon gioco. Sarà anche giovane e inesperto ma lui, lì, ci vuole rimanere.

E ci rimane, come ben sappiamo, nel migliore dei modi perché i risultati non mentono: tra piloti e costruttori la somma dà il numero 11 che in settant’anni di storia della F1 mi pare percentuale piuttosto significativa.

Personalmente l’ho incontrato due volte. Ed entrambe, le volte, curiosamente, in un bar.

La prima ero un microbo, un inverno imprecisato, forse l’80 o l’81. Di ritorno da un piccolo lavoro domenicale nella sede di un suo cliente mio padre mi volle con sé per aiutarlo con gli innumerevoli floppy disk e le fisarmoniche di stampe che al tempo erano imprescindibile bagaglio con cui trafficare se si sapeva di informatica. Ma era solo una scusa: la appena acquistata (a suon di cambiali e litigate con la mamma che non pensava avremmo potuto permettercela) Lancia Beta Trevi aveva bisogno di rodaggio! E mentre viaggiavamo io mi divertivo a pigiare i pulsanti di quel cruscotto fantascientifico.

La nebbia ci impedì di testare velocità e tenuta di strada ma poco male: ci sarebbe stato tempo. Ci fermammo così nel centro del paese della bassa modenese in cui ci trovavamo per entrare in un bar. Mio padre voleva prendere un caffè e mi disse di scegliere le paste da portare a casa per fare una sorpresa a mia madre e ai mie due fratelli più piccoli. Con il naso attaccato al banco per cercare di carpire gli odori della crema e dalla cioccolata non mi accorsi che mio padre si era messo a chiacchierare con una persona. Era proprio lui, il “Furia”. Era lì, con altre persone, forse suoi parenti? (ah! il ricordo è annebbiato come lo era quella giornata!) e mio padre lo riconobbe. Scambiarono alcuni convenevoli, suppongo complimenti, e poi mio padre me lo presentò:

lo sai chi è questo signore? è quello che fa la macchina di Gilles Villeneuve!

I miei occhi s’illuminarono immediatamente e cominciai a bombardare Forghieri di domande su Villeneuve: “ma è vero che è il più veloce del mondo? è il pilota più bravo del mondo? è il più velocissimissimo che vince tutte le gare? o è più forte Mario Andretti [che completava il trio dei miei idoli d’infanzia insieme a Niki Lauda]? ma se Mario Andretti viene alla Ferrari vince lui o Villnèv? la Ferrari fa i 270 o i 280?” e alla via così.

Mio padre sorrise e si scusò con Forghieri per la mia insistenza. Ma Forghieri, con gesto tipico che si fa con i bambini di quell’età, mi scompigliò i capelli e rispose:

sì, Villnèv è il più forte di tutti.” Scimmiottando la mia faticosa pronuncia del cognome dell’idolo.

Ricordo che uno di coloro che erano con lui lo rimbrottò in dialetto e disse [ricostruisco con approssimazione che spero mi perdonerete]: “ma va là veh, te’ vdrè quan ch’ l’riva al francès!” [vedrai quando arriverà il francese!] e Forghieri si rialzò rispondendo a sua volta in dialetto ma non capii oppure, più semplicemente, non mi ricordo. Però ricordo abbastanza distintamente che quel commento ci fu. E indubbiamente fu curioso, no? Di chi stavano parlando? Logica vorrebbe che si trattasse di Pironi (il periodo era quello) ma nel mio confuso ricordo qualche dubbio mi viene perché il tono non sembrava qualcosa di riferito alla Ferrari. Chissà. Forse stavano parlando di Prost?

Il mistero rimarrà tale.

Il mio immaginario di appassionato di Formula 1 non può prescindere da Mauro Forghieri. L’aver vissuto la sua carriera soprattutto da bambino l’ha elevato a figura quasi mitologica. Il genio che immagina qualcosa che altri non riescono a immaginare. Un moderno Dedalo, dedito al lavoro e alle passioni, capace di invenzioni al limite dell’umano Mauro Forghieri l’ho sempre dipinto nella mia mente come un campione della fantasia scientifica e tecnologica che però trovava applicazione immediata e concreta nelle piste su cui faceva correre le sue vetture.

La mia trimurti dei tecnici più geniali della storia della Formula 1 lo vede seduto allo stesso tavolo con Colin Chapman e Adrian Newey. Lo vedo a quel tavolo, il “Furia”, fare da anfitrione agli altri gesticolando davanti ad una zuppiera fumante di aromi appetitosi a far bella mostra di sé. Spiega la tecnica per fare i tortellini, il modo in cui la pasta si avvolge attorno al dito della ‘zdora con i lembi di pasta che infine si toccano a formare il bellissimo ed elegantissimo sacchettino che ne risulta. Continua la sua spiegazione, il “Furia”, con la leggenda che vi sta dietro e di come i suoi antenati, dispersi nella nebbia della pianura, non si accontentassero di attaccare tra loro dei rettangolini di pasta per esser mero contenitore del ripieno ma volevano che quel piatto di pasta fosse bello. E facevano correre l’immaginazione – lontano – lontano – lontano – fino a quei nomi di cui non avevano granché contezza, spersi nelle parole di questo o quel profesòr, decisero che se quella Venere era così bella come dicevano quelli là allora anche quel pezzetto di pasta lo sarebbe stato.

Perché tutti sono capaci di mettere un ripieno tra due pezzetti di pasta ma nessuno saprà farlo anche elegante e bellissimo, degno della più bella delle dee, anzi disegnato proprio su di lei. Bello, dunque. Anzi: bellissimo! proprio come l’ombelico di Venere!

