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NELLA GARA FOLLE DI BAKU HAMILTON RISPARMIA VERSTAPPEN E PEREZ BRINDA CON VETTEL E GASLY

Ogni anno si descrive la gara di Baku come una gara anomala, su un circuito anomalo.

L’ennesima disquisizione  sul circuito non interesserebbe nessuno. Viceversa potrebbe essere interessante analizzare gli eventi  che in questa gara ogni anno sono all’altezza delle trame dei migliori thriller.

Iniziamo dalle qualifiche in grado di sovvertire ogni pronostico e di regalare alla Ferrari una pole position inaspettata da chiunque, compreso l’autore, tal Carletto Leclerc.

Ferrari che si era presentata con l’obbiettivo dichiarato di limitare i danni e invece si è ritrovata con una pole e un quinto posto in griglia che, incredibile, sta, come a Monaco, stretto a Carlos Sainz, ancora una volta per colpa di bandiere rosse intempestive.

Alzi la mano chi solo l’avesse immaginato alla vigilia, anche in preda a una dose massiccia di allucinogeni.

Tornando lucidi, le prove libere e le qualifiche hanno mostrato una Red Bull estremamente performante in grado di implementare un passo gara inavvicinabile da tutti gli avversari, compresa la Mercedes. Quest’ultima ha guadagnato una prima fila esclusivamente per merito di Lewis Hamilton che ha fatto ricorso a ogni mezzo per sopperire alle lacune della macchina.

Con queste premesse, alla partenza, Charles ha sputato l’anima per conservare la testa della corsa riuscendoci solo per qualche giro. Poi il crollo delle prestazioni delle gomme morbide come atteso dai riscontri delle prove libere, hanno permesso ad Hamilton prima, Verstappen e Perez poi, di sfilarlo facilmente.

Ebbene si, proprio Perez che finalmente è sembrato aver smaltito il tirocinio con Red Bull e si è mostrato all’altezza delle aspettative di inizio stagione.

(immagine da corriere.it)

Le difficoltà di Leclerc con le gomme sono evidenziate anche dal fatto che è il primo a dover fare pit stop. I pit stop, come spesso accade, sono l’occasione per regolare i valori in campo e in questo Baku si rileva tradizionalista. Alla fine del carosello di soste Verstappen si trova saldamente in testa assieme al compagno di squadra, davanti ad Hamilton.

Si mette in luce anche un redivivo Vettel che, ritrovatosi in prima posizione per lo stint particolarmente lungo, infila una fila di giri veloci che gli consentono di rientrare in settima posizione dietro a Leclerc e davanti a Sainz. Eh la magia di Baku!

Per qualche giro l’unica emozione in pista è rappresentata da Hamilton e dalle sue lamentele con il suo ingegnere “Bono”. Lewis non è abituato a correre in terza posizione senza possibilità di migliorare.

La monotonia è rotta da Stroll che finisce a muro per lo scoppio di un pneumatico. Siamo al 31esimo giro e si vede la prima SC del giorno. Ironia della sorte Stroll non aveva ancora pittato forse in attesa di una SC che gli garantisse di farlo con vantaggio.

Alla ripartenza Leclerc si fa sorprendere e infilare da Vettel nel prosieguo di un declino delle prestazioni di giornata.

Dopo pochi giri finisce la corsa di Verstappen. Apparentemente in testa senza problemi, è vittima dello scoppio di una gomma posteriore sul lungo rettifilo, probabilmente per un detrito, e finisce a muro senza danni personali. Incredibile. In testa c’è una Red Bull ma è quella di Perez.

La necessità di sgombrare il rettifilo induce la direzione gara ad esporre la bandiera rossa. La gara sarà ripresa con una nuova partenza da griglia e solo tre giri di gara rimanenti. Al via un ingordo Hamilton brucia Perez alla ricerca della vittoria ma finisce lungo alla prima curva bruciando ogni velleità non solo di vittoria, ma anche di marcare punti.

Hamilton grazia

Nel frattempo Charles Leclerc finisce per essere sorpassato anche dalla Alpha Tauri di Gasly. Si prospetta ai nostri occhi un podio improbabile con Perez vincitore davanti a Vettel e Gasly. Personalmente sono contento per la bella giornata di questi tre piloti che per per varie ragioni accampano il diritto a questo risultato.

