Amanda e la capra

C’è un giochino perverso che mette il concorrente di fronte a tre porte.
Dietro una delle tre porte c’è una bionda mozzafiato; dietro ognuna delle altre due, una capra.
Una volta operata la scelta, il presentatore, con un pizzico di malvagità, apre una delle due porte che non sono state scelte.
Una porta che cela, ovviamente, una capra.
Ora il concorrente sa che dietro le due porte rimaste (una delle quali era la sua prima scelta) c’è rispettivamente Amanda Seyfried, e il simpatico esponente del genere Caprini, famiglia dei Bovidi.
Che rumina.


E a questo punto scatta la parte divertente del giochino perché il presentatore sempre più sadico, chiede al concorrente se questi voglia tenersi la sua scelta iniziale o se voglia cambiare scelta e andare per l’altra porta.
Il senso comune suggerirebbe che l’azione di scoprire una capra dietro una porta non scelta non possa influenzare in alcuna maniera l’esito della cena con una splendida diva del cinema, o con un mucchio di pelo puzzolente.
Che rumina.
Eppure la cosa migliore per il concorrente sarebbe scegliere di nuovo e optare per l’altra porta.
Chi ha tempo e voglie di rispolverare l’analisi statistica vedrà che è più probabile Amanda, cena galante e tutto quanto potrebbe conseguirne, sia dietro la porta inizialmente non scelta.
Tutto questo per dire che tante volte la logica e il senso comune possono essere fuorvianti quando si tratta di numeri.
E di ruminanti.
Per le bionde, non c’è minimamente bisogno di dirlo, ovviamente.
Per esempio da qualche anno si sente nominare  l’impegno Green  della Formula 1.
Allora come per la porta e la capra, proviamo un attimo a guardare cosa vuole veramente dire questa affermazione.
Secondo i dati a disposizione e le parole di Paddy Lowe la W07 ha raggiunto lo stato dell’arte dell’efficienza termica portandola intorno al 45%.
Un valore stratosferico se si fa una comparazione con il valore medio dei motori a combustione interna di vecchia concezione la cui efficienza si aggira intorno ad un misero 25%.
Lowe è fermamente convinto che attraverso l’attuale ricerca e la curva di apprendimento che il settore di ricerca e sviluppo di Brixworth sta affrontando, il limite del 50% possa essere raggiunto entro un paio di anni.
Una notizia eccezionale se si pensa al punto di partenza solo qualche anno fa con la timida introduzione del KERS; uno strumento che con i suoi 6,5 secondi di attivazioni iniziali permetteva un risparmio risibile sul singolo giro intorno al 1,5%.
Oggi anche grazie all’introduzione di sistemi di alimentazione a precamera e ai contributi delle varie sezioni MGU l’idea di una Formula 1 Green pare più vicina che mai.
Una Formula 1 che dal solo ed esclusivo punto di vista energetico e dell’efficienza è più Verde della Toyota Auris che guida il sottoscritto.
Eppure lo stesso Lowe lamenta come poco si sia fatto per pubblicizzare questo risultato.
Poco impatto sull’opinione pubblica.
Un’opinione pubblica che si chiede quanto si possa gioire dell’asintotico limite del 50% dell’efficienza sui (circa) 150.000 kg  di combustibile usati in una stagione di Formula 1.
Che sono circa quelli utilizzati per un singolo viaggio andata e ritorno in aereo Londra-New York-Londra.
Mentre la capra dietro la porta continua imperterrita a biascicare e masticare, l’utente medio si chiede quanti viaggi in aereo vengano fatti per la Formula 1.
Quante stagioni intere in termini di quantità di combustibile, vengono usate per spostare persone (poche) e cose (tante) da una parte all’altra del globo a fronte di un calendario stagionale che ha del faraonico e spesso baratta la logica e il senso comune con il profitto o la mera visibilità?
La Formula 1 vuole risparmiare inquinamento realmente?
Davvero scoprire che dietro la porta che non avevi scelto non c’è la tua bionda preferita, può cambiare qualcosa in una scelta già compiuta?
Un’altra delle porte che celano la splendida Seyfried (o se la scelta non è oculata, il bovide belante) è quella con l’etichetta di Ricerca e Sviluppo e sul fatto che le meraviglie ibride che competono sui circuiti possano portare ad una ricaduta diretta sulle componentistiche della produzione di serie.
Ora se le voci di corridoio fossero confermate, la Mercedes avrebbe investito quasi mezzo miliardo di dollari (400 MUSD) per la creazione del suo gioiello ammazza-mondiale.
La sola Toyota ha speso circa 10.000 MUSD (circa un milione di milioni di Yen) nel solo 2015, la VW circa 15.000 MUSD nello stesso periodo e l’ammontare mondiale della ricerca dedicata all’automotive sfiora la cifra record di 100.000 MUSD (si sta parlando di 100 miliardi di Dollari).
Ora a fronte di queste cifre uno prima di scegliere davvero la porta con cui passare la romantica brucata bucolica a lume di candela, dovrebbe chiedersi quanto possa avere influenza di fronte a queste cifre lo sforzo prodotto dal settore R&D dei vari team di Formula 1.
La tanto sbandierata frontiera dell’HCCI, spacciata come la panacea di ogni male per ottenere maggiore potenza era in studio dalla Mahle già tempo prima che Mercedes e Ferrari basassero le loro velleità su di essa.
La base di ogni vettura ibrida “di serie” (quelle su cui la Formula 1 della ricerca e sviluppo dovrebbe avere la paventata ricaduta) ha il cambio automatico per ovvi motivi di erogazione e coppia.
In formula 1 il cambio automatico è stato espressamente vietato dal 1993 quando Coulthard faceva grugnire la sua FW15 nei test pre-stagionali con la trasmissione CVC.
Troppo veloce, si disse.
E poi il pilota deve pilotare.
Rilette oggi paiono una chiosa beffarda a quanto accade ad ogni gran premio.
Più che un laboratorio a cielo aperto con vista panoramica sulle meraviglie del progresso, la Formula 1 sembra un enorme fiera campionaria dove provare a dare appetibilità a risalto a soluzioni che sono già in fare di ricerca (spesso avanzata) da qualche anno.
Forse sarebbe meglio concentrarsi sulla competizione fra uomini.
Più che sulla competizione fra marchi.
Perché non sempre la scelta che pare più logica è anche la migliore.