Bello, sì, ma anche buono. Il più buono del mondo.

Ed eccolo lì, il Furia, a spiegare ai suoi commensali la storia dell’ombelico di Venere e a paragonarla alla storia delle Ferrari 312T. Spiega le idee, quel momento in cui, lo sapete no?, quello che ti balena in testa un’idea, e poi un’altra e poi un’altra ancora e non riesci a smettere più di pensarci e poi cominci a disegnare e a provare soluzioni l’una sull’altra, a migliorare quel particolare, quella presa d’aria, quell’alettone e poi ancora a pensare come si adatta il telaio, il motore, il cambio: quella volta lo volli trasversale, dice, ci stava proprio bene lì in mezzo!

E adesso vi dico una cosa, dice.

Anzi.

Adèss av’ deg un quèl

Vedete, dice, non basta che la 312T sia bella e veloce – deve anche vincere.

Perché quello là si sta anche un po’ stufando, sapete? È dal ‘64 che non vince.

Adèss av’ deg un elter quèl”

Con quella macchina, abbiamo vinto.

Chapman annuisce e commenta, fa domande, mangia tutto contento, sorpreso, meravigliato e appagato.

Adrian Newey invece è completamente immobile: il suo momento per parlare ed interagire con loro arriverà più avanti.

La seconda volta che incontrai Forghieri fu in centro a Bologna, anni 90, anche in quell’occasione profondo inverno, Senna se n’era andato da poco quindi forse fu proprio l’inverno del 94. Facevo lo spanizzo con la bella di turno ed entrammo in uno di quei bar eleganti del centro, praticamente sotto le due torri. Volevo fare l’elegante tombeur de femme e tra me e me stabilii che un tavolino di quelli piccoli ed eleganti nella saletta apposita ci avrebbe tenuti lontani dal farfuglio perennemente confuso dei bar intorno all’università che, ero sicuro, l’avrebbero distratta dalle mie chiacchiere. Ero ingenuamente convinto che in un tête-à-tête in quell’atmosfera elegante avrei potuto carpire meglio la sua attenzione. Di certo c’era che volevo a tutti i costi che quegli occhi guardassero soltanto i miei, senza farsi distrarre da quelli degli altri studenti.  (ah, beata gioventù! avere allora la consapevolezza di oggi! oh Metrodoro! ma non capivi che il solo fatto che avesse accettato il tuo invito era già quel segno che cercavi? stupido ingenuo!). Baldanzoso e aitante, libri sottobraccio e la bella al seguito entrai in quel bar come se ne fossi stato il padrone, al contempo studiando in un angolo della mia mente quali argomenti e quali parole avrebbero maggiormente affascinato “begli-occhi”. Il caldo improvviso che trovammo nel bar costrinse la bella al mio fianco a togliersi il pesante berretto di lana e l’ancor più pesante giaccone. Sapeva come vestirsi, begli-occhi, con l’attillato e lungo maglione di lana a disegnare la sua silhouette fino a formare una morbida e ben calcolata sorta di minigonna. Begli-occhi non aveva belli soltanto gli occhi, evidentemente, perché tutto il bar si girò a guardarla. Io, preso da un fremito che saliva direttamente dalle profondità ataviche di centinaia di migliaia di anni di evoluzione squadrai ogni volto, con espressione al contempo soddisfatta, come a dire che “sì, cari miei, costei è qui con me” e minacciosa, come a dire… be’ nulla! perché il mio appena accennato ma chiaramente percepibile animalesco digrigno dei denti non ammetteva alcun fraintendimento. Durò pochi istanti quel mio sguardo ferino perché tra i volti inebetiti dall’epifania di begli-occhi ne scorsi uno familiare. E in una frazione di secondo anche la mia espressione cambiò. Era proprio lui! Mauro Forghieri! il “Furia” in persona!

Ora, cari signori, mettetevi nei miei panni di quel freddo ma foriero di belle speranze pomeriggio bolognese: la bella o il Forghieri?

Be’, ça va sans dire: Forghieri!

Forse in quel momento immemore dell’incontro d’infanzia, lo “agganciai” e cominciai a tempestarlo di complimenti e di domande come se fossi stato ancora il microbo di tanti anni prima! Incurante del fatto che lui fosse insieme ad altre persone (peraltro il ricordo che si affaccia ora alla memoria mi fa vedere tanto il Furia quanto gli altri con lui vestiti piuttosto eleganti: chissà che occasione era) non mi resi conto che lo stavo pure infastidendo. Non ricordo le domande quanto le battute, inopportune, che feci: “E non le posso domandare della Ferrari, eh?” oppure “Non è che torna? perché Barnard dice dice ma alla fine sempre indietro stiamo!” oppure “E Alesi? Ne vincerà una?!” e amenità varie dello stesso genere. (a questo punto sono quasi sicuro che fosse l’inverno 94/95). Lui fu un po’ meno paziente rispetto al precedente incontro ma qualche parola la scambiò e tra un “grazie” e un “no ma vedrà che si rifaranno” riuscì infine a sganciarsi per tornare alla combriccola di elegantoni che ciarlava alto-vociante con gli aperitivi d’ordinanza tra le mani. Non mancai, prima che se ne andasse, di stringergli la mano con una certa verve, trattenendola per un tempo che leggi non scritte dell’educazione vogliono sconveniente, sperando che tramite quel formale contatto un poco del suo genio traslasse per qualche esoterica magia fin dentro di me.

È un peccato che al tempo i cellulari non ci fossero: sarebbe stata la ghiotta occasione per portarmi a casa un selfie con il Furia da ingigantire e piazzare ornato di cornice d’oro alla parete di ogni casa che abiterò fino alla fine dei miei giorni.