Le sorprese non sono finite perchè il sesto posto se lo accaparra quel marpione di Fernando Alonso che decimo alla ripartenza è finito sesto solo in tre giri. Non so come ma la fame di risultati rimane inalterata nonostante il passare degli anni e continua a fare miracoli.

Resta da segnalare una gara abbastanza sottotono, almeno per le aspettative, della McLaren. E nonostante il punticino racimolato da Kimi anche dell’Alfa Romeo Sauber.

Della Ferrari io credo che si debba essere contenti del passo in avanti almeno a livello di giro secco. La squadra sta crescendo su una base giovane e solida per quanto riguarda i piloti (anche se oggi Leclerc ha sbagliato due volte nelle ripartenze, vedo il fine settimana come positivo). Si vedono miglioramenti continui anche a livello di squadra in un trend positivo. La domanda vera è se questo sia sufficiente per perseguire l’obiettivo dichiarato, cioè la competitività per l’assoluto nel 2022.

Serve tempo siamo soliti dirci. Glielo stiamo dando accontentandoci di poco. Speriamo basti.

Rimanendo all’attualità l’errore di Lewis mantiene vive le speranze di Verstappen. Bisogna però che Mercedes faccia il suo con prestazioni “terrene”. In Red Bull adesso sono due contro uno (avete letto qualcosa di Bottas?).

Valther – aka Aviatore

F1 2021 – GRAN PREMIO D’AZERBAIGIAN

Il GP di Montecarlo, come da copione, ha offerto poco spettacolo in pista ma ha reso nuovamente incertissima la lotta per il titolo mondiale.

Complice il tragicomico ritiro di Leclerc, quello altrettanto fantozziano di Bottas e una gara davvero incolore del leader Hamilton, Verstappen si è portato a casa vittoria e primo posto nella classifica mondiale.

Quattro miseri punti dividono i due unici contendenti al titolo 2021 dopo che le prime quattro gare avevano dato la netta impressione che il pacchetto Hamilton/Mercedes fosse ben più attrezzato di quello Verstappen/Red Bull.

Adesso è il turno di Baku e del suo tracciato cittadino a metà strada tra la velocità di Monza e le stradine del Principato.

Ecco, diciamo subito che la palma del “maniavantismo” questa volta se la becca la Ferrari, che ha già dichiarato che correrà in difesa sul circuito azero.

immagine da quotidiano.net

Le simulazioni hanno dato poche speranze ai rossi di condurre una gara da protagonisti, principalmente per la presenza dei lunghi rettilinei che dovrebbero penalizzare non poco la SF21H.

Certo potrebbero esserci delle sorprese, in primis la gestione delle gomme di uno step più morbido rispetto al GP del 2019, ma in Ferrari sembrano pronti a vivere un weekend in cui dovranno cercare di mettersi alla spalle il triello Aston Martin/Alpine/Alpha Tauri piuttosto che combattere con McLaren.

Proprio la McLaren viene data come grande protagonista a Baku grazie alle velocità di punta elevate mostrate in questo inizio di stagione. Norris è gran forma e reduce dal podio monegasco, qualche dubbio in più su Ricciardo che non ha un gran feeling con la pista azera: due ritiri nelle ultime due edizioni e il famoso autoscontro con l’allora team-mate Verstappen.

Uno che di scontri a Baku se ne intende è Vettel che arriva ringalluzzito dall’ottimo weekend di Montecarlo che probabilmente (anche se lui non lo ammetterà mai) gli ha fatto capire di avere ancora qualcosa da dare al mondo della F1. Non è da meno il suo compagno Stroll che a Baku ha conquistato il suo primo podio in carriera e si è sempre fatto valere.

immagine da motorbox.com

Paradossalmente proprio la Aston Martin è l’incognita del weekend, una monoposto che nelle intenzioni doveva ricalcare le prestazioni della W11 Mercedes ma che si sta rivelando peggiore delle aspettative.

In Alpine e Alpha Tauri al momento il problema più grande sono i piloti. Se per Tsunoda, dopo gli exploit iniziali e le tante (troppe?) lodi c’è stata una netta involuzione anche caratteriale che lo ha messo nel mirino di Marko, sorprendente invece pensare ad un Alonso come l’attuale anello debole della Alpine.