Begli-occhi! Per Giove! Me l’ero quasi dimenticata! E manco l’avevo presentata a Forghieri (che poi…)!

Ci sedemmo infine a quel tavolino che sino a pochi minuti prima ritenevo la rampa di lancio per dar concretezza alle mie romantiche aspirazioni ma non ci fu verso. Infatti, riempii l’ora successiva di tutte le meraviglie che Forghieri aveva creato. Tra un caffè e una B3, tra una pasta alla crema e i primi alettoni di Formula 1, un cioccolatino e la T4 a effetto suolo la poveretta si sorbì 20 anni di storia Ferrari con tanto di snocciolamento, cantilenando come idiot savant, di tutte le vittorie e mondiali conquistati dal Furia, eccitato più dall’incontro con la leggenda che dalla profondità dello sguardo di begli-occhi.

Stereotipi.

Modena, Ferrari, Tortellini.

Oh, che banalità, verrebbe da dire.

Eppure Mauro Forghieri li incarna pienamente, quegli stereotipi. Anzi, si può dire che ne è un pilastro fondante. È homo aemilianus, conio nemmeno tanto cacofonico, fino in fondo tanto che la sua definizione la si può disegnare sul “Furia” senza timore né di offendere né di sbagliare. Modena è stretta tra il Secchia e il Panaro, acqua che fluisce un po’ stanca e si dirama in mille rivoli, torrenti e canali a tramare la pianura con massa sufficiente per condensare, quando le temperature cominciano a calare, nella bianca oscurità della nebbia. La gravità acquosa del Po la fa inevitabilmente cadere nel centro d’attrazione degli Estensi che decidono di possederla, vedendo da non molto lontano che sotto la Ghirlandina avrebbero potuto trovare rifugio se le bellicose velleità di Veneziani e Papalini avessero infine stritolato la risplendente ma fragile Ferrara. E così fu, perché dopo tre secoli di morbido dominio Modena accolse la casata degli Este costretta a fuggire da Porta degli Angeli a causa delle ire dei papi-guerrieri di quel tempo. Ma se lo splendore rinascimentale di Ferrara si rintanerà sempre più nel buio delle soffocanti braci del tempo, per Modena invece comincia un percorso inedito e stupefacente. Le affinità ducatine tra le due città, acqua e nebbia, sono il brodo ideale in cui cuocere insieme i loro attributi storici. Arte, scienza e letteratura che a Ferrara splendevano protette dal maestoso incedere del Po approdano nello stretto delle anse convergenti, in similare protezione, di Secchia e Panaro e si mescolano con l’operosità meticolosa, la orgogliosa determinazione e la piacevole bonomia di una Modena che ancora stentava ad uscire dal medioevo.

Persino le parlate lo testimoniano.

Il dialetto modenese si ammorbidisce, importando lessico e qualche finezza dal ferrarese: basta di questo arrotondare le O e inclinare le A ed ecco che la parlata di quello si allunga. Le vocali infinite la fanno diventare franca e aperta e correre ritmata in una cantilena alle volte persino fastidiosa per chi non vi è abituato. Se vi chiedete dove sono finite le asprezze fonetiche e la pronuncia rude del medioevo modenese bisogna bussare alla porta dei cugini che stanno 25 kilometri più in là, quella delle “teste quadre”, eponimo che onomatopeizza spigoli e angoli che nel dialetto modenese non ci sono più già da qualche secolo.

E di questa gioiosa commistione Modena ne gode subito i frutti.

In tutte le culture i grandi poemi celebrano le epopee di eroi senza macchia e senza paura, in una celebrazione fatta di gloria che si vuole imperitura che narra aulicamente di destinali battaglie, viaggi immaginifici, mostri infernali e manufatti misteriosi. Invece lo sposalizio tra Ferrara e Modena sortisce il più grottesco degli aedi: Alessandro Tassoni. La celebrazione del glorioso passato viene filtrata dal Tassoni che usa questi occhiali neo-estensi per descrivere come fosse antica gloria la rivalità tra Modenesi e Bolognesi, tra burle, scherzi, gag, malintesi che girano intorno all’oggetto del contendere tra le due città. Non il vello d’oro, nessuna Durlindana, altro che nodi gordiani o labirinti minoici ma un semplicissimo e banalissimo oggetto di uso quotidiano: una secchia. La secchia rapita è il poema che poteva nascere solo qui. Impregnato com’è di satira e burla, pur mai troppo pesante o eccessiva, testimone privilegiato dell’animus  che muove gli abitanti di queste terre. Sì, ci sono anche le battaglie ma sembrano più scazzottate da bar che epici certami e in cui tutti i protagonisti finiscono per mangiare e gozzovigliare assieme, pur tra qualche intrigo e qualche figuraccia, quelle sì epocali. Non disdegna, il Tassoni, costrutti letterari anche sofisticati con rime ariostesche, qualche richiamo virgiliano e una strizzatina d’occhio al Tasso quali retaggio della bellezza che fuggiva dalle torri del Castello Estense. E sta pure bene attento, il cantore neo-estense, a non ridicolizzare troppo: satira ce n’è, eccome, ma la attenta lettura di quelle rime mostra come in fondo alla bonomia e al divertimento ci sia un limite che non si valica. La secchia sarà anche un pretesto ridicolo, se confrontato ai grandi poemi del passato, le battaglie non saranno così sanguinose come quelle dell’antichità e gli dei che vi assistono saranno anche poco rispettosi dei protagonisti ma quel rustico sbracciarsi intorno alla secchia è anche un segnale. State attenti, dice Tassoni, che se questi si menano così affannosamente per una semplice secchia forse potrebbero fare di peggio se in ballo ci fosse qualcosa di realmente prezioso. Ne emerge una sim-patia di fondo che trafigge il lettore attento con la rivelazione che si può essere bonari, comprensivi e anche un po’ zuzzurelloni ma l’ostinazione e la determinazione che si manifesta tra le righe è più dura del granito su cui si fonda il Duomo di Modena: se ci sbatti contro ti fai male, molto male.

Così, l’homo aemilianus prende definitivamente forma. Di lì in avanti è tutto un movimento, pacato e danzante al tempo stesso. Si ride e si studia. Si gigioneggia e si costruisce. Si danza e si inventa. E ci si ritrova sempre, pur se in mezzo alla nebbia che non limita lo sguardo altro che otticamente, come se ci fosse un filo invisibile la cui tensione prova la presenza del vicino. E poi quella nebbia è in realtà una immensa siepe di Leopardi, che permette di immaginare gli interminati spazi di là da quella con gli occhi della fantasia. Fantasia che, all’homo aemilianus, non manca di certo.

In questi luoghi e in questo clima nascono Enzo Ferrari e Mauro Forghieri uniti dalla stessa, ostinata, passione. Il primo con gli entusiasmi sempre più smussati dalle asprezze della sua vita ma implacabilmente determinato fino alla fine, il secondo ligio esecutore delle proprie idee e sempre pronto, a dispetto di ogni caduta a rialzarsi più entusiasta e determinato di prima. Ché solo così avrebbe potuto resistere alla corte del Drake per così tanto tempo e solo così avrebbe potuto ricavare dal suo genio le monoposto tra le più belle e vincenti della storia. E con tutti e due dovevi stare attento: se pensavi di fare la voce grossa con loro, magari andandogli contro con un po’ troppa foga, allora ti facevi male, molto male. Da che pensate che derivi il soprannome “Furia”?

 

Stereotipi.

Modena, Ferrari, Tortellini e pure la nebbia.

Dicevo.

 

Oh veh! Cal motàur lè an va minga bein acsè. ‘Sa fàmia ?!

 

[quel motore non va mica bene così. Cosa facciamo?!]

 

La risposta del Furia alla domanda del Drake è semplice:

stiamo qui e ci sbattiamo la testa sopra fino a che non lo facciamo andare come si deve.

 

Perché c’è un corollario a tutto il panegirico scritto prima sull’homo aemilianus allargando leggermente la geografia di base di tutto questo discorso a tutto quel lembo d’Italia che sta tra il Po e gli Appennini perché, in fondo, la rettilinea che il console Marco Emilio Lepido fece costruire 2200 anni fa per collegare Piacenza a Rimini affinché in quel tratto le comunicazioni viaggiassero il più veloci possibile è simbolo che in questo discorso non può non risaltare nel suo colore (ovviamente rosso) più acceso. Se quelli fanno i ravioli noi facciamo i tortellini, se quelli fanno un campanile noi lo facciamo più alto, se quelli vanno veloce allora noi andremo più veloci.

Noi andremo più veloci.

L’ho visto ancora, stavolta virtualmente, il Furia, in qualche bel video su Youtube, che raccontava storie tratte dalla sua lunga esperienza pungolato da Leo Turrini in veste di suo ideale cantore o tra vecchi compagni d’avventura. Lo vedi e lo ascolti e rivedi quelle storie. Ma vedi e rivedi anche i secoli passati di cui lui è fondamento e frutto stereotipico applicato alla Formula 1. La nebbia come slancio e non come ostacolo. La saggia capacità di sapere quando portare pazienza e quando no. La bonomia e l’ostinazione insieme che talvolta fanno luccicare, con un baluginio che si scorge appena, causa levigazione erosiva del tempo, un animo duro come il granito. E anche la sua infinita capacità di comprensione dell’animo umano.

D’altra parte fu lui, in quel pomeriggio giapponese di tanti anni fa, che capì prima e meglio di tutti perché Niki si ritirò. E la sua profonda e umana comprensione non poteva altro che sortire la ormai celeberrima domanda:

Non preoccuparti, Niki, dico alla stampa che hai avuto problemi elettrici?

La risposta di Lauda e i suoi perché, tuttavia, sono un’altra storia.

 

È morto Mauro Forghieri, dopo una lunga e intensa vita.

È morto Mauro Forghieri e mi vengono in mente le due volte che l’ho incontrato.

Come si vede non sono stati incontri epocali o particolarmente significativi.

Ma hanno significato per me.

È morto Mauro Forghieri e mi viene in mente mio padre. Quel giorno che, io bambino, me lo presentò, aveva occhi che brillavano della stessa, meravigliosa, luce di forza e consapevolezza. Luce che in Forghieri ha brillato fino all’ultimo istante e che in mio padre, invece, sta svanendo poco a poco a causa di quel morbo della vecchiaia così terribile da farmelo scrivere solo con la sua iniziale: A. Mentre scrivevo le righe di cui sopra l’ho chiamato, mio padre, per chiedergli se si ricordava in quale paese si svolse quell’incontro. Ma lui, di quell’incontro, non solo non se ne ricordava, menchemeno se si fosse svolto a Mirandola o a Nonantola che sono i luoghi che la mia annebbiata memoria mi suggerisce ma, per qualche agghiacciante istante, non si è ricordato nemmeno chi fossi io.

 

È singolare come un ricordo d’infanzia possa essere straordinario e gioioso e, al contempo, terribile e commovente.