Lo stesso Alonso ha più volte ammesso che al momento fa fatica a “copiare” le prestazioni di Ocon ed è in difficoltà soprattutto per un calendario che lo hanno visto correre su piste sulle quali non correva da un bel pò di tempo, guardando al GP di Francia come ad un nuovo inizio di campionato.

immagine da motorbox.com

Il GP di Monaco è stato sorprendente anche nel dualismo Schumacher/Mazepin, con il primo che ha inanellato una serie di errori che ci si sarebbe aspettati dal secondo. Baku sarà l’ennesima tappa di un campionato corso nelle ultime posizioni e valido esclusivamente come apprendistato, con l’imperativo di portare a casa un weekend con le macchine integre per entrambi.

Tra Williams e Alfa Romeo puntiamo decisamente più sulla prima che sulla seconda ma difficilmente porteranno a casa qualche punto alla fine della gara di domenica.

Dulcis in fundo, i due litiganti Mercedes e Red Bull. Come per gli ultimi appuntamenti continua il teatrino delle accuse reciproche, risposte piccate e provocazioni: ali flessibili, track limits, guerre psicologiche e tecnici “rubati”.

Non ci si fa mancare neanche il vecchio adagio del “ci aspettiamo un GP difficile” oppure “vedo i nostri avversari forti su questa pista”, niente di nuovo anche se molto noioso.

immagine da motorbox.com

Di sicuro entrambi i team dovranno elevare il loro livello di attenzione ed efficienza in gara dato che a Baku spesso e volentieri ci sono state gare “pazze” in cui cogliere l’attimo e fare le scelte giuste al momento giusto.

Probabilmente più che in altri circuiti saranno fondamentali Bottas e Perez, con il finlandese che è sempre andato molto forte in Azerbaigian.

Pirelli, come già accennato, porterà delle mescole di uno step più morbide rispetto all’ultima edizione datata 2019, questo dovrebbe far considerare ai team una strategia alternativa a quella dell’unica sosta.

Curiosità soprattutto nel capire se Hamilton ha resettato il cervello dopo lo sfacelo monegasco e se Verstappen è davvero entrato in modalità “prostiana”, ovvero quando non si può vincere, non strafare e accontentarsi di quello che viene.

*immagine in evidenza da alvolante.it

Rocco Alessandro

 

 

LE F1 INVISIBILI – PAUL WARWICK

Esiste quella che chiamo la “F1 invisibile”, quell’insieme di personaggi che potevano essere campioni ma che hanno mancato l’appuntamento col Destino.

La storia è opaca. Noi vediamo chi ce l’ha fatta; ignoriamo chi ha fallito. Tutti i miei articoli alla fine parlano di questo: gli articoli sulla F2 mostrano la Storia che si dispiega in tempo reale; questi altri ambiscono invece a dar corpo, sia pure per un attimo, alla F1 invisibile.

Qualunque serio appassionato di storia della F1 conosce Derek Warwick: fu una grossa promessa del motorsport britannico, era veloce tuttavia non rese quanto era lecito aspettarsi. Ma è una figura comunque realizzata, che aveva trovato la sua dimensione e il suo spazio. Stavolta voglio invece parlare del fratello Paul, classe 1969, 14 anni più giovane.

[COURTESY OF THRUXTON.F9.CO.UK]

Mentre Derek esordiva nella massima Formula, nel 1981 Paul iniziava la sua carriera nel mondo del karting. Warwick jr filava forte davvero: diventò campione nazionale Superstox nel 1984 a Ipswich (dopo aver falsificato i documenti per risultare più vecchio e aggirare i limiti di età), East Anglian e British Champion nel 1985 a Wisbech. Nel1986 passò alle monoposto: alla sua prima stagione in Formula Ford 1600 Paul riuscì a vincere otto delle dodici gare della Dunlop-Autosport Star of Tomorrow e, già che c’era, conquistò pure la Townsend Thoresen Junior. Lo stesso ruolino di marcia di un paulista mooolto discusso…

[COURTESY OF THRUXTON.F9.CO.UK]

Nel 1987 Paul approdò in Formula Ford 2000. Il campionato era in declino, senza un grande supporto finanziario e tecnologico; l’annata fu complicata da carenze tecniche e da un ambiente instabile, ma comunque mostrò velocità e solidità. I risultati conseguiti infatti gli permisero di proseguire e di approdare nella F3 britannica con il team che l’anno prima aveva vinto con Johnny Herbert. Entrò nel campionato da gran favorito, tuttavia non andò come sperava, sia per motivazioni tecniche (una cattiva integrazione tra telaio e motore – dico solo che in una gara si ritrovò con il volante in mano) che per una salute traballante, e non andò oltre l’ottava posizione.