 

È Morto Mauro Forghieri e mi viene in mente quel pomeriggio bolognese. A 22 anni si ha il mondo in mano, stereotipizzo ancora!, e quella volta fu scostante. Lo fu certamente per colpa mia e delle mie inopportune battute e insistenze ma mi piace pensare, in un impeto giovanilistico, che lo fosse stato anche per la malcelata invidia causata dalla vista della graziosa compagnia che mi portavo appresso. Perché, non si fosse capito, “begli-occhi” era così bella che quando camminava chiunque, uomo donna o bambino, si spostava per ammirarla mentre passava e su come proseguì quel pomeriggio lascio la (dovuta) suspense.

Qui il ricordo è fiero e anche un po’ divertente per le sue romantiche implicazioni.

 

 

È morto Mauro Forghieri e mi sono sorpreso a riflettere sui secoli di storia delle terre che l’hanno generato, creandolo simbolo ed eponimo di una passione sportiva in cui ha trasferito il carattere di un intero popolo.

Ci sono certe figure pubbliche, come Mauro Forghieri, che hanno valore di per sé e sono anche la punta (di purissimo diamante) di un movimento che si insinua, nel suo caso con forza e risultati, nella storia, quella con la S maiuscola. E, al contempo, scopro che il suo incarnare così profondamente l’homo aemilianus lo rende imprescindibile patrimonio personale, sì proprio così, personale!, di chi emiliano lo è perché lo aiuta a comprendere la complessità proteiforme della sua identità, plasmandone le avventurose gioie e ammorbidendone gli inevitabili dolori, e di chi invece emiliano non lo è affinché scorga nella sua simbolica figura uno dei tòpos principali che caratterizza non solo gli emiliani ma tutti gli abitanti di questa nostra amata penisola, ben più omogenei di quanto essi stessi credano. Che siano tutti, infine, capaci di essere quel padre giovane che si fa forza della storia in cui è immerso non per rimirarla con malinconica disperazione o per esibirla con stanca e vacua superbia agli occhi di un mondo affamato d’altro ma per guardare creativamente al futuro consapevoli che se ogni tanto si trova qualche intoppo, anziché stare a lamentarsi, stiamo qui e ci sbattiamo la testa sopra fino a che non lo facciamo andare come si deve.

 

E per questo che Mauro Forghieri, per ciò che è stato e per ciò che ha fatto e per ciò che ha rappresentato, ci ha reso tutti più ricchi. Non lo dimenticheremo e non dobbiamo lasciare che scompaia l’afflato simbolico del suo aver attraversato le nostre vite.

Io lo faccio così. Torno quel bambino che giocherellava con il futuristico cruscotto della Trevi e col petto gonfio, il sorriso soddisfatto e ampio e goffo gesticolare me ne faccio un gran vanto, ebbene sì care signore e cari signori!, mi faccio gran vanto di aver stretto la mano alla leggenda e, più indietro nel tempo, di essermi fatto scompigliare i capelli dal genio.

E infine…

Scopro che su quegli stessi capelli poggia un cappello ideale che mi voglio togliere.

Anzi, non un cappello ma un cappellino, di color rosso vivo e con l’effige di un cavallino rampante a far bella mostra di sé sopra la tesa.

Me lo tolgo con delicatezza e m’inchino per onorare, oggi, la straordinaria vita e il meraviglioso ingegno di Mauro Forghieri.

 

Con commosso ossequio.

 

Metrodoro il Teorematico

MIT’S CORNER: NIKI E LA PAUSA CAFFE’

Mi chiedono di contribuire al Blog e io volentieri mi accingo a scrivere quattro righe per dare qualche spunto di riflessione.

La mia prima difficoltà è stata chiedermi cosa diavolo avrei mai potuto scrivere per interessare gli appassionati che non fosse già nei report delle gare e le interessanti discussioni che si dipanavano nei commenti ai post.

E il foglio è rimasto bianco per un bel po’.

Sino a che non mi sono concentrato sul nome stesso del blog: nordschleife1976.

Un nome che per gli appassionati rappresenta l’evocazione più mitica, originaria, direi persino atavica dell’essenza di questo sport.

Già, perché non è (solo) la velocità a caratterizzare il girare di queste belle macchinine con gli alettoni intorno ad una pista. Così fosse sarebbe sufficiente una gara di dragster oppure i GP sarebbero solo degli infiniti Q1, Q2, Q3….Qn.

No.

Non è (solo) la velocità.

 

E’ la perfezione.

 

Ogni appassionato che anche una volta sola nella vita ha girato su una pista di go-kart se n’è accorto.

Non gli basta la velocità, per quanto emozionante sia.

Egli cerca la perfezione.

E la cerca negli angoli, nelle curve, negli assetti, nella tecnica, nei cordoli, nel motore, nelle traiettorie.

“alla fine del rettilineo freno un po’ più tardi, entro un po’ più largo in curva così esco stretto e faccio più veloce la chicane successiva – sono 2 decimi in meno al giro”

Dite la verità: l’avete pensato mille volte vero?

Anche alla rotonda in fondo a viale Cavour, quando non c’è nessuno (mi raccomando eh!): quella scalatina non necessaria, tutte e due le mani che tengono ben salda la presa sul volante, entri-esci dalla rotonda come fosse la variante Ascari e poi in tranquillità fino a Corso Garibaldi a 40 all’ora ma con un sorrisino stampato sul volto che solo voi potete capire.

 

 

Ad ogni modo, eccoci qui.

 

Il Niki Lauda del 1976 sembra un pilota perfetto.

Arriva da una stagione vincente. La macchina è vincente poi salta su quella nuova e continua a vincere.

Gestisce alla perfezione tutte le situazioni

“computer” lo chiamano e, nonostante la strenua resistenza di Hunt e Scheckter, la stagione sembra già indirizzata verso il bis del titolo.