[COURTESY OF PINTEREST.COM]

Il 1989 fu simile, malgrado, per l’ennesima volta, un cambio di scuderia avesse fatto ben sperare. Ancora una volta si era trovato nel posto giusto al momento sbagliato: il telaio era peggiore di quello dell’anno prima e il motore era un rantolo. Neanche i compagni di squadra Vincenzo Sospiri e Damon Hill (!) riuscirono a estrarre qualcosa di buono da quella macchina. Gli sponsor si mettevano in mezzo e facevano pressione, i risultati non arrivavano, nel team non si respirava una bella atmosfera. Con tre punti chiuse lontanissimo dai primi, comunque davanti agli illustri teammate, a dimostrazione del suo talento.

[COURTESY OF AUTOMOTORFARGIO.WORDPRESS.COM]

Che fare? Le opzioni a questo punto sono tre: spostarsi in F3000 (la F2 dell’epoca), arretrare nella Formula Vauxhall Lotus o continuare a erodere la sua reputazione in F3. Andare in una categoria superiore sarebbe stato incerto e costoso, retrocedere avrebbe sancito in pratica la sua fine agonistica, pertanto Paul decise di restare in F3. Stavolta, spostatosi in un team dall’ambiente più favorevole, le prestazioni furono incoraggianti, ma ancora una volta fu sopravanzato da piloti meno esperti ma con macchine più supportate.

[COURTESY OF PINTEREST.COM]

Dopo aver meditato di lasciare le corse, riuscì a trovare un sedile in F3000. Era solo una sostituzione per quattro gare e la macchina era una tremenda Leyton House (non che il team non fosse abile, tutt’altro, solo che stavano concentrando le loro risorse in F1), ma fu sufficiente. Senza la pressione opprimente della F3 si mostrò finalmente competitivo e portò a casa i migliori risultati stagionali per il team.

[COURTESY OF FLICKR.COM]

Aveva retto molto bene l’incremento delle potenze; Nigel Mansell, che in quel periodo gestiva anche una scuderia, rimase colpito e gli offrì un volante per correre nella F3000 britannica, uno dei campionati al vertice delle serie minori. Paul accettò e a questo giro concretizzò l’occasione. Prima gara, pole e vittoria come non accadeva da tre anni. Seconda, idem. Il suo dominio fu strepitoso: nelle prime quattro gare ottenne sempre la pole, la vittoria e il giro più veloce. La F1 e la F3000 Giapponese (campionato prestigioso, all’epoca – fece anche un test) si stavano interessando a lui.

I was gutted and remember thinking ‘for f***’s sake, what do I need to do to beat this guy?” pensò il suo rivale Phil Andrews dopo che, a Oulton Park, per la quinta volta Paul ottenne la pole. In gara si ripetè lo stesso copione: Warwick jr mantenne la testa al via e staccò il gruppo senza fatica. Fino a sette giri dalla fine.

La Knickerbrook è una rapidissima curva a destra che prende il nome dal fatto che, durante la costruzione del circuito, in quel punto venne rinvenuta della biancheria intima femminile (cercate “knicker” sul dizionario). All’epoca lì si toccavano i 260. Oggi è preceduta da una chicane lenta.

A sette giri dalla fine Warwick impostava per l’ennesima volta la Knickerbrook; era in totale controllo della gara, ma il mezzo fli riservò una sorpresa. Un braccetto della sospensione anteriore cedette, e Paul si trovò senza sterzo né freni proprio in prossimità della curva. “There was a puff of smoke from his car and he went straight in to the barrier (…) It just came straight back out from the barrier, but it also went up in the air after the impact and then it just erupted in to flames” raccontò Richard Dean, il più vicino degli inseguitori.

Dean fermò la macchina nei pressi dell’impatto; gli altri piloti pensarono semplicemente che avesse forato sui detriti e tirarono dritti. “I could see the rear of the car but the smoke was so thick it was difficult to see anything beyond that. I tried to feel for the cockpit of the car with my hands but there was just nothing there. I could see the wheel was attached to the rear bulkhead and the front axle was intact but the cockpit opening was just shattered“.

Dean aiutò i commissari a estrarre Paul. L’eroismo fu inutile e non ebbe mai un riconoscimento ufficiale: Paul Warwick fu trasportato in ospedale ma morì subito dopo l’arrivo. La gara fu stoppata e, secondo il regolamento, la classifica da tenere in considerazione era quella del giro prima. Paul Warwick risultò pertanto vincitore per la quinta volta consecutiva; abbastanza per vincere il campionato. Un campione postumo, proprio come era accaduto in Formula 1 a Jochen Rindt, ventuno anni prima.

Dal principio all’epilogo, si era sempre trovato nel posto giusto al momento sbagliato.

[COURTESY OF THEFASTLANE.CO.UK]

La sua carriera fu dimenticata in fretta. Lasciò un segno solo sulla Knickerbrook, che venne rallentata da una chicane, come di solito accade.

Lorenzo Giammarini, a.k.a. LG Montoya

[Immagine di copertina tratta da au.Motorsport.com]

NANDO E I CAMPIONI DI RITORNO

Prima di scatenare le ire dei tifosi dell’asturiano o di far venire il bollore ai suoi anti sgombriamo il campo e diciamo subito che NON stiamo esprimendo nessun giudizio.

Si tratta di sole cinque gare, troppo poche per sentenziare qualsiasi cosa, ma un analisi si può cominciare a fare in una domenica “off” della F1.

Fernando sta incontrando più difficoltà di quelle che lui stesso (forse) si sarebbe aspettato. Al di la del confronto diretto con Ocon riassunto dagli asettici numeri, sta combattendo con una performance non ancora costante e, pare, con un servosterzo Alpine troppo leggero con il quale non è ancora entrato in sintonia.

Rientrare dopo un paio d’anni lontano dalle F1 non è stato facile per nessuno, neanche per i campioni del Mondo del passato che tra fortune alterne hanno riaperto un capitolo che pareva volessero chiudere per sempre.

Per non andare troppo indietro nel tempo possiamo ricordare il mitico Lauda che, dopo aver “lanciato” il volante della Brabham a fine 1979, rimise il suo famigerato “kulo” su una discreta McLaren vincendo alla terza gara e laureandosi campione del Mondo due anni dopo ancora nel 1984.

(immagine tratta da motorifanpage)

Suo “coetaneo” fu Mario Andretti che scese dall’Alfa nel 1981 e restò fermo sino a Monza 1982 richiamato dalla Ferrari alla quale regalò la pole position ed un bel podio nel suo secondo debutto per poi salutare definitivamente il Circus.

(immagine tratta da pinterest)

Alain Prost vinse il suo quarto titolo dopo un semplice anno sabbatico (diciamo un anno e un pezzo visto l’appiedamento rosso) tra l’esperienza Ferrari e quella Williams. Nulla paragonabile all’esperienza Alonso che ha interrotto per più tempo e che non è salito su una AMG quale poteva essere la Williams dell’epoca.

(immagine tratta da motorsport.com)

Molto più simile all’esperienza di Fernando può essere quella di King Michael Schumacher che si fermò un anno in più di Nando per rientrare in Mercedes alla stessa età in cui lo spagnolo è risalito sull’Alpine.

L’esperienza del kaiser fu comunque molto faticosa, confrontandosi con auto dotate di un’aerodinamica diversa, della presenza del Kers ed accanto ad un pilota emergente (equiparabile all’epoca all’attuale Ocon).

Il tedesco riuscì a conquistare in tre anni una sola pole (peraltro manco goduta) ed un podio a Valencia 2012, concludendo tutte e tre le stagioni dietro al teammate in classifica generale.