Niki Lauda, infatti, si presenta al via del gran premio di Germania, da corrersi sulla mitica Nordschleife per l’appunto, con più di 30 punti di vantaggio sul secondo: un’infinità col sistema di punteggio di allora e con sole 6 gare al termine della stagione. Basta controllare gli avversari e il gioco è fatto.

 

La perfezione, però, non la si raggiunge mai.

 

Perché poi Lauda ha un incidente.

Anzi ha L’incidente.

Le immagini sgranate dell’epoca sono tuttora facilmente reperibili sul Tubo.

La macchina che sbanda pericolosamente per poi finire sui guard-rail con una fiammata.

Un paio di vorticosi testa-coda che proiettano la vettura di nuovo verso il centro della pista mentre il fuoco già la avvolge.

Il pilota rimane dentro, non esce. Un’altra vettura impatta spaventosamente contro l’inerme Ferrari di Lauda.

L’agghiacciante scena termina con il drammatico intervento degli altri piloti che si fermano e che riescono a estrarre il povero Niki dalle fiamme e a distenderlo lontano dal nugolo di fiamme e di schiuma disperata d’estintore che era diventata la sua macchina.

 

La perfezione, non è umanamente possibile.

 

Immaginarsi i rumori è facile – un po’ meno, forse, gli odori.

Mi immagino quella pista come un fiume di montagna, l’aria tersa che manda lampi frizzanti di acqua tumultuosa che al contempo si stempera nell’odore di resina dei boschi che incombono sulle sue rive.

L’incidente di Niki scuote l’idilliaco quadretto.

Corrompe il bouquet di effluvi balsamici della foresta con l’irruzione di acri e sferzanti odori della miscela di carburante che brucia intorno alle lamiere.

Ancora oggi, nonostante dell’incidente si sappia tutto, nonostante si conoscano gli esiti e tutto il resto della storia, lo scorrere dei fotogrammi rallenta, e con lui il respiro di chi guarda, che si blocca, infine, in quell’attimo di incertezza, tragica e sublime al tempo stesso, che ti confonde sulla sorte del pilota.

Il tutto si chiude con un piccolo sentore ferroso – gusto e non olfatto stavolta: mi sono morso l’interno della guancia un po’ troppo forte.

 

 

La perfezione, forse, è solo una tensione asintotica.

 

 

Ci hanno fatto pure un film su quella stagione.

(peraltro bello, considerando la difficoltà di sceneggiatura che tutte le storie di sport comportano quando le si vogliono mettere sul grande schermo)

Si può romanzare un poco quel che successe dopo l’incidente.

Sappiamo che la gara si annulla e si deve rifare.

Sappiamo che ripartono e c’è un altro nugolo di incidenti.

Sappiamo che ne esce vincitore Hunt davanti all’altro contendente al titolo Scheckter.

Sappiamo che mentre la gara si svolge Lauda viene trasportato in elicottero all’ospedale più vicino.

Sappiamo che i medici devono solo sperare: non l’impatto, non il fuoco, non le ustioni bensì i fumi infuocati respirati in quei tragici momenti sono il pericolo che più tiene sotto scacco il sistema respiratorio di Niki e con esso la sua vita.

Sappiamo che mentre Lauda lotta tra la vita e la morte a Maranello arriva una telefonata ferale: “difficilmente supererà la notte”

 

La perfezione è sempre appena oltre la portata del braccio teso per cercare di toccarla.

 

Quel che NON sappiamo è cosa è turbinato nella mente del vecchio Enzo. Perché sembra impietosa e cinica, la reazione del “Drake”, ma deve aver sentito anche lui, quel 1 Agosto 1976, l’irruzione dei fumi acri della T2 in fiamme giungere sino a Maranello a scompigliare l’afa sonnacchiosa del suo ufficio. Il suo vecchio naso conosce sin troppo bene quell’odore. Getta uno sguardo, tanto fugace quanto l’amaro sospiro che l’accompagna, alle foto appese al muro in diverse file, ognuna corredata di due date di cui la seconda appare sempre troppo prossima alla prima. Vede che c’è ancora spazio in quella parete e dopo aver scosso sconsolatamente la testa si abbandona alla mesta abitudine a questi scenari che solo lui può comprendere. Questo, e non altro, muove il successivo comando che spinge un piccolo nugolo di impiegati a scandagliare rubriche telefoniche e schedari pieni di fogli di carta nella febbrile ricerca del numero di telefono di Carlos Reutemann.

 

Perfezione deriva dal latino “per-fectus”, participio di “per-ficere”: compiere, completare, finire.

 

Usciamo dalle romanzate angustie del “Drake”, rimettiamo il rullo sul proiettore e andiamo avanti veloce.

Lauda NON muore.

Anzi, perde solo due gare e con ancora le bende sanguinanti a coprigli il capo indossa il casco già a Monza.  Si attacca coi denti al campionato. Il vantaggio si è di molto assottigliato ma è ancora davanti. James Hunt sta facendo il campionato della vita, l’occasione è unica e non se la sta facendo sfuggire.

Hunt vince tre gare ma Lauda raccatta un po’ di punti qui e là e prima dell’ultima gara, in Giappone circuito del Fuji, si ritrova sorprendentemente ancora in testa alla classifica con 3 punti di vantaggio.

Ed eccoci di nuovo qui, come alla partenza del Nurburgring: basta controllare un poco la corsa e il gioco è fatto.

Però da quando è tornato tutto ha un sapore strano. Credeva che tutti l’avrebbero aiutato ed esaltato, e la stampa lo fa subito, ma in squadra i visi hanno espressioni indecifrabili. Clay, senza rinnovo, intravedeva forse la possibilità di rientrare, come s’usa dire, dalla finestra e Reutemann aveva accettato l’ingaggio da Monza in avanti purché si fosse d’accordo anche per la stagione 77. Ma il ritorno di Lauda ha scombinato tutto.

Sembra quasi che Niki sia fuori posto nel senso più letterale: lui non dovrebbe essere lì.

Ma c’è, come ci sono i 3 punti di vantaggio.

Quel che non c’è sono gli alleati, la squadra appare confusa e lui non si fida poi così tanto vista la fretta con cui si sono mossi per sostituirlo quando era in ospedale. Gli altri nel paddock lo guardano strano e nonostante tutto quel che ha fatto per tornare sembrano tifare per James Hunt, idolo delle folle e delle ragazzine, personaggio spettacolare ben più del freddo, “computer”, Niki Lauda. Anche la stampa gli volta le spalle: dopo gli inevitabili panegirici del suo rientro a Monza sembrano un po’ tutti interdetti perché nelle interviste fa apparire normale, invece che eroico, il suo atteggiamento. Le omeriche concioni che hanno narrato le sue gesta brianzole sono sfumate via via in perplessi, disillusi e financo scostanti articoli che sembrano raccontare di un impiegato che va al lavoro di mercoledì che non di un Achille che si appresta a sfondare le mura di Troia. Così non va bene, pensano tutti senza dirlo.

Si ritrova senza alleati tranne uno.

Mario “piedone” Andretti da qualche gara sembra più convinto, più costante, più veloce e porta il muso della sua Lotus JPS là davanti più spesso di quanto ci si aspetti. L’espressione del campione italo-americano è di quelle che non fanno sconti. Dopo tante stagioni a correre di qua e di là dall’oceano, spizzicando la Formula 1 come se fosse il boccettino dei salatini di un cocktail-bar, questa volta decide di fare sul serio. Forse sa che la mente di quel geniaccio di Chapman ha già in mente uno sviluppo sorprendente e vuole tenere ben saldo il posto. Quindi lì in Giappone decide che non ce n’è per nessuno. Tutte le sessioni davanti, pole position e sembra dire che del campionato degli altri non glie ne frega nulla: “io vinco, poi vedetevela voi”.

Niki lo scorge, lo annusa, lo vede sicuro e si compiace dei numeri che vede sui cronometri. Poi vede che Hunt inizia le sessioni col “braccino” e anche se alla fine delle qualifiche riesce a piazzare la sua McLaren tra lui e Andretti non si preoccupa: se la bocca di Hunt sorride i suoi occhi no. Ha paura.

A questo punto il piano è fatto. Il “computer” disegna nella sua mente tutto lo svolgimento della gara: parto senza affanni e lo marco stretto. Il Piedone là davanti piuttosto che farlo passare lo butta fuori e quindi lui sarà costretto ad accodarsi. Io mi accodo a mia volta e lo tengo sotto pressione così Andretti andrà via. Clay parte troppo dietro e non mi darà problemi, devo solo stare attento che Scheckter non faccia qualche pazzia delle sue e vinco il mondiale.

Poi viene giù il diluvio.

 

 

Perfezione, dicevamo, è ciò che porta al compimento, al completamento, alla fine ma “fine” significa anche obiettivo, meta, scopo.

 

 

La piccola cittadina di Nurburg è sovrastata da un’alta collina sulla cui cima si trova un antico castello le cui vestigia dominano non solo la cittadina ma anche il circuito da cui siamo partiti e che da il nome a questo sito. L’epoca della sua costruzione non è certa e si pensa che risalga almeno all’epoca delle sue prime citazioni che gli storici hanno rinvenuto in un documento di nomina imperiale di tale Conte Ullrich e di suo padre, conte Teodorico di Are che si suppone abbia ordinato, per l’appunto, la costruzione del castello. Teodorico di Are era nipote di Odone di Toul, vescovo/conte/condottiero, figura dai contorni sfumati, di difficile collocazione biografica di cui però si sa aver reclamato per sé e per i suoi sodali vescovi di Metz e di Treviri,  la regione di Are. L’istituzione della regione, nesso imprescindibile per poterne reclamare il governo e tramandarne il titolo alla discendenza, avvenne con bolla imperiale in un anno imprecisato tra il 1052 e il 1065 nientepopodimeno che dall’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV.

Sì, proprio lui, quello che qualche anno dopo fu costretto ad andare a piedi a Canossa a umiliarsi davanti a Matilde per ottenere la revoca della scomunica.

Mi piace pensare, giocando di fantasia, che in questo tortuoso richiamo di riferimenti storici e geografici Enrico IV, nella sua lunga e penitenziale camminata dalla Germani a Canossa, sia passato per Maranello (in fondo non è improbabile: anche allora il Brennero era imprescindibile punto di accesso all’Italia) e qui abbia brevemente sostato per bere un sorso d’acqua, magari presa da un pozzo che mai si sarebbe immaginato essere giusto sotto l’ufficio che nove secoli dopo sarà di Enzo Ferrari.

Tre giorni ha dovuto penare Enrico IV, prima che Matilde gli desse udienza. Umiliazione talmente grande che passerà alla storia anche come idiomatico modo di dire.

E mi piace pensare che Niki Lauda, quel giorno sotto il diluvio, stesse pensando a qualcosa di simile all’umiliazione di Enrico IV. Avrebbe vinto il mondiale e tutti coloro che non ci avevano creduto, tutti coloro che l’avevano dato per morto, che non lo volevano più in Formula 1, che non gli hanno dato neanche il beneficio d’inventario di vedere il suo corpo in una bara, tutti ma proprio tutti avrebbero dovuto prostrarsi ai suoi piedi e chiedergli perdono.

Venite pure a Canossa, infedeli che non siete altro!, voi della squadra, voi del paddock, voi giornalisti e vieni anche tu, Enzo, che già stavi cercando chiodi e martello per mettere la mia foto su quella parete là.

Venite a inginocchiarvi davanti a me, mentre inforco il gommone di alloro che mi proclama campione del mondo.

Venite.

 

Sarà il finale perfetto per questa stagione. Perfectus

 

Ma.

 

La paura di vincere che aveva scorto negli occhi di James, contraltare disperato al suo sorriso larger-than-life che tanto faceva impazzire le ragazze, se la vide comparire specchiata dalla visiera del suo stesso casco, accompagnata da qualcosa di ancora più profondo e atavico.

La paura della morte.

 

Niki parte male, nel diluvio.

Non vede nulla e non capisce più nulla. La paura non è più quella del brivido della velocità, quella la sa gestire. No. Quello è terrore, timor panico e, in definitiva, la paura che il destino che aveva schivato al Nurburgring stia per pararsi innanzi a lui sotto la beffarda forma di una bandiera a scacchi definitiva. Il compimento, il completamento, la fine della sua vita era lì davanti a lui, pronta a manifestarsi ad ogni scintillio delle candele del suo 12 cilindri a V.

 

Cosa è perfetto? Cosa è Per-fectus? La fine?

 

Tutto è cominciato con una imperfezione: la sbandata al Nurburgring che ha generato l’incidente.

Ma continua, Niki, con l’imperfezione: non muore. Doveva morire, tutti si aspettavano che morisse, la perfezione, ossia il compimento di quanto accaduto con l’incidente, proprio quello richiedeva ma lui non muore. E’ ancora lì.

E continua ancora: doveva stare a casa, riposarsi e riprendersi. Ma lui no, ritorna in fretta. Persino il riposo è imperfetto.

E poi ancora più imperfetto: si presenta al via dell’ultimo GP in testa alla classifica ma lui non doveva essere lì.

Imperfetto, poi, è il suo atteggiamento: no, signori, no. Non c’è nessun eroismo in quel che faccio. Sto facendo solo il mio lavoro.

E se perfezione significa portare tutto a compimento e completamento allora sapete che faccio? Sarò, ancora una volta, imperfetto.

Sarò imperfetto esattamente come lo sono stato quando ho sbandato al Nurburgring prima di stamparmi contro il guardrail.

L’ho sbagliata, quella S, sì. L’ho sbagliata, sono stato imperfetto.

Sono passati solo 2 giri, mi fermo, chissenefrega, bravo James se tira dritto fino in fondo e vince, mi fermo, non ne ho bisogno, chi me lo fa fare? Mi fermo subito, andate avanti voi, poi saluto tutti.

 

(c’è poi un uomo, anzi un Uomo, che quando vede fermarsi la Ferrari numero 1 ai box capisce tutto subito)

 

“diciamo che è un problema elettrico, ok?”

“no, Mauro, va bene così, ci vediamo mercoledì in ufficio che mi offri il caffè”

 

Scorrendo la classifica dei primi  otto arrivati al Nurburgring 1976 si vede che cinque sono morti prematuramente:

James Hunt, divorato dai suoi fantasmi, viene trovato morto in casa nel 1993 a 45 anni

Carlos Pace, in un incidente su un aereo privato, nel 1977 a 32 anni.

Gunnar Nilsson, portato via da un male incurabile, nel 1978 a 29 anni.

Rolf Stommelen, un grave incidente in gara prototipi, nel 1983 a 39 anni.

Tom Pryce, un orribile incidente a Kyalami, nel 1977 a 27 anni

 

Scorrendo la classifica dei primi otto arrivati a Fuji 1976, oltre a Hunt e Nilsson vediamo anche:

Patrick Depailler, perito in un grave incidente nel 1980 a 35 anni

 

Pure Clay Regazzoni compare nelle due classifiche: un incidente a Long Beach nel 1980 lo rende paraplegico per il resto della sua vita conclusasi, ironia del destino, con un incidente in autostrada, nel 2006.

 

Per-fectus non è la fine, è IL fine: portare a casa la pellaccia.

Giochiamo con il destino dentro quei circuiti ma la vita non è un gioco. Tutti gli sport si prestano a metafore ove vittoria=vita e sconfitta=morte ma dopo ogni partita si ricomincia. Nella Formula 1, purtroppo e troppo spesso, quella metafora perde il suo senso retorico e si tramuta in qualcosa di reale. La ricerca della perfezione è il suo fascino più grande perché confina, spaventosamente, con la linea più estrema di tutte.

Mentiremmo a noi stessi se non sapessimo che nel profondo è questo tipo di perfezione che cerchiamo quando, ogni domenica in ogni circuito, ci sediamo nella monoposto insieme ai piloti. Vorremmo provare le loro stesse emozioni, giriamo un volante ideale, nell’aria, disegnando quella curva nel miglior modo possibile, sentiamo il piede sinistro avere un fremito prima della staccata durante un camera car. La cerchiamo anche noi, quella perfezione. Ma quella perfezione è anche il limite da non toccare mai.

 

Ce lo ha insegnato Niki: se lo tocchi ti bruci.

Letteralmente.

Meglio essere un po’ imperfetti.

In tutti i sensi.

 

Almeno…

 

… se vuoi avere qualcosa da raccontare mercoledì prossimo, in ufficio, davanti a un caffè.

 

Metrodoro il Teorematico