(immagine tratta dal sito derapate.it)

In ordine di tempo l’ultima esperienza di un Campione del mondo di rientro è quella di Kimi Raikkonen. Appiedato a fine 2009 dalla Ferrari si presenta a Melbourne 2012 calato nell’abitacolo della Lotus: nel primo anno riesce a conquistare il primo podio da rientro alla quarta gara, a vincere un GP ed a concludere terzo nel Mondiale. Certo, aveva anche solo 32 anni invece di quasi 40..

(immagine tratta da F1sport)

Quest’analisi non è redatta per fare un confronto, ma solo per comprendere quanto sia difficile mollare e poi rientrare anche se sei un pluri campione. E’ vero, le auto di oggi “sembrano” più facili, ma forse non è così davvero.

Un tempo l’ufficio del pilota comprendeva tre pedali, una leva ed una ruota da girare davanti al casco. Poi serviva molto coraggio, e tanto talento assoluto.

Oggi l’ufficio del pilota è fatto da un megapc di fronte agli occhi, da un’infinità di parametri da controllare durante la guida, da una radio da ascoltare che talvolta ti aiuta ma spesso di distrae. Oltre al pelo ed al talento servono una diversa capacità di analisi, una diversa capacità di reazione agli stimoli.

(immagine tratta da Formulapassion)

Tra le premesse del rientro di Fernando c’era l’obiettivo 2022 con i regolamenti stravolti. Non era ipotizzabile neanche per lui stesso l’essere vincente sin da subito con un Alpine che invece pare aver fatto un passo indietro in termini di competitività rispetto allo scorso anno. Di certo questo 2021 e le gare che lo comporranno dovranno essere una sorta di palestra che gli possa consentire di tornare il solito animale da gara che è sempre stato. Alonso non è mai stato un gran qualificatore e se nelle prime gare è riuscito ad arrivare sugli scarichi del compagno di squadra partendo da molto più indietro sulla griglia, a Barcellona e a Montecarlo ha faticato troppo per essere lo stesso Nando che abbiamo sempre conosciuto.

Da lui ci si attende che possa regolarmente mettersi dietro Ocon sia in griglia che sulla linea del traguardo e siamo certi che lui se lo aspetta più di chiunque altro.

Forza Alo. Vamos.

 

(immagine in evidenza tratta da eurosport)

BASTIAN CONTRARIO: LA COLPA DI OSARE

Esattamente quindici giorni fa, su questa rubrica, il sottoscritto senza perifrasi (e peli sulla lingua) affermava che Ferrari aveva imboccato la strada giusta. Il GP di Montecarlo è stata una piacevole conferma a quanto detto. Persino il Team Principal Binotto ha affermato che non si sarebbero aspettati di poter essere in condizioni di vincere. In tempi di fake news (e con Toto che fa da maestro nel trollare l’intero paddock) quanto c’è da credere veramente al buon Mattia? Pretattica o meno va da se che è proprio vero il vecchio adagio del:“chi va bene  a Barcellona va bene ovunque”. I token spesi per il retrotreno si sono rivelati un ottimo investimento e là dove la trazione conta Ferrari può dire la sua. Ciò che veramente è importante (non finirò mai di ripeterlo) è che il lavoro speso in GeS porta (finalmente!) i suoi frutti. Questa è la vera notizia su cui ci si deve concentrare, perché questa metodologia di lavoro è la stessa che verrà utilizzata per affrontare il regolamento prossimo venturo.

Non finirò mai di ripetermi in merito a questo argomento: la ricerca della vittoria in questo mondiale da parte della Ferrari, sebbene sia sacrosanta, è allo stesso tempo fine a se stessa considerando che l’obiettivo dichiarato è un altro. Tuttavia, se questa agognata vittoria si presentasse come dono dell’Altissimo, di certo non lo disdegnamo. Ed è proprio quello che è successo nel weekend monegasco dove tutta la squadra rossa ha capito che poteva e doveva osare nell’inseguire questo sogno, e se osare è una colpa allora Ferrari è colpevole. Non a caso parlo di colpa visto che dopo il botto di Charles, come sempre, polemiche e speculazioni non sono mancate. Speculazioni che sono divenute sentenze dopo aver visto Leclerc arrivare ai box zoppo, subito dopo aver messo la macchina in pista, ed aver capito che anche quest’anno la maledizione “del DNF nel GP di casa” si sarebbe rinnovata.

Il tifo come sempre deve essere accantonato e bisogna analizzare con lucidità quanto successo. Se esiste un colpevole per quanto visto domenica allora il beniamino monegasco è l’indiziato numero uno. Charles è colpevole di aver osato di conquistare la pole a tutti i costi? No! Semplicemente egli è reo di aver mancato di lucidità nel momento che più serviva. Al secondo tentativo della Q3 era lui in vantaggio e, su una pista come Montecarlo, due decimi e rotti di margine non sono affatto pochi. Chi avrebbe dovuto attaccare, chi avrebbe dovuto  accollarsi dei rischi sarebbero dovuti essere gli altri ossia i suoi diretti avversari.

Non Hamilton,il quale, insieme alla sua squadra, non c’ha capito nulla per tutto il weekend. Squadra che, quando è sotto pressione, si scioglie come neve al sole. Squadra (inoltre) che il campione inglese dovrebbe idolatrare se non altro per tutto quello che gli ha dato, non sputtanarla appena le cose vanno male. Vincere sempre è una droga e può anche far perdere il senso della realtà.

Chi sono stati dunque i diretti avversari di Leclerc? Naturalmente il suo team mate Carlos Sainz e l’onnipresente Verstappen, al quale bisogna dare merito del fatto che non molla mai! Probabilmente è vero che lo spagnolo aveva nel piede la pole (come da lui affermato). Forse Max sarebbe riuscito a superarlo (anche se per sua stessa ammissione è rimasto stupito dal potenziale espresso dalla rossa). Il punto è che il ferrarista monegasco era in una posizione di controllo e purtroppo ha finito per passare da cacciatore a preda. Capire l’episodio della qualifica di sabato è fondamentale in questa storia perché tutto parte da lì e tutto quello che abbiamo visto è stata una diretta conseguenza di quello stesso episodio.

Nel male bisogna vedere il bene e Ferrari ha dimostrato al mondo (il mondo che veramente vuole vedere) il cambio di passo che ha ottenuto non solo tecnicamente (chi avrebbe mai detto qualche mese fa che ci saremmo giocati almeno una vittoria?) soprattutto nella mentalità. Ferrari ha osato perché voleva vincere. Per quale motivo dovrebbe essere una colpa? La Scuderia avrebbe potuto accontentare i tifosi dal giudizio facile e sostituire il cambio? Certo! Per fare cosa? Per partire dalla terza fila e lì rimanere, perché tanto a Montecarlo con queste macchine non passi neanche col bazooka! Sostituzione tra l’altro che sarebbe risultata inutile visto che il guasto è avvenuto su un altro componente mentre il cambio era ok. I controlli ai raggi X inoltre non saranno mai accurati in trasferta, questo per ovvi motivi di tempo e logistici. Ciò detto dunque, Leclerc si sarebbe comunque fermato nonostante la sostituzione. Ebbene lì Ferrari avrebbe avuto colpa… colpa di non osare e di non credere di poter vincere a qualunque costo. Ci si concentra sul famoso terzo posto nei costruttori quando alla beneamata Scuderia quella posizione sta stretta tanto quanto un paio di scarpe più piccole di un paio di misure. L’atteggiamento dei Rossi è stato un segnale forte, prepotente, di quelli che ti fanno capire che c’è volontà nel voler ottenere il solo risultato possibile: vincere! Guai se non fosse cosi.

L’errore di Charles palesa la sua non ancora completa maturazione che non gli permette di leggere la situazione. Non ci si dimentichi infatti che il monegasco è in Ferrari solo dal 2019 mentre Verstappen è in Red Bull già dal 2016: tre anni almeno di vantaggio (in un top team) che fanno la differenza. Non dimentichiamo i botti dell’olandese proprio tra le stradine del principato tra l’altro. Questo errore non è da condannare, semmai è da custodire gelosamente al fine di imparare la giusta lezione che fa parte dell’insegnamento di Leclerc. Inoltre ben vengano ora questi sbagli, invece di quando si fa sul serio… tipo giocarsi il titolo! Perché quando arriverà quel momento si dovrà sempre essere colpevoli di osare.

 

Vito Quaranta

(immagine in evidenza da Eurosport.